Meride e Selinunte, Vienna, van Ghelen, 1721

 SCENA III
 
 TIMOCRATE ed ARETA
 
 TIMOCRATE
 Figlia, tu gli occhi abbassi e stai dolente?
 ARETA
60Del mio destin la dura legge intendo.
 TIMOCRATE
 Di Nicandro l’amor tanto ti è greve?
 ARETA
 Veder che tu l’approvi è ’l mio dolore.
 TIMOCRATE
 Egli in corte ha favor. Di Siracusa
 commesse a lui son la custodia e l’armi.
65Giovami averlo amico.
 ARETA
 A costo ancor de la mia pace? Ah padre!
 TIMOCRATE
 Orsù, ti acheta. Non temer ch’io stenda
 sovra il tuo cor l’autorità del cenno.
 Non ti sforzo ad affetti.
70Sol ti chieggo lusinghe.
 Fingi in mio pro.
 ARETA
                                  Respiro. A me fia lieve
 ingannare un amante,
 che ad accorta beltà non costa molto
 l’arte del labbro e la bugia del ciglio.
75Ma qual pro da l’inganno?
 TIMOCRATE
 Quale? Sincerità fa pochi amici,
 molti accortezza; e le fortune han corso
 dove l’applauso popolar le spinge.
 ARETA
 Non i molti, cred’io, ma i veri amici
80fan la stabil fortuna.
 Meride un sol ne vanta in Selinunte;
 e questo eleggerei, pria che la folta,
 che ti circonda, instabil turba e lieve.
 TIMOCRATE
 Più non t’escan dal labbro i due funesti
85nomi odiosi. In solo udirli il sangue
 tumultuoso io sento
 spandersi al viso, indi serrarsi al core.
 In loro ho due nemici, ho due rivali.
 ARETA
 Ma felici e possenti.
 TIMOCRATE
90Né Timocrate è vil né tua beltade.
 Tu ’l sostegno più forte
 sarai de l’odio mio.
 ARETA
                                      Come?
 TIMOCRATE
                                                      Maturo
 non è ancora il destin che ti vuol grande.
 Non tarderà.
 ARETA
                           Tien per me arcani un padre?
 TIMOCRATE
95Vanne. Qui attendo il re. Lusinghi intanto
 idea d’alta fortuna i tuoi pensieri.
 ARETA
 Per più languir, non m’insegnar ch’io speri.
 
    Non credo a la speranza;
 conosco la mia sorte;
100e avvezzo la costanza
 a non sperar contenti.
 
    Mi basta che il mio fato,
 benché sì dispietato,
 non cresca di baldanza
105e più crudel diventi.