Costantino (Pariati), Venezia, Rossetti, 1711

 SCENA V
 
 COSTANTINO, MASSIMIANO e FAUSTA
 
 COSTANTINO
 Signor, non perché dubbia
 mi fosse la tua fé ma perch’io volli
1150confonder quell’iniquo, a lui sul volto
 trasser Leone i cenni miei.
 FAUSTA
                                                   Signore... (A Costantino)
 COSTANTINO
 Il tuo giudice è quegli. Esso ti ascolti.
 FAUSTA
 Padre...
 MASSIMIANO
                  Vo’ ancor udirla. (A Costantino) . A che mi chiami?
 FAUSTA
 Padre, stancar tu vuoi col tuo furore (In disparte a Massimiano)
1155la mia virtù, la mia pietà. Se parlo,
 tu sei perduto.
 MASSIMIANO
                              Il so, fosti sedotta (Alzando la voce)
 dal traditor. Umil qui taci e spera
 dal suo affetto e dal mio forse il perdono.
 FAUSTA
 (Anche dal genitor tradita io sono).
 MASSIMIANO
1160Costantin, quel suo duolo
 già l’addita men rea. Mora l’indegno,
 che l’ha sedotta, e tornerà innocente.
 COSTANTINO
 Io tel confesso, o Massimiano. In lei
 sinora odiar non so che la sua colpa.
1165Seco rimanti. In brieve
 ne le sue stanze ancora
 la rivedrò. Felice,
 se qual me la prometti a me la rendi.
 MASSIMIANO
 Tale l’avrai. Qui non udirla e mostra
1170per terror del suo fallo ira più forte.
 COSTANTINO
 Solo al tuo braccio, o Massimian, mi affido;
 veglia per me. Tu me difendi; e salva
 con la pena degli empi il viver mio.
 FAUSTA
 Se non credi a l’amor, deh! credi al zelo
1175di me tua sposa. Il rischio tuo sapesti;
 ma il nemico non sai. Temilo in tutti.
 Veglia tu stesso in tua salvezza attento;
 e cauto in ogni destra, in ogni core
 sospetta il traditore e ’l tradimento.
 COSTANTINO
1180La tua perfidia è il mio maggior spavento.
 
    Ciò che più m’agita l’alma sdegnata
 è solo, o ingrata,
 è solo, o perfida, il tuo furor.
 
    Sarei men misero, s’a’ danni miei,
1185con gli altri rei,
 non fosse barbaro anche il tuo cor.