Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 ARGOMENTO
 
    Stratone, col favor di Dario, re di Persia, regnò in Sidone, città illustre della Fenicia nell’Asia. Fu egli quivi assediato da Alessandro, re de’ Macedoni, al quale gli fu forza di rendersi, più tosto costretto da’ cittadini che indottovi dal proprio volere; laonde, per questa sua ostinazione, Alessandro giudicollo indegno di più regnare in Sidone.
    Alessandro diede facoltà ad Efestione, il più caro a lui de’ suoi capitani, ch’eleggesse per successore a Stratone chi più gli fosse in piacere. Efestione ne fece la proposta a molti de’ principali fra’ Sidoni, col consenso de’ quali, dopo varie altercazioni, rimessi inoltre all’approvazione di Alessandro, fu eletto re un certo Addolonimo, giudicato il più saggio e il più degno di avere quella corona.
    Addolonimo era disceso dagli antichi re di Sidone. Costretto dalla sua povertà, sostentava la sua vita, lontano dalla corte e dalla città, con la cultura di un orticello suburbano. Cagione di questa sua grande indigenza altro non era che la sua probità. Le risposte date da lui ad Alessandro glielo fecero ravvisare ben tosto meritevole di quella fortuna, a cui lo innalzava (Curtius, liber VI; Plutarchus, in Alexander; Iustinus, liber XI).
    Alla corte di Alessandro concorsero molti de’ più insigni filosofi che in quel tempo fiorissero, i quali in diverse forme furono da lui favoriti (Arrianus, Plutarchus et alii).
    Due fra questi si rendettero segnalati al suo tempo, non solo di dottrina ma di costumi affatto diversi: Aristippo e Crate.
    Aristippo era di Cirene, città dell’Africa. Fu discepolo di Socrate e fondatore della setta cirenaica. Vestiva nobilmente. Piacevangli le ricchezze ma per l’uso che se ne può fare dal saggio. Non posseduto da esse, le possedeva. In ciò fu ammirabile e singolare che accommodavasi ad ogni cosa e di nulla si sconcertava. In qualunque cangiamento di cose, o buono o cattivo; e in qualunque incontro di persone, di qualsisia condizione o genio si fossero, era sempre lo stesso; talché molti lo propongono come il vero modello della vita civile (Laertius, De vitis philosophorum, liber VI; Philostratus, in Vita Appollonii Thyanei, liber I, et alii).
    Crate, nobile tebano e discepolo di Diogene, fu all’opposto della setta cinica, fondata da Antistene ateniese. Invogliatosi di quel genere di vita miserabile e sordida, vendette il suo patrimonio e, avendone raccolto dugento talenti, gli distribuì tra’ suoi cittadini e per sé nulla ritenne. Fra le altre cose riferite da lui, leggesi che, una volta interrogandolo Alessandro se fosse desideroso di veder ristorata e rifatta la città di Tebe, sua patria ch’esso Alessandro aveva distrutta: «A qual fine» ei rispose «lo bramerei? Forse acciocché poi venisse un altro Alessandro e di nuovo la distruggesse?» (Veggansi Laertius, liber VI; Stobaeus, in Sententiae; Clemens Alexandrinus, in Paedagogus, liber XXII; Lucianus, in Dialogi, etcaetera).
    Ipparchia, nobile femmina di Marona, città della Tracia, discepola di Crate, invaghissi di tal maniera della persona e della filosofia del suo maestro che, sprezzate le nozze e gli affetti de’ più nobili della Grecia e non curate le rimostranze e minacce de’ suoi congiunti, volle ad ogni patto seguitar lui, il quale fece ogni sforzo per rimoverla da sì strano pensiero. Nulla tuttavia gli giovò con essa, né la deformità del suo aspetto né la sordidezza del suo vestito né la meschinità del suo vivere; talché finalmente, vinto dalla costanza di Ipparchia, la prese in moglie (Laertius, liber VI).
    Questi due filosofi si fanno per lo più ragionare co’ propri loro sentimenti o con quelli alla lor setta comuni. Altri personaggi ed amori sono introdotti nella favola per maggior viluppo di essa.