Sirita, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA II
 
 SIRITA e SIVALDO; OTTARO e IROLDO in disparte
 
 SIRITA
 A te, padre e signor, qual sì per tempo
 mi chiama alto comando?
 SIVALDO
 Con sì timido aspetto
 al suo giudice offeso il reo non vassi,
45qual tu a me ti presenti, amata figlia.
 SIRITA
 Rispettoso dover leggi m’impone
 di figlia e di vassalla.
 SIVALDO
 Ma perché sì negletta? A che non prendi,
 quale a te si convien, l’oro e le gemme?
50Il ciel già non ti diede
 cotesto di beltà fregio gentile,
 perché tu l’abbia a vile.
 SIRITA
 Meglio saria che o più non fosse o mai
 stata non fosse al mondo
55questa nostra bellezza,
 del cielo infausto dono,
 rischio di chi ’l possiede,
 pena di chi lo vede.
 Anzi che farne pompa, ad ogni sguardo
60vorrei poter celarmi e al sole istesso.
 SIVALDO
 Semplice! A quanto in terra alma respira,
 diè natura il suo pregio,
 a chi nuoto, a chi volo, a chi ugne e denti,
 a chi celere corso,
65all’uom senno e fortezza;
 a voi che diè? Bellezza,
 di mille lance e spade arma più forte,
 con cui vincete e valorosi e saggi.
 Folle! E tu l’esser bella,
70propria del sesso tuo lode e tesoro,
 stimerai tua vergogna e tua sfortuna?
 SIRITA
 Stimerò lode mia ciò ch’è mio acquisto,
 non ciò ch’è dono altrui. Grazia e beltade
 son beni a noi stranieri
75e di fragile tempra. Amar dovremmo
 più durevoli fregi, ornar sol l’alma
 di onestà, di modestia e d’innocenza,
 impor leggi severe all’occhio e al labbro
 né mai dar fede ai sempre falsi amanti.
 SIVALDO
80Cotesta tua salvatichezza, o figlia,
 strugger vorrebbe il mondo e di natura
 tutte scompor le leggi.
 Ha virtù i suoi confini e, quando eccede,
 lascia di esser virtù. Lodo il pudico
85core e l’indole casta;
 ma lodar non poss’io che tu sì schiva
 sia di onesto amator che a nobil sangue
 eccelso animo aggiunga e degno aspiri
 all’onor di tue nozze...
 SIRITA
                                          Ah, pria col ghiaccio
90vedrai la fiamma e amar l’agnella il lupo.
 SIVALDO
 Perché nodo abborrir così soave?
 SIRITA
 Nodo servil, giogo penoso e grave.
 SIVALDO
 Fido imeneo fa i più felici in terra.
 SIRITA
 E discorde i più miseri.
 SIVALDO
                                              Mancarti
95può sposo, a cui ti unisca amore e fede?
 SIRITA
 No no, son tutti, o padre,
 di una tempra e di un cor. Già nella mente
 fisso è il pensier, viver solinga  e sciolta
 alla mia libertade ed a me stessa.
 SIVALDO
100Solo a te stessa, o figlia,
 tu non sei nata. Al padre
 che ti diè vita, ai voti
 di un regno ancor nascesti. Ah, se il mio affetto,
 se la memoria dell’estinta madre
105può nulla in te, cedi a’ miei preghi  e vinci
 le ingiuste ripugnanze
 che t’ingombran l’idea. Tu gli occhi abbassi?
 Tu non rispondi? Ah, figlia, io da te questa
 mercede attesi o meritai? Mia morte
110vedrai ben tosto. Un troppo
 insoffribil dolor l’alma circonda,
 gemendo sconsolata
 tra un regno afflitto ed una figlia ingrata.
 SIRITA
 Qual aspra orrida guerra
115movi, o padre, al mio cor? Voler che a un tratto
 genio cangi, costume, abito e vita,
 egli è un voler che tutta
 me stessa uccida e in me rinnovi un’altra.
 Pur se tutto non posso
120dare a’ tuoi preghi, almeno
 tutto non si ricusi. A sì amoroso
 e benefico padre un tanto deggio
 sacrifizio crudel. Sposa!... Ah, che il solo
 pensarvi io tutta sento
125l’alma in gelo e sudor rappresa e sciolta;
 sposa mi vuoi? Si faccia.
 Sposa sarò; ma con qual legge, ascolta.
 
    Quegli sarà mio sposo
 che primo un guardo solo
130sdegnoso od amoroso
 sappia involar da me.
 
    Tenti mill’arti e mille,
 frode, timor, lusinga;
 serva, sospiri, finga;
135e in queste mie pupille
 cerchi la sua vittoria
 e poi la sua mercé.