Ormisda, Vienna, van Ghelen, 1721

 SCENA VI
 
 ORMISDA e PALMIRA
 
 PALMIRA
 Tanto ardisce il superbo,
170te presente e te re?
 ORMISDA
                                      L’indole è fiera
 ma generoso il cor, l’animo eccelso.
 PALMIRA
 Scusalo pur. Ten pentirai ma tardi.
 ORMISDA
 Che far poss’io?
 PALMIRA
                                Nulla, o signor, lasciarlo
 che impunito egli corra
175ove alterezza, ove furor lo spinge.
 Povero Arsace! Misera Palmira!
 Sarete ancor sue vittime innocenti.
 ORMISDA
 Palmira, anima mia, di che paventi?
 PALMIRA
 Eh! Sì teneri nomi
180non son più per Palmira. Il primo letto
 degno è sol del tuo amor. N’ebbe il secondo
 sol pochi e freddi avanzi.
 Cosroe, che nacque al trono, è sol tuo sangue.
 Nacque il povero Arsace a la sfortuna
185di suddito e di servo;
 e gran colpa è per lui l’esser mio figlio.
 ORMISDA
 Con sì ingiuste querele il cor trafigi.
 Cosroe è forse tuo re? Suo forse è ’l trono?
 PALMIRA
 Ma lo sarà. Lascia ch’io salvi Arsace
190dal suo primo comando.
 Non ti chiede il mio pianto
 che a favor di una moglie
 contra un figlio crudel s’armi il tuo braccio.
 Chiede solo ch’io possa
195trarre i miei giorni in sicurtà di vita
 col caro Arsace. Un angolo di terra
 a me basta per regno. Oh! Là talvolta
 di te, Ormisda, mi giunga il dolce nome!
 Questo sia tutto il fasto mio; e se questo
200può turbar la tua pace,
 questo ancor niega. Ormisda
 a me rammenterò, mirando Arsace.
 ORMISDA
 Tu partir? Tu lasciarmi? È troppo ingiusto,
 mia cara, il tuo dolor. Serena il ciglio.
205Son re. Palmira è moglie. Arsace è figlio.
 PALMIRA
 
    Moglie, è ver, ma non più quella
 cara e bella,
 tua delizia e tuo riposo.
 
    Fiamma, ch’arde in cor di amante,
210presto manca in cor di sposo;
 
    e ’l possesso di un sembiante
 fa ch’ei sembri men vezzoso.