L’Atenaide, Vienna, Cosmerovio, 1714

 SCENA III
 
 TEODOSIO, PULCHERIA e li sudetti
 
 TEODOSIO
 No, Pulcheria. Ecco Probo, ecco Varane,
 non m’ingannai.
 PULCHERIA
                                 Del torto
 Meglio ti rassicura.
 TEODOSIO
 Mel disse il cor. Certa è la mia sventura.
 VARANE
1120Signor, quanto più lieto a te verrei,
 se il mio piacer costarti
 non dovesse sospiri.
 Ma tolga il ciel ch’io di mia sorte abusi
 e mi ti mostri ingrato.
1125Se non era il tuo cor sì generoso,
 ora il mio non saria sì fortunato.
 TEODOSIO
 Prence, qualunque sia
 la tua sorte e la mia, da me prescritte
 ne fur le leggi e a quelle
1130istesse leggi io servirò d’esempio.
 PULCHERIA
 (Egli è tradito. O perfida Atenaide!)
 TEODOSIO
 Probo, adunque egli è ver? Mi rende Eudossa
 questa mercé? Paga così l’ingrata
 le mie beneficenze e la mia fede?
1135Nel tuo dolor ben veggo
 la pietà ch’hai di me. Veggo il tuo zelo;
 ma te ne assolvo. Parla;
 udir voglio da te, da te che fosti
 testimon di quell’anima spergiura,
1140tutto il suo error, tutta la mia sciagura.
 PROBO
 Signor, che dir poss’io? Quell’aurea gemma
 sfavilla in mano al prencipe de’ Persi
 di troppa luce; ed ella,
 più di quel che potrei, parla al tuo core.
 TEODOSIO
1145O gemma! O vista! O infedeltà! O dolore!
 PULCHERIA
 Sugli occhi del rival frena il tuo pianto.
 VARANE
 Ora è tempo in cui dia
 la tua virtù l’ultime prove.
 TEODOSIO
                                                  Prence,
 ti basti esser felice; a te non chieggo
1150né pietà né conforto.
 Del mio fato crudel l’ultimo vanto
 questo saria, l’esser da te compianto.
 VARANE
 
    Parto, che so qual sia
 pena spietata e ria
1155la vista d’un rival
 lieto e contento.
 
    Ed io crudel sarei,
 se oggetto di diletto
 facessi agli occhi miei
1160del tuo tormento.