L’Atenaide, Venezia, Pasquali, 1744 (Atenaide)

 SCENA XIV
 
 EUDOSSA e LEONTINO
 
 EUDOSSA
 Vinta è già la procella. Eccomi in porto;
 né del primo terror mi resta in seno
 più nessun turbamento.
 Il mio fermo riposo
1040vien da virtù.
 LEONTINO
                            Ma la virtude, o figlia,
 nova fuga c’impone.
 EUDOSSA
 Fuggir! Perché?
 LEONTINO
                                La fiamma,
 dagli occhi tuoi ne’ due monarchi accesa,
 a scoppiar è vicina in guerra atroce.
 EUDOSSA
1045Cesare io scelsi; e al suo giudizio deve
 acchetarsi Varane.
 LEONTINO
 Non lo sperar. Fede, che torni in danno,
 non serbano i potenti e men gli amanti.
 Se resti, avrai di che lagnarti. Andiamo.
 EUDOSSA
1050Perdonami, signor. Sposa d’augusto
 sarò fra poco. Egli m’adora...
 LEONTINO
                                                      Eh, figlia,
 sono gli amori in corte
 di debol tempra. Ove ciò torni in grado,
 politica gli scioglie.
1055Più giova al greco impero il perso amico
 ch’Eudossa imperatrice.
 EUDOSSA
 Mi fe’ troppo infelice
 la prima fuga; e pur la impose onore.
 Or la impone il timor né mancar posso
1060a la fé che giurai.
 LEONTINO
 Incauta figlia, ancor ti pentirai. (Si parte)
 EUDOSSA
 
    Eccelso trono,
 fedel consorte
 sono un dono che la sorte
1065così facile non dà.
 
    Se lo perdo è mia sciagura;
 ma s’il lascio è mia viltà.
 
 Il fine dell’atto secondo