Don Chisciotte in Sierra Morena (Zeno e Pariati), Vienna, van Ghelen, 1719

 SCENA III
 
 DON CHISCIOTTE dalla grotta
 
 DON CHISCIOTTE
480Orlando mi perdoni. È troppo impegno
 il voler imitarlo.
 Già dal lungo cozzar con sassi e piante,
 rotto mi trovo in più d’un luogo il capo
 a onor di Dulcinea. Più facil credo
485di Beltenebro il genio. Ei che facea?
 Digiunava; io digiuno;
 ed in prova di ciò sento che ho fame.
 Io fame? No, l’onor nol soffre. In quanti
 volumi abbiam di noi, mai non fu scritto
490che avesser fame i cavalieri erranti.
 Mesto egli era; io son mesto; in flebil suono
 cantò sovente; e tal cantar io voglio.
 Egli naturalmente al parer mio
 voce avea di tenore.
495E grazie al ciel, l’ho di tenore anch’io.
 
    Le mie pene a Dulcinea,
 ch’è mia dea, con Sancio andate,
 aure amate, a raccontar.
 
    Tosto andante e dite a quella
500che per pompa di cordoglio
 questa chioma così bella
 più non voglio pettinar.
 
    Che la trista mia figura
 fa paura anch’a me stesso,
505quando appresso a un qualche fonte
 vo’ la fronte rinfrescar.
 
    E per fin de’ mali miei
 dite a lei che in queste grotte
 don Chisciotte sta morendo,
510non sapendo altro che far.