Costantino (Pariati), Venezia, Rossetti, 1711

 SCENA III
 
 MASSIMIANO e poi FAUSTA
 
 MASSIMIANO
80Remora a le grandi opre,
 tardo e vile rimorso,
 da me che vuoi? Che chiedi? Alor dovevi
 empiermi del tuo gel, quando il diadema
 mi strappai da la fronte. Ora qual vissi
85morir cesare io voglio.
 Tutto è virtù ciò che mi rende al soglio.
 FAUSTA
 Di quel non lieve affanno,
 onde spargi la fronte, io vengo a parte,
 padre e signor.
 MASSIMIANO
                               Mal favellasti. Augusta
90non ha più padre.
 FAUSTA
                                    Come?
 Fausta io non son? Tu Massimian non sei?
 MASSIMIANO
 Né Massimian né son di Fausta il padre.
 Quegli che colà miri
 padre è di Fausta. A lui sul crin risplende
95l’aureo diadema. A lui
 cuopre gli omeri eccelsi il regio ammanto.
 Tal era Massimiano,
 tal di Fausta era il padre. In me nol vedi
 qual lo vedi nel sasso. Ah! Venga il giorno
100ch’ei torni a ricalcar porpora e trono;
 e Fausta alor mi dica
 che Massimiano e che suo padre io sono.
 FAUSTA
 Qual favellar? In questi
 ambiziosi sensi, è ver, perdona,
105né veggo Massimian né trovo il padre.
 Ma che parlo? Il comando
 da te già rifiutato...
 MASSIMIANO
 Taci, che un tal rifiuto è ’l mio rimorso.
 FAUSTA
 Meno cesare or sei di quel che fosti?
110Non è per te di Costantin l’amore?
 Fuorch’il titolo augusto, e che ti manca?
 Né questo manca. Ove tu ’l voglia, questo
 pur anch’avrai.
 MASSIMIANO
                               No no, solo a me stesso,
 per ben regnar, voglio dover l’impero.
115Io vi riposi un piede
 quando ti diedi a Costantino e quando
 ti tolsi, ahi! troppo ingiusto,
 a l’amor di Licinio e forse al tuo.
 FAUSTA
 Memoria acerba!
 MASSIMIANO
                                   Al nome di Licinio
120Fausta sospira?
 FAUSTA
                                Ah! Padre,
 tu a cesare mi desti. Era tua figlia
 e t’ubbidii. Perdona
 un sospiro innocente al nostro amore;
 né tiranno ti far sul mio dolore.
 MASSIMIANO
125Io t’ho pietà più che non pensi, o figlia.
 Odimi. Costantino oggi a Licinio,
 a Licinio che t’ama,
 vuol che Flavia sia sposa. Io son tuo padre.
 Voglio... Più dir non posso. A figlia amante,
130se tace il genitor, parli il dovere.
 Addio. Regno ed amore,
 figlia, sposo ed augusta unir potrai.
 Pensa. Io son padre; e ’l tuo dover tu sai.