Alessandro Severo, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA II
 
 GIULIA con seguito e i suddetti
 
 GIULIA
 Eccomi in tuo soccorso, eccomi, o figlio.
 ALESSANDRO
 Madre.
 GIULIA
                 Costei t’insidia;
520e con le sue lusinghe
 o ti rende infelice o ti vuol reo.
 Vanne, o donna, al tuo esiglio.
 Degna di te, già l’Affrica ti attende.
 Son questi i tuoi custodi.
 SALLUSTIA
525Parto, mia augusta, parto.
 Solo pria di partir lascia ch’io baci
 la man che mi condanna.
 GIULIA
 Questa mano altre volte
 ti diè scettro e corona.
 SALLUSTIA
                                           Or la corona
530ripigliati e lo scettro.
 GIULIA
                                         Ella sul trono
 de’ cesari ti pose.
 SALLUSTIA
                                   Io ne discendo;
 né mi costa il lasciarlo
 una lagrima sola.
 GIULIA
 Ella il mio cor... Ma, ingrata,
535che più darti potea dopo il mio figlio?
 SALLUSTIA
 E questo, e questo è il dono
 che in perderlo mi costa e pianto e sangue.
 Vedilo, eccelsa madre. Io te lo rendo;
 e tel rendo innocente
540né di altra colpa reo
 che di aver troppo amata un’infelice.
 ALESSANDRO
 L’ascolto e vivo?
 SALLUSTIA
                                 Augusta,
 all’amor tuo lo lascio.
 Tu lo consola. Al vedovo suo letto
545scegli sposa più degna e più gentile.
 Questo il puoi far, ma più fedel non mai,
 che troppo, idolo mio, troppo t’amai.
 GIULIA
 Se la virtù, che hai nel tuo fato avverso,
 tra le prosperità serbata avessi,
550misera or non saresti.
 Io ti ho qualche pietà; ma a te più fasto,
 a me daria più tema
 un facile perdono.
 Vattene. Al tuo destino io ti abbandono.
 SALLUSTIA
555Addio, augusta; addio, sposo. Ah, mi perdona
 se ancor mi uscì dal labbro il dolce nome,
 nome che mai non mi uscirà dal core.
 Questa è l’ultima volta
 che il posso dir. Vado al mio duro esiglio.
560Là farò voti al cielo
 e per Roma e per Giulia e per il figlio.
 ALESSANDRO
 Tu parti, idolo mio?
 SALLUSTIA
 
    Io ti lascio, o sposo amato;
 dar vorrei l’ultimo amplesso;
565ma mi basta un guardo solo.
 
    Fa’ che almen mi sia concesso
 il saper che vivi e regni,
 sposo altrui più fortunato;
 né saprai tu il mio gran duolo.