Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Vienna, van Ghelen, 1721

 SCENA XI
 
 EFESTIONE e poi IPPARCHIA
 
 EFESTIONE
 Ciò che piace al mio re, piaccia a me ancora. (Vede Ipparchia venir di lontano)
 Occhi miei, che scorgete? Ipparchia è quella,
345tanto al mio cor diletta,
 quant’ella al mio spietata.
 Per qual mia sorte, Ipparchia,
 di Marona in Sidon, di Tracia in Asia?
 IPPARCHIA
 Efestion, null’altro
350di terra in terra errar mi fa che amore.
 EFESTIONE
 Intendo. Alfin pentita
 de’ tuoi rigori e a me pietosa...
 IPPARCHIA
                                                          Eh! Duce,
 se il pensier, che in te nasce
 da speranza o disio, fosse il mio voto,
355non avrei de la patria, ove per sangue,
 per grado e per fortune
 viver lieta io potea, lasciati gli agi.
 Altro e più degno amore è sprone ai passi.
 EFESTIONE
 Misero io non sapea tutti i miei mali.
360Scuoprimi il gran rival. Fa’ che il suo merto
 spaventi le mie brame o le confonda.
 IPPARCHIA
 (Del mio affetto una parte a lui si asconda).
 Crate conosci?
 EFESTIONE
                              Il cinico? Il mordace?
 IPPARCHIA
 Ei m’instruì sin da’ prim’anni in Tebe.
365Vaga di più saper, qui lo ricerco.
 EFESTIONE
 (Respiro). Ah! Così austera
 filosofia non ti conviene, o cara.
 IPPARCHIA
 Mal giudica del lume occhio che è cieco.
 EFESTIONE
 Ei più che d’uom, di fiera...
 IPPARCHIA
370Se offender non mi vuoi, Crate rispetta.
 EFESTIONE
 Soffri che del mio amore almen ti parli.
 IPPARCHIA
 No, che dal ciel natio. sola ed errante,
 ad udir qui men venni
 dogmi di saggio e non follie di amante.
 EFESTIONE
 
375   Mirarti e non amarti
 follia sarebbe, o cara,
 amabile beltà.
 
    Tu, per cui tanto io peno,
 usa rispetto almeno
380a un’opra de’ tuoi lumi,
 se usar non vuoi pietà.