Ifigenia in Aulide, Vienna, van Ghelen, 1718

 SCENA IV
 
 IFIGENIA e li suddetti
 
 CLITENNESTRA
 Di Agamennone figlia e cara figlia,
 a tempo giugni e attesa.
 Or bacia al dolce padre,
1000che vuol condurti ei stesso
 al tempio, a l’imeneo, la regal destra.
 AGAMENNONE
 Che miro? O dio! Figlia, tu pieghi a terra
 l’egre pupille? E piangi? E teco ancora
 piange la madre? Iniquo,
1005Arcade disleal, tu mi tradisti. (Si abandona sopra una sedia)
 IFIGENIA
 Padre, non ti turbar. Non sei tradito.
 Da Ifigenia ubbidito
 sarà il tuo cenno. Questa,
 che è pur tuo dono, miserabil vita
1010puoi ripigliarti. Io lieta,
 senza accusar te di spietato e crudo,
 saprò stender al ferro il collo ignudo.
 AGAMENNONE
 (Che affanno è il mio?)
 IFIGENIA
                                             Ma questo dal tuo labro,
 questo non attendea fiero comando
1015la tua, dirollo ancor, figlia innocente.
 Signor, deh! ti sovvenga
 ch’io pria ti chiamai padre e pria d’ogni altro
 tu figlia mi chiamasti. O quante volte,
 strettami al seno e cinte
1020al mio tenero collo ambe le braccia,
 quante volte, il rammenta, a me dicesti:
 «Quando fia mai quel giorno
 ch’io stesso ti accompagni a liete nozze
 e che unita ti miri a illustre sposo?»
1025Questo era il giorno. Io lo sperava almeno.
 AGAMENNONE
 (Mi scoppia il cor).
 IFIGENIA
                                      Ma quali
 son le mie nozze? Qual lo sposo? E quali
 le faci maritali? Ecco tu stesso
 al mio rogo le accendi
1030e di questa mi privi amabil vita.
 Ah! Se pietà non hai di me tua figlia,
 pietà, signor, de l’infelice madre.
 Vedi che tutta si distilla in pianto.
 Pietà ancora di te che i tuoi gran pregi
1035col nome oscuri d’inumano e d’empio.
 Stendimi alfin la destra, indicio e pegno (Li prende la mano)
 di bontade e di amore, ond’io la baci.
 Fissa in questo mio volto,
 qual già solevi, le amorose ciglia;
1040e in te mi addita il padre. Io son tua figlia.
 CLITENNESTRA
 (Ben ha di sasso il cor, s’egli non cede).
 AGAMENNONE
 Figlia, potessi pur con la mia morte
 ricomprar la tua vita.
 Ma sono avversi i numi. Il sol tuo sangue
1045chiedono irati. Io contra lor che posso?
 Ceder convien. Giunta a l’estremo, o figlia,
 sei di tua vita. Un atto
 degno di te lo chiuda. I numi stessi,
 da cui sei condannata,
1050n’abbian rossore; e sia
 l’ombra d’Ifigenia d’Ilio il terrore,
 de la Grecia l’amore.
 Vieni, cor mio, mio sangue. Invita e forte,
 prendi l’ultimo amplesso... E vanne a morte.
 IFIGENIA
 
1055   Più del cielo e più del fato,
 padre amato,
 mi fa fede il tuo dolore
 che innocente ho da morir.
 
    In quest’ultimo congedo,
1060non ti prego più di vita,
 sol ti chiedo
 di dar pace al tuo martir.