Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA V
 
 ARISTIPPO e CRATE
 
 ARISTIPPO
 Crate, che avea in orrore
1680degli uomini la vista, in corte io trovo?
 CRATE
 Qui forse ne vedrò, meno che altrove.
 ARISTIPPO
 Vedi però Aristippo.
 CRATE
 Ma un uom non già. Sol veggo
 di regnante e di servo una chimera.
 ARISTIPPO
1685Sì, mordi. E in Crate io miro
 di satiro e di sposo un ircocervo.
 CRATE
 Un regno io non volea, volea una sposa.
 ARISTIPPO
 E questa ov’è?
 CRATE
                              N’ebbi la fé poc’anzi.
 ARISTIPPO
 Fu di Creta o di Chio quel che bevesti?
 CRATE
1690Per l’Ercole di Tebe a te lo giuro...
 ARISTIPPO
 Com’esser può? Fenicia...
 CRATE
 Altra donna non v’è? D’Ipparchia io parlo.
 ARISTIPPO
 Ipparchia sposa tua? Crate marito?
 CRATE
 Più che Aristippo re.
 ARISTIPPO
                                         Sempre tu pungi.
1695Dimmi, sempre nimici esser vorremo?
 CRATE
 Qual vasaio ama l’altro?
 ARISTIPPO
 Vergogna! Siam fanciulli
 o filosofi siamo? Attenderemo
 che un saccente importuno
1700con le tazze alla man noi metta in pace?
 No, per Mercurio. Prendi. Io primo offeso,
 di Crate all’amistà rendo la mia. (Si porgono la mano)
 CRATE
 Va’. Di me sei migliore. Io dello sdegno
 e dell’amor fra noi l’autor tu sei.
 ARISTIPPO
1705Arrida nella moglie a te la sorte.
 CRATE
 E a te conceda il ciel ventura in corte.
 
    Due contenti e due tormenti
 esser ponno moglie e corte.
 Se son buone, oh dolce sorte!
1710Se malvage, oh amare doglie!
 
    Ma coraggio. Un buon regnante
 la sua corte a sé fa uguale;
 e un marito, che sia tale,
 può far buona ancor la moglie.