Merope, Venezia, Rossetti, 1711

 SCENA VII
 
 MEROPE
 
 MEROPE
 Ecco pur giunto il giorno
 che dir poss’io di mia sciagura estrema.
265Era poco, o fortuna, avermi tolto
 il regno non dirò, ma sposo e figli,
 da man crudel barbaramente uccisi.
 Era poco in esiglio
 tenermi il caro Epitide, in cui solo
270consolarmi potessi. Era anche poco
 pubblicarmi a Messenia
 moglie iniqua, empia madre e del mio sesso,
 anzi del mondo, il più esecrabil mostro.
 Di Polifonte al letto
275vuoi ch’io passi e ’l consenta. Il decim’anno
 giurato a le mie nozze oggi si compie.
 O giorno! O legge! O giuramento! O nozze!
 O Polifonte! O troppo avversi dei!
 O troppo acerbi mali
280che per dirvi spietati io dirò miei.
 
    Vedrassi nel suo nido
 la casta tortorella
 amar quel serpe infido
 che già l’avvelenò;
285ma ch’io prometta amor
 al mio tiranno, no,
 non si vedrà.
 
    Talor mostrar potrà
 lo sdegno suo placato
290a lui che dispietato
 i figli a lei rapì;
 ma pace dal mio cor
 l’empio, che mi tradì,
 mai non avrà.