Merope, Venezia, Rossetti, 1711

 SCENA XIII
 
 MEROPE fra guardie e li suddetti
 
 MEROPE
 Merope non aspetta
 d’esser tratta a morir. Libera viene;
1520né vuol la regal mano
 l’oltraggio sofferir di tue catene.
 Su, dov’è la mia morte?
 Da chi l’avrò? Da scure? Io stendo il capo.
 Da ferro? Io porgo il seno.
1525Sia tosco, fiamma sia, laccio, ruina,
 qualunque sia, messeni,
 morirò sì; ma morirò regina.
 POLIFONTE
 Tu ostenti per virtù la tua fierezza.
 Ma farò ch’ella tremi.
1530Vedi. Colà svenato,
 e svenato da te, giace il tuo figlio.
 Apri l’infausta scena e fissa un guardo
 su quelle, che pur sono
 trofeo di tua barbarie, orride piaghe.
1535Se poi tarda pietà ti chiama ai baci,
 baciale pur ma con qual legge or senti.
 Sul freddo busto esangue
 mano a man, seno a seno e bocca a bocca
 ti leghino, o crudel, ferree ritorte;
1540e tal vivi, fintanto
 che il cadavere istesso a te dia morte.
 LICISCO
 Sacrilego!
 TRASIMEDE
                      Inumano!
 MEROPE
 Ch’ascolto! Aimè! Ne l’alma
 per qual via non usata entra l’orrore!
1545Averno non l’avea, l’ha Polifonte.
 POLIFONTE
 E per Merope l’abbia.
 Via, che più tardi?
 MEROPE
                                     Al tuo furor si serva.
 Chi sa che al primo sguardo, al primo bacio
 io non moro su voi, viscere amate.
1550O dio! Trema la mano. Il piè si aretra. (Va per aprir le cortine e poi si ritira)
 Si offusca il guardo. Io non ho cor.
 POLIFONTE
                                                                Non l’hai
 e sì fiera il vantasti?
 Orsù, già t’apro io stesso
 l’apparato letal. Da voi, messeni,
1555sia il mio cenno ubbidito.
 Mira. Epitide è quegli... Ahi! Son tradito. (Al cenno di Polifonte s’alzano le cortine e danno luogo a la vista del rimanente della sala)