Meride e Selinunte, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA V
 
 ARETA ed ERICLEA
 
 ARETA
 Gravi affanni sostengo
 e maggiori ne temo.
 ERICLEA
 Areta, or sì fien paghi
530di Timocrate i voti. Al più alto segno
 egli ha spinto il suo orgoglio.
 ARETA
                                                      In che ti offese?
 ERICLEA
 Con insolente ardir tentando un nodo,
 il cui solo pensier m’empie d’orrore,
 e armando a spaventarmi il regal braccio,
535quasi che con la forza amor si esiga.
 ARETA
 Se l’affetto ti oltraggia,
 l’odio suo che faria?
 ERICLEA
                                       Meno di senso.
 Questo soffrir poss’io da un cor nimico
 ma non quel da un malvagio.
 ARETA
540O dio!
 ERICLEA
               Di che sospiri?
 ARETA
 Rei forse nel tuo cor son padre e figlia.
 ERICLEA
 Sì, figlia sei, ma figlia
 degna di miglior padre. Io ti son giusta.
 Amo la tua virtù, s’odio il tuo sangue,
545e non confondo il reo con l’innocente.
 ARETA
 In lui vedi il nimico,
 forse in me la rival.
 ERICLEA
                                      Come rivale
 temi un cor non amante?
 ARETA
 Meride tu non ami o Selinunte?
 ERICLEA
550Chi per due già paventa, un ne confessa.
 Ama pur Selinunte. Il tuo bel foco
 mi han detto i tuoi sospiri
 e all’amica Ericlea mal lo tacesti.
 ARETA
 Ma s’io Meride amassi, ah! che diresti?
 ERICLEA
555Pensane ciò che vuoi, quand’io lo taccio.
 ARETA
 Eh! Siam ambe, Ericlea, di amor nel laccio.
 
    Noi siamo quelle
 due fide agnelle
 che al prato, al fonte,
560per selva e monte,
 stanno insieme d’amor dolce languendo.
 
    L’una dell’altra
 non è gelosa;
 ma allor dogliosa
565vie più si lagna,
 che la sua sente
 fedel compagna
 qua e là senz’aver pace andar gemendo.