Costantino (Pariati), Venezia, Rossetti, 1711

 SCENA V
 
 COSTANTINO e FLAVIA con guardie e la sudetta
 
 COSTANTINO
 Si guardin quelle soglie. (Le guardie custodiscono la porta del gabinetto)
 FAUSTA
                                                Amato sposo.
 COSTANTINO
1405Evvi altro rischio? Ancor partir degg’io?
 FAUSTA
 Tutto ancor non è spento il tuo periglio.
 COSTANTINO
 Infedel! Ben lo so.
 FAUSTA
                                    Con quella fede
 che tace il reo, tutte l’insidie espongo.
 COSTANTINO
 Tutta? Menti, alma vil. De la mia vita
1410da te seppi l’insidia,
 non quella del mio onor. Col reo tacesti
 gli amplessi disonesti, o donna ingrata;
 tacesti, o scellerata, i baci infami.
 FAUSTA
 Io?
 FLAVIA
          Negarlo potrai di Flavia agli occhi?
 COSTANTINO
1415Non bastava Licinio? Un reo peggiore,
 un più vile fellon cerchi in Albino?
 FAUSTA
 Cieli! Che ascolto?
 FLAVIA
                                     E là si chiude.
 FAUSTA
                                                                 È vero;
 ma in Albino...
 COSTANTINO
                              Non più. Qui la sua pena, (Parte una guardia)
 giudice e non più sposo,
1420la rea, che in te ritrovo, in te condanno.
 Risolvi. Nel tuo labbro o nel tuo seno (Torna la guardia e porta uno stilo ed il veleno)
 la punisca quel ferro o quel veleno.
 FAUSTA
 Pronta; ma venga Albino.
 COSTANTINO
 A noi si tragga il traditore infame. (Le guardie entrano nel gabinetto)
 FAUSTA
1425L’infame, il traditore
 che a me, perfida moglie ed impudica,
 fu compagno nel fallo,
 sia nella pena a me compagno ancora.
 COSTANTINO
 Ecco il fellon. Morir ti vegga e mora.