Ifigenia in Aulide, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA IV
 
 IFIGENIA e i suddetti
 
 CLITENNESTRA
 D’Agamennone figlia, e cara figlia,
1000a tempo giungi e attesa.
 Or bacia al dolce padre,
 che vuol condurti ei stesso
 al tempio, all’imeneo, la regal destra.
 AGAMENNONE
 Che miro! O dio! Figlia, tu pieghi a terra
1005l’egre pupille e piangi? E teco ancora
 piange la madre? Iniquo,
 Arcade disleal, tu mi tradisti. (Si lascia andare sopra una sedia)
 IFIGENIA
 Padre, non ti turbar. Non sei tradito.
 Da Ifigenia ubbidito
1010sarà il tuo cenno. Questa,
 che è pur tuo dono, miserabil vita
 puoi ripigliarti. Io lieta,
 senza accusar te di spietato e crudo,
 saprò stender al ferro il collo ignudo.
 AGAMENNONE
1015(Che affanno è il mio!)
 IFIGENIA
                                             Ma questo dal tuo labbro,
 questo non attendea fiero comando
 la tua, dirollo ancor, figlia innocente.
 Signor, deh, ti sovvenga
 ch’io pria ti chiamai padre e pria d’ogni altro
1020tu figlia mi chiamasti. O quante volte,
 strettami al seno e cinte
 al mio tenero collo ambe le braccia,
 quante, se ti ricorda, a me dicesti:
 «Quando fia mai quel giorno
1025ch’io stesso t’accompagni a liete nozze
 e che unita ti miri a illustre sposo?»
 Questo era il giorno. Io lo sperava almeno.
 AGAMENNONE
 (Mi scoppia il cor).
 IFIGENIA
                                      Ma quali
 son le mie nozze? Qual lo sposo? E quali
1030le faci maritali? Ecco tu stesso
 al mio rogo le accendi
 e di questa mi privi amabil vita.
 Ah! Se pietà non hai di me tua figlia,
 pietà, signor, dell’infelice madre.
1035Vedi che tutta si distilla in pianto.
 Pietade ancor di te che i tuoi gran pregi
 col nome oscuri d’inumano e d’empio.
 Stendimi alfin la destra, indizio e pegno (Gli prende la mano)
 di bontade e d’amore, ond’io la baci.
1040Fissa in questo mio volto,
 qual già solevi, le amorose ciglia;
 e in te m’addita il padre. Io son tua figlia.
 CLITENNESTRA
 (Ben ha di sasso il cor, s’egli non cede).
 AGAMENNONE
 Figlia, potessi pur con la mia morte
1045ricomprar la tua vita.
 Ma sono avversi i numi. Il sol tuo sangue
 chiedono irati. Io contra lor che posso?
 Ceder convien. Giunta all’estremo, o figlia,
 sei di tua vita. Un atto
1050degno di te la chiuda. I numi stessi,
 da cui sei condannata,
 n’abbian rossore; e sia
 l’ombra d’Ifigenia d’Ilio il terrore,
 della Grecia l’amore.
1055Vieni, cor mio, mio sangue. Invitta e forte,
 prendi l’ultimo amplesso... E vanne a morte.
 IFIGENIA
 
    Più del cielo e più del fato,
 padre amato,
 mi fa fede il tuo dolore
1060che innocente ho da morir.
 
    In quest’ultimo congedo,
 non ti prego più di vita;
 sol ti chiedo
 di dar pace al tuo martir.