Alessandro Severo, Venezia, Rossetti, 1717

 SCENA III
 
 ALESSANDRO e GIULIA
 
 ALESSANDRO
 Madre, pietà.
 GIULIA
                            Col torti
 dal fianco di costei t’uso pietade.
 ALESSANDRO
 In che peccò la misera innocente?
 GIULIA
 La giudichi col tuo, non col mio core.
 ALESSANDRO
575L’amai per tuo comando.
 GIULIA
 Ora è comando mio che più non l’ami.
 ALESSANDRO
 Temi dunque il mio amor?
 GIULIA
                                                    Temo il suo fasto.
 Mi tolse il grado mio. Può tormi il figlio.
 Vada, vada in esiglio.
 ALESSANDRO
580Madre, ognor ti amerò. Troppo ti deggio.
 GIULIA
 Dovea molto a la madre anche Nerone;
 e pur materno sangue
 spruzzò il trono de’ cesari.
 ALESSANDRO
                                                  Quell’empio
 forse son io?
 GIULIA
                          Nol sei;
585ma un amor da Poppea temo in costei.
 Vada pure al suo bando.
 Il Senato lo approva. Io lo comando.
 ALESSANDRO
 Nulla potrà un augusto?
 GIULIA
                                              Io tal ti feci.
 ALESSANDRO
 Mi servirò del mio poter.
 GIULIA
                                                Su via,
590si ritratti il ripudio e la sentenza.
 Torni la sposa e vi anderà la madre.
 ALESSANDRO
 (O implacabile cor). Lagrime e preghi...
 GIULIA
 Non giovano.
 ALESSANDRO
                           Il mio sangue
 giovi dunque a placarti. Io corro al lido;
595e colà, sciolto il fatal legno appena,
 o questo ferro immergerò nel petto
 o me ancor rapiran l’onde frementi.
 GIULIA
 (Aimè! Di spaventarmi
 si è trovata la via). Ferma, o spietato.
 ALESSANDRO
600Non si può tor la morte a un disperato.
 GIULIA
 
    Ferma... Ascolta...
 
 ALESSANDRO
 
    Non ascolto che il tuo sdegno;
 seguo solo il mio dolore.
 
    Odio il giorno, abborro il regno
605e ’l dolor divien furore.