Lucio Papirio dittatore, Vienna, van Ghelen, 1719

 SCENA XI
 
 LUCIO PAPIRIO, QUINTO FABIO, MARCO FABIO, popolo, soldati e littori
 
 LUCIO PAPIRIO
             Quel che scorgete,
 romani, è Quinto Fabio.
 MARCO FABIO
 Che miro? Il figlio?
 QUINTO FABIO
                                       Aimè! Tradito io sono.
 LUCIO PAPIRIO
 Vedetel supplichevole e qual reo
 che conosce il suo torto e vuol perdono.
 MARCO FABIO
910Ah vil! Del nome indegno
 di Fabio e di mio figlio;
 tu vincitore? E tu prostrato? Il ceffo
 di morte ancor lontano
 più ti spaventa che ignominia ed onta?
915Pregar tu il tuo nemico?
 E pregarlo di vita?
 O vergogna inudita in cor romano!
 QUINTO FABIO
 Io, padre?
 MARCO FABIO
                      Taci. E tu, crudel...
 LUCIO PAPIRIO
                                                          Col figlio
 mi rispetti anche il padre. Già vedesti
920se dimessi al mio piè tremino i Fabi.
 Mia dignitade offesa
 qui vendicai. De le neglette leggi
 avrò altrove il riparo e la vendetta.
 Tu, se ancor ti rimane audacia in petto
925a difesa di un reo,
 vieni al popolo e al foro. Io là ti aspetto.
 
    Rigido, inesorabile,
 non sosterrò negletta
 l’eccelsa dignità.
 
930   Temuta, formidabile,
 Lucio, la diedi a te;
 e ignobile ed abbietta
 tu la rendesti a me;
 no, Roma nol dirà.