Alessandro Severo, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA VIII
 
 GIULIA e ALESSANDRO
 
 GIULIA
 Cesare, augusto e figlio,
 avvicinati e siedi.
 ALESSANDRO
210Te sola e te presente,
 io cesare non son; non son che figlio.
 Tu augusta sei, tu madre. E questa e quella...
 GIULIA
 Sì, la madre e l’augusta a te favella.
 Figlio. Con questo nome
215comincio a rammentarti
 ciò che mi devi. Cesare. Anche questo
 titolo è mio favor. Tal non saresti,
 s’io non era tua madre.
 Elagabalo, il mostro
220coronato di Roma,
 cesare ti creò, perché mio figlio.
 Non basta. Io dall’insidie
 del tiranno crudel, sai quante volte
 ti preservai. Laccio, veleno e ferro
225minacciavan tua vita. Io la difesi.
 Cadde l’empio e tu regni.
 Questa è pur opra mia. S’ama il tuo nome;
 il tuo impero si esalta; e tutto, o figlio,
 fu di Giulia finor legge e consiglio.
 ALESSANDRO
230Il più tacesti, o madre,
 de’ benefizi tuoi; la cara sposa...
 GIULIA
 Io te la diedi, il so; ma sol la diedi
 al marital tuo letto,
 non al regio mio trono; e lei mi piacque
235tua consorte veder, non mia sovrana.
 ALESSANDRO
 Di che...
 GIULIA
                   Taci. Mi ascolta e ti confondi.
 Parli prima la madre e poi rispondi.
 Son io più Giulia? O sono
 ombra di ciò che fui? Giulia il Senato,
240Giulia vedean la curia, il foro, il circo.
 Ora Sallustia è sola
 ciò che Giulia era pria. Tutto si regge
 co’ voti della moglie
 il monarca e l’impero. Ah, figlio, figlio!...
245Se vuoi solo regnar, regna; io ne godo.
 Ma che un’altra mi usurpi ’l grado mio,
 nol soffrirò. Contenta
 cedo al figlio il poter; nol cedo a lei.
 Ella è sol mia rivale;
250e le viscere mie, figlio, tu sei.
 ALESSANDRO
 Madre, errai; non tel nego.
 Ma di errar non credei, nella mia sposa
 troppo amando un tuo dono.
 Pur di error sì innocente
255e per essa e per me chiedo perdono.
 Deh, placa l’ire. Il pianto
 che a’ piè ti spargo...
 GIULIA
                                        Amabil pianto! O figlio,
 il so, fosti sedotto.
 Orgoglio altrui mi ti avea tolto. Io trovo
260ancora il mio Alessandro. Ancor l’abbraccio;
 e su l’augusta fronte
 bacio ancora l’idee di quell’affetto,
 con cui tenera madre ognor mi amasti.
 ALESSANDRO
 O bontà che mi rende e trono e vita!
 GIULIA
265Ma la rea seduttrice io vo’ punita.
 Vada lungi l’altera
 dal talamo e dal soglio.
 L’amasti col mio cor, l’odia col mio.
 ALESSANDRO
 Odiar la sposa? O dio!
 GIULIA
270Sposa più non la dir. Ripudi ’l figlio
 chi è nimica alla madre.
 ALESSANDRO
                                               O madre! O sposa!
 GIULIA
 O la sposa o la madre abbia l’esiglio.
 O sii tutto marito o tutto figlio.
 Scrivi.
 ALESSANDRO
                Madre...
 GIULIA
                                  Su, scrivi
275sentenza di ripudio. Io tel comando.
 ALESSANDRO
 Dimmi pria che la spada
 in questo seno...
 GIULIA
                                 Eh, scrivi.
 Spose non mancheranno
 e più illustri e più belle al regio letto.
 ALESSANDRO
280Scrivo... Ma...
 GIULIA
                            Si ubbidisca.
 ALESSANDRO
 Sal... lus... tia... più... non... sei... (Scrive)
 GIULIA
                                                             Moglie né augusta.
 Scrivi.
 ALESSANDRO
                Eh, lacero vanne, o foglio reo. (Squarcia la carta impetuosamente)
 Son figlio, sì; ma ancora
 son cesare di Roma e sono augusto.
285Tutto deggio alla madre
 ma non mai la viltà di esser ingiusto.
 GIULIA
 Grazie al ciel, la tua destra
 ciò che nega il tuo cor già mi concesse.
 Ripudiata è Sallustia; e tu la carta
290segnasti del ripudio.
 ALESSANDRO
                                        Io?... Quando?... O dei!
 GIULIA
 Qui tu scrivesti. Or fremi e fremi invano. (Mostrando il memoriale sottoscritto)
 Più non mi turba il tuo mal nato amore
 né il tuo ingiusto cordoglio.
 Questo è il ripudio e tu segnasti ’l foglio.