Ormisda, Vienna, van Ghelen, 1721

 SCENA IX
 
 ARTENICE ed ARSACE
 
 ARTENICE
 Viene Arsace. Sostengami virtude.
 ARSACE
 In sì strane vicende
900di fortuna e di amor, non so, Artenice,
 che sperar, che temer. L’altrui sciagura
 mi fa re, mi fa sposo;
 ma se manca il tuo voto,
 resto misero ancor.
 ARTENICE
                                      Ben temi, Arsace,
905non ch’io fugga quel ben che mi si appresta
 nel tuo possesso. Io fuggo
 la man che mel presenta, empia e tiranna.
 Un figlio si condanna
 sol de l’altro in favor.
 ARSACE
                                         Cosroe fu iniquo...
 ARTENICE
910Tal lo credea chi ’l finse.
 Io l’assolvo e tu stesso
 gli faresti ragion, se non mi amassi.
 ARSACE
 Deh! Che creder poss’io
 di cotesta pietà con cui l’assolvi?
 ARTENICE
915E che pensar degg’io
 di cotesta viltà con cui ’l condanni?
 ARSACE
 Lo condanna un re padre.
 ARTENICE
 Più tosto un re marito. Odimi, Arsace.
 La sciagura di Cosroe
920può farti re ma non mio sposo. Io t’amo
 col più tenero amore
 e col più generoso.
 Segui l’esempio mio. Trono, cui base
 sia la ruina altrui, più che lusinga,
925ti faccia orror. Cosroe difendi e in lui
 salviam la nostra gloria.
 E comunque di noi disponga il fato,
 rendiamoci più degni
 io di te, tu di me. Soffriam miseria
930ma non rossor. Vero e durevol bene
 la colpa no, sol la virtù l’ottiene.
 
    Sono amante
 del tuo cor, del tuo sembiante;
 ma se quel reo fosse e vile,
935né men questo io più amerei.
 
    Sii tu forte e poi la sorte
 far potrà ch’io tua non sia,
 non mai torti, anima mia,
 gl’innocenti affetti miei.