Costantino (Pariati), Venezia, Pasquali, 1744

 ARGOMENTO
 
    I motivi, che indussero Massimiano a rinunziare con Diocleziano l’impero, e il pentimento, ch’egli ebbe dopo una sì grande rinunzia, son troppo noti nell’istoria romana, onde qui s’abbia ad istruirne il lettore. Per l’intelligenza del presente dramma, basterà dire che dopo la serie di molti anni Costantino, che poi dalle sue insigni operazioni meritò il soprannome di Grande, essendo pervenuto all’impero, prese in moglie Fausta, figliuola di Massimiano, il quale non per altro gliela concedette se non per aver un piede su quel trono medesimo, dal quale egli era disceso. Il famoso Lattanzio, nella sua celebre opera De mortibus persecutorum al capitolo 30, riferisce che Massimiano, sedotto da una cieca ambizione, stimolò con varie arti la figlia a tradire il marito ed a lasciare di nottetempo aperto l’ingresso nelle stanze di Costantino, acciocché ei potesse torlo di vita a man salva, promettendole in ricompensa più degno marito. Come l’imperatrice salvasse il consorte e deludesse la perfidia del padre si vede dall’istoria e, con poca diversità, anche dal dramma. L’esito di questo fatto fu la morte di Massimiano. Sulla tessitura di quest’azione, la quale fu parimente con molta felicità maneggiata da Tommaso Cornelio nella sua tragedia di Massimiano, la storia ci ha somministrato il personaggio di Licinio, il quale fu poi marito di una sorella di Costantino. Il rimanente è invenzione. La scena è in Marsiglia, dove tal fatto anche avvenne.