Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VI
 
 ALESSANDRO, STRATONE e FENICIA, con seguito di macedoni e di cavalieri sidoni
 
 ALESSANDRO
 Soffra Straton. M’oda Fenicia; e voi
170non temete, o sidoni.
 Vincere i regni ad Alessandro è gloria;
 e più gloria è donarli.
 Il vostro è mia conquista. A voi l’arbitrio
 di un novo re già diedi. Una corona
175pose in litigio i voti. In fra gli eguali
 mal si cerca il sovrano...
 STRATONE
 E vivente Stratone, in chi trovarlo?
 Io re...
 ALESSANDRO
                Taci. La sola
 grandezza, che ti resta,
180è l’esser ne’ miei ceppi.
 FENICIA
 Misero genitor!
 ALESSANDRO
                                Qual lo chiedete,
 io di Sidon sul trono
 il più saggio alzerò.
 FENICIA
                                      Ma all’atto illustre,
 perdonami, o signor, scema un gran fregio
185la tua vendetta. Oh quanto
 saria gloria maggior ripor sul trono
 un nimico già vinto!
 ALESSANDRO
 A nimico sì altero e sì ostinato
 lo scettro io renderei? Pospormi a Dario?
190E distrutta dal ferro, arsa dal foco
 voler Sidon, pria che Alessandro amico?
 No no, viva privato;
 e sul trono altri sieda, ond’ei già cadde;
 ma vi sieda tuo sposo.
195Deggia la figlia al mio favor...
 STRATONE
                                                        T’inganni.
 Nulla a te vo’ dover. M’hai tolto il regno
 e puoi tormi la vita;
 ma dispor degli affetti
 non è in tua possa. Io ti son padre, o figlia;
200e dal comun nimico
 io ti vieto accettar sposo e diadema.
 I paterni comandi il tuo dovere,
 in qualunque destin, rispetti e tema.
 FENICIA
 (Comando che al mio amore e giova e piace).
 STRATONE
 
205   Vinto son ma non oppresso.
 Sono ancor re di me stesso,
 sfortunato e sempre forte.
 
    Sul mio cor non hai poter.
 Ho virtù per non temer,
210se per vincer non ho sorte.