L’Atenaide, Vienna, Cosmerovio, 1714

 SCENA PRIMA
 
 Logge imperiali con magnifica scalinata.
 
 EUDOSSA e LEONTINO
 
 EUDOSSA
 Fausta per me risplende
 di questo dì la chiara luce, o padre,
 se da te mi principia.
 LEONTINO
 Questi, in cui posso ancora
5favellarti da padre, ultimi instanti
 spendansi meglio. In breve
 la turba adulatrice,
 vassalla e serva, a te d’intorno accolta
 s’affollerà. Attenta Eudossa, ascolta.
 EUDOSSA
10Attendo i tuoi consigli, anzi li bramo.
 LEONTINO
 Qual fosti e qual fra poco
 sarai, ti si rammenti.
 Atene è la tua patria; ivi sortisti
 col nome di Atenaide illustri fasce
15ma non regali. Io ti fui padre.
 EUDOSSA
                                                        E guida
 agl’arcani mi fosti alti recessi,
 ove umano pensier rado s’innalza.
 LEONTINO
 La tua propizia stella
 esaminai. D’alor previdi il trono
20ch’empier dovevi. In essa
 vidi il tuo fato. Assai più chiaro il vidi
 nel tuo bel volto e ne la tua grand’alma.
 EUDOSSA
 Dono del cielo e tuo.
 LEONTINO
 Beltà e virtude in te crescean con gl’anni,
25quando del re de’ Persi il figlio erede...
 EUDOSSA
 (Varane, il so, fatal memoria).
 LEONTINO
                                                         A noi
 ospite giunse, vago
 d’erudir ne li studi
 la regal mente. Egli ad un punto istesso
30e ti vide e ti amò.
 EUDOSSA
                                   Col tuo consenso
 anch’io (stelle!) l’amai.
 LEONTINO
                                             Piacquemi un foco
 che potea farti illustre; e già mirarti
 a me parea sul perso trono assisa.
 EUDOSSA
 Nostra fuga improvisa
35sol vi si oppose.
 LEONTINO
                                Ah! Figlia,
 vidi uscir da quel foco
 anzi nebbia che luce;
 e l’impuro vapor sparger potea
 macchie eterne al mio sangue, alla tua fama.
40Teco al rischio mi tolgo.
 Fugo in Bisanzio. Ascondo
 il nome d’Atenaide in quel d’Eudossa.
 T’offro a Pulcheria, ella al fratello. A lei
 piace la tua virtude,
45a cesare il tuo volto.
 Proposto appena, è stabilito il nodo
 che ti fa augusta. Il tuo destin già è fermo,
 già paghi i voti miei.
 Col favor di Pulcheria,
50sposa a Teodosio e imperatrice or sei.
 EUDOSSA
 Ma imperatrice e sposa
 lieta non son; mi turba
 l’instabil sorte.
 LEONTINO
                              A questa
 ferma i vertiginosi impeti ciechi
55saggia virtù. M’odi e ne l’alma imprimi
 quanto un padre or consiglia.
 EUDOSSA
 Parli, parli Leontino, Eudossa è figlia.
 LEONTINO
 T’ama cesare, è ver. Teco divide
 l’autorità sovrana;
60ma può il tempo e può l’uso
 nel giovane monarca i nodi antichi,
 se non sciorre, allentar. Tu sempre fida
 soffri, taci, ama in lui
 sino la sua incostanza; e quando ancora
65tu lo vegga avvampar d’altra beltade,
 non l’irritar con importune accuse.
 Una moglie gelosa
 più molesta divien. La sofferenza
 sol fa arrossir l’infedeltà d’un core.
70E gelosia mai non racquista amore.
 EUDOSSA
 A Teodosio piacer fia di quest’alma
 sol voto, unico bene.
 LEONTINO
 In Pulcheria rispetta
 la tua benefattrice e la tua augusta.
 EUDOSSA
75Grato dover non parte
 da un nobil cor.
 LEONTINO
                                Né sien tua cura i gravi
 pubblici affari. A tuo poter sostieni
 giustizia e merto. A tutti
 non dar facile orecchio.
80Ti accarezza sovente
 la man che più t’insidia. I casi avversi
 non ti trovino vile
 né superba i felici. Anche dal trono
 al nulla, onde sortisti, il guardo abbassa.
85Fa’ che il ben de’ vassalli
 sia di Teodosio il vero bene. A lui
 la pace, il giusto e la pietà consiglia;
 e ancor dopo il possesso,
 degna del grado tuo renditi, o figlia.
 EUDOSSA
90Questi, o signor...
 LEONTINO
                                   Di genitor, che t’ama,
 sono gli ultimi accenti.
 Tu in avvenir mia augusta,
 io sarò tuo vassallo; e l’esser padre
 non farà ch’io ti nieghi il mio rispetto.
 EUDOSSA
95Come? Né men dal soglio
 scorderò il mio il dover.
 LEONTINO
                                              No no, cotesto
 dover più non pretendo.
 Mia figlia, addio.
 EUDOSSA
                                  Padre e signor...
 LEONTINO
                                                                  Ti lascio;
 ma ti lascio con pena. Ah! Soffri, o cara,
100ne l’estremo congedo il pianto mio;
 e benché singhiozzando,
 prendi l’ultimo amplesso. Eudossa, addio.
 
    Ti stringo in quest’amplesso,
 o di me stesso
105parte miglior.
 
    Benché ti ceda al trono,
 non t’abbandono
 senza dolor.