Scipione nelle Spagne, Venezia, Pasquali, 1744

 SCENA XIII
 
 MARZIO, poi SCIPIONE, TREBELLIO e LUCEIO con seguito, e i sopraddetti.
 
 MARZIO
                                             Fermati, o crudo.
 ELVIRA
405O ciel! Marzio.
 CARDENIO
                              L’oggetto
 dell’ire mie. Mori, lascivo.
 MARZIO
                                                  Il fio
 tu pagherai, da questo acciar trafitto,
 della tua crudeltà, del tuo delitto. (Si battono)
 SCIPIONE
 Olà. Marzio, qual’ire? Onde quell’armi?
 MARZIO
410Da un cieco altrui furor. Costui di Elvira
 tentò la morte. Io scudo
 feci col mio dell’innocente al seno;
 e la sua rabbia allora
 volse l’acciar contra il mio petto istesso.
 SCIPIONE
415E te chi spinse a così enorme eccesso?
 CARDENIO
 Forza di onor. Tu che sei giusto, o duce,
 odi le mie discolpe
 e assolva i falli miei l’altrui misfatto.
 Cardenio son. Mi è suora Elvira. Oltraggi
420medita Marzio all’onestà di lei.
 MARZIO
 Io?...
 SCIPIONE
             Taci. Ei segua.
 LUCEIO
                                          (Il mio rivale è questi).
 ELVIRA
 (Quegli è il mio ben. Come di Scipio al fianco?)
 CARDENIO
 Lo veggo e il sento. All’onta
 vo’ sottrarla col ferro. Egli mi arresta.
425Tento punirlo. Non uccisi Elvira.
 Marzio ancor vive; e la mia colpa è questa.
 ELVIRA
 Colpa sì bella è degna
 del tuo favor. Fu Elvira
 che a lui chiese la morte
430e la salva onestà n’era il gran prezzo.
 Marzio, che m’insultò, Scipio anche offese;
 e se Scipio il difende,
 reo dell’altrui perfidia anch’ei si rende.
 SCIPIONE
 Tribun, tu così ardito?
435Così rispetti un mio comando?
 MARZIO
                                                           Elvira
 restò mia schiava e sovra lei mi danno
 l’armi e le leggi autorità che è giusta.
 SCIPIONE
 Ma non sovra il suo onor. Tu ne perdesti,
 con abusarne, ogni ragion. Trebellio.
 TREBELLIO
440Signor.
 SCIPIONE
                 Scortisi Elvira
 tosto in Cartago. Questa
 sia la prima tua pena, o cor lascivo.
 MARZIO
 (Pena crudele! Io perdo Elvira e vivo).
 ELVIRA
 
    Nella mia sorte ria
445non imploro altro ristoro,
 or che salva è l’onestà.
 
    Soffro in pace ogni martoro
 e non sei de’ voti miei
 quel che piango, o libertà.