Scipione nelle Spagne, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA X
 
 SCIPIONE e i detti
 
 CARDENIO
 Signor, la sconoscenza,
820nota d’alma plebea, me non ingombri.
 Darmi ti piacque Sofonisba in sposa.
 Grande è il tuo don. L’amo e l’amai; ma il tolgo
 al più tenero amante, ad un cui deggio
 quanto posso dover. Soffri la forza
825del mio rifiuto; e Scipio non si offenda
 che per mia gloria un suo favor gli renda.
 SCIPIONE
 Che invitto core! In Sofonisba ei vede
 l’amor di Scipio; e solo
 per piacer d’esser grato, a me la cede.
830Cardenio, onoro il nobil atto e l’amo;
 ma Scipion non ritoglie
 ciò che già diede.
 CARDENIO
                                   Offrir tu il puoi, ma tutta
 è mia la libertà del ricusarlo.
 SCIPIONE
 Anche un rifiuto è offesa.
 CARDENIO
                                                 Il mio dovere
835ama più l’onor mio che il tuo piacere.
 LUCEIO
 (Contesa illustre!)
 SCIPIONE
                                    Amico,
 tu giudice ne sii. Che oprar dobbiamo?
 LUCEIO
 Risponderò qual deggio (e non qual bramo).
 L’onesto oprar libero è sempre; e fora
840contrastarlo ingiustizia.
 Da generoso opra Cardenio e il move
 la sua riconoscenza.
 Tu vietarlo non puoi, perch’egli è grato;
 tu sdegnarti non puoi, perch’egli è giusto.
845Saria tua colpa amar ch’ei fosse ingrato.
 Saria tuo scorno impor ch’ei fosse ingiusto.
 SCIPIONE
 Resto convinto; e il tuo rifiuto accetto.
 CARDENIO
 (Ho vinto, sì; ma il cor mi langue in petto).
 
    Se amerò senza speranza,
850con più merto anche amerò.
 
    Non si pregi di costanza
 un amor che sperar può.