Alessandro Severo, Venezia, Rossetti, 1717

 SCENA VIII
 
 GIULIA e ALESSANDRO
 
 GIULIA
 Cesare, augusto e figlio,
 avvicinati e siedi.
 ALESSANDRO
210Te sola e te presente,
 io cesare non son; non son che figlio.
 Tu augusta sei, tu madre. E questa e quella...
 GIULIA
 Sì, la madre e l’augusta a te favella.
 Figlio. Con questo nome
215comincio a rammentarti
 ciò che mi devi. Cesare. Anche questo
 titolo è mio favor. Tal non saresti,
 s’io non era tua madre.
 Elagabalo, il mostro
220coronato di Roma,
 cesare ti creò, perché mio figlio;
 non basta. Io da l’insidie
 del tiranno crudel, sai quante volte
 ti preservai. Laccio, veleno e ferro
225minacciavan tua vita. Io la difesi.
 Cadde l’empio e tu regni.
 Questa è pur opra mia. S’ama il tuo nome;
 il tuo impero si esalta; e tutto, o figlio,
 fu di Giulia finor legge e consiglio.
 ALESSANDRO
230Il più tacesti, o madre,
 de’ benefici tuoi, la cara sposa.
 GIULIA
 Io te la diedi, il so; ma sol la diedi
 al marital tuo letto,
 non al regio mio trono; e lei mi piacque
235tua consorte veder, non mia sovrana.
 ALESSANDRO
 Di che...
 GIULIA
                   Taci. Mi ascolta e ti confondi.
 Parli prima la madre e poi rispondi.
 Son io più Giulia? O sono
 ombra di ciò che fui? Giulia il Senato,
240Giulia vedean la curia, il foro, il circo.
 Ora Sallustia è sola
 ciò che Giulia era pria. Tutto si regge
 coi voti de la moglie
 il monarca e l’impero! Ah! Figlio, figlio,
245se vuoi solo regnar, regna; io ne godo.
 Ma che un’altra mi usurpi il grado mio,
 nol soffrirò. Contenta
 cedo al figlio il poter; nol cedo a lei.
 Ella è sol mia rivale;
250e le viscere mie, figlio, tu sei.
 ALESSANDRO
 Madre, errai; non tel niego.
 Ma di errar non credei, ne la mia sposa
 troppo amando un tuo dono.
 Pur di error sì innocente
255e per essa e per me chiedo perdono.
 Deh! Placa l’ire. Il pianto
 che a’ piè ti spargo...
 GIULIA
                                        Amabil pianto. O figlio,
 il so, fosti sedotto.
 Orgoglio altrui mi ti avea tolto. Io trovo
260ancora al mio Alessandro. Ancor l’abbraccio;
 e su l’augusta fronte
 bacio ancora l’idee di quell’affetto,
 con cui tenera madre ognor mi amasti.
 ALESSANDRO
 O bontà che mi rende e trono e vita!
 GIULIA
265Ma la rea seduttrice io vo’ punita.
 Vada lungi l’altera
 dal talamo e dal soglio.
 L’amasti col mio cor; l’odia col mio.
 ALESSANDRO
 Odiar la sposa? O dio!
 GIULIA
270Sposa più non la dir. Ripudi il figlio
 chi è nemica a la madre.
 ALESSANDRO
                                               O madre! O sposa!
 GIULIA
 O la sposa o la madre abbia l’esiglio.
 O sii tutto marito o tutto figlio.
 Scrivi.
 ALESSANDRO
                Madre...
 GIULIA
                                  Su, scrivi
275sentenza di ripudio. Io tel comando.
 ALESSANDRO
 Dimmi pria che la spada
 in questo seno...
 GIULIA
                                 Eh! Scrivi.
 Spose non mancheranno
 e più illustri e più belle al regio letto.
 ALESSANDRO
280Scrivo... Ma...
 GIULIA
                            Si ubbidisca.
 ALESSANDRO
 Sal... lus... tia... più... non... sei... (Scrive)
 GIULIA
                                                             Moglie né augusta.
 Scrivi.
 ALESSANDRO
                Eh! Lacero vanne, o foglio reo. (Squarcia la carta impetuosamente)
 Son figlio, sì; ma ancora
 son cesare di Roma e sono augusto.
285Tutto deggio a la madre
 ma non mai la viltà d’esser ingiusto.
 GIULIA
 Grazie al ciel! La tua destra
 ciò che nega il tuo cor già mi concesse.
 Ripudiata è Sallustia; e tu la carta
290segnasti del ripudio.
 ALESSANDRO
                                        Io?... Quando?... O dei!
 GIULIA
 Qui tu scrivesti. Or fremi e fremi invano. (Mostrando il memoriale sottoscritto)
 Più non mi turba il tuo mal nato amore
 né ’l tuo ingiusto cordoglio.
 Questo è ’l ripudio e tu segnasti il foglio.