Merope, Venezia, Rossetti, 1711

 SCENA XV
 
 ANASSANDRO incatenato fra guardie e detti
 
 ANASSANDRO
 Ove sono le scuri? Ove i ministri?
 Ove il palco di morte?
 L’ho meritata vil, l’attendo forte.
 TRASIMEDE
970L’avrai, fellon, l’avrai ma in più tormenti,
 in più pene divisa.
 Se la vuoi men crudel, qui t’apparecchia
 nulla a tacer, nulla a mentir del grave
 abbominando eccesso,
975consigliato da altrui, da te commesso.
 ANASSANDRO
 A che richieste? A che minacce? Io sono
 l’uccisor di Cresfonte e de’ suoi figli.
 Ecco il braccio. Ecco il ferro. In brevi accenti
 ecco il delitto, il testimon, la prova. (Gitta uno stilo nel mezzo)
 TRASIMEDE
980Non basta. Del misfatto
 si cerca il seduttor, non il ministro,
 non chi eseguì ma chi ordinò la colpa.
 ANASSANDRO
 A quel duro cimento eccomi giunto
 ch’io più temea. Spietato
985fui per esser fedel. Deh! Questo vanto
 non mi si tolga in morte; e mi si lasci
 portare a Radamanto
 un mio solo delitto e ’l sol mio pianto.
 MEROPE
 No no, rompi cotesto
990silenzio contumace.
 ANASSANDRO
 O dio!
 POLIFONTE
               Che tardi? A forza di tormenti
 parlerai, se persisti.
 ANASSANDRO
 Su via, si parli. Un traditor non mente,
 quando in morir teme il rimorso o ’l sente.
995Cadde Cresfonte e diede al colpo atroce
 Merope...
 MEROPE
                     Ferma e prima
 fissa in Merope un guardo, un ne ricevi;
 e passi dal mio volto e dal mio sguardo
 entro l’anima tua, quantunque infame,
1000una voce, un’idea che ti sgomenti.
 Riconoscimi e poi
 che colpevole io sia, dillo, se puoi.
 ANASSANDRO
 (Ahi voce! Ahi vista! Instupidita è l’alma.
 Sudo, tremo vacillo, ardo ed agghiaccio).
 POLIFONTE
1005Merope, non si teme,
 da chi è innocente, accusator che parli;
 né al suo labbro s’insulta. E tu, Anassandro,
 che più tacer? Del giudice l’aspetto
 e non l’ira del reo sia tuo spavento.
 EPITIDE
1010(Temo su quelle labbra il tradimento).
 ANASSANDRO
 (Rimorsi, addio. Lice, se giova). Io manco,
 lo so, messeni, a la giurata fede.
 Pur questo debbo al vero
 sacrifizio funesto
1015prima che del mio fral sia sciolto il laccio.
 Cadde Cresfonte; e diede
 Merope il cenno ed Anassandro il braccio.
 TRASIMEDE
 Merope il cenno?
 POLIFONTE
                                   (Eccomi in porto).
 EPITIDE
                                                                       O madre! (Vuol avvanzarsi ed è trattenuto da Licisco)
 LICISCO
 Fermati e attendi.
 MEROPE
                                    Io diedi
1020il comando sacrilego? Ove? Quando?
 Come? Perché?
 ANASSANDRO
                                Regina, ah! fossi stato
 sordo a’ tuoi prieghi. Io servo
 ubbidir ti dovea. Tu l’uscio apristi.
 Tu l’ora, il letto, il seno
1025segnasti, in cui le piaghe...
 POLIFONTE
 Non più. Già sei convinta,
 perfida donna. La sentenza è data,
 Trasimede la scriva,
 la Messenia la segni.
1030Vattene. A la tua pena oggi t’appresta.
 Al giusto la corona. Al reo la testa. (Le guardie vanno a circondare Merope. Polifonte ripiglia la corona e lo scettro dal trono)
 MEROPE
 Ah scelerato! Ah traditor! Messeni,
 Licisco, Trasimede,
 è impostor chi mi accusa;
1035è reo chi mi condanna. In me salvate
 non la regina offesa,
 non la sposa tradita,
 non la madre dolente,
 l’infelice salvate e l’innocente.
 
1040   Un labbro, un cor non v’è
 che parli o sia per me;
 e si lascia abbandonata
 l’innocenza in braccio a morte.
 
    Ma il morir non è il mio duolo;
1045duolmi solo
 il vedermi condannata
 empia madre e rea consorte. (Parte seguitata dalle guardie)