Meride e Selinunte, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA III
 
 TIMOCRATE e i suddetti
 
 TIMOCRATE
 Al tuo consiglio, o fido amico, io deggio
 parte del mio riposo.
 S’Ericlea non è mia,
465Meride non l’avrà né Selinunte.
 ARETA
 (O per me grato annunzio!)
 TIMOCRATE
 Mesto è l’amor; ma lieto è l’odio; e posso
 più soffrire il mio mal che l’altrui bene.
 NICANDRO
 Ciò che manca al trionfo, avrai dal merto.
 TIMOCRATE
470E dal reale, aggiungi, alto comando.
 A beltà par decoro amar costretta
 e poter con la forza
 giustificar la brama; e n’hai l’esempio. (Mostrando Areta)
 NICANDRO
 È vero, è ver. Tua figlia
475non gradia le mie fiamme.
 ARETA
 Una figlia non ama
 che col voler del padre.
 NICANDRO
 Dacché n’ebbe il tuo cenno, il gel n’è sciolto
 e per me tutta avvampa.
 TIMOCRATE
480Figlia non ubbidì con più virtude.
 ARETA
 Né con meno rossor.
 TIMOCRATE
                                        Sei lieto appieno?
 NICANDRO
 Per soverchio piacer stupidi ho i sensi.
 TIMOCRATE
 La trovasti amorosa?
 NICANDRO
                                         Oltre i miei voti.
 TIMOCRATE
 Certo sei di sua fede?
 NICANDRO
485Lusinghe non mi diede.
 ARETA
 E rispose al tuo amore,
 dillo, tu il sai, sincerità di core.
 TIMOCRATE
 Ma dal pallido tuo fosco sembiante
 non ben traspare ilarità di amante.
 NICANDRO
 
490   Diletto, che è grande,
 di fuor non si spande;
 ma tutto sé stesso
 concentra nel cor.
 
    E il cor, quasi oppresso
495dal troppo diletto,
 tramanda all’aspetto
 quel fosco pallor.