Scipione nelle Spagne, Vienna, van Ghelen, 1722

 SCENA VI
 
 SOFONISBA e LUCEIO
 
 LUCEIO
 Tu, Sofonisba mia?
 SOFONISBA
                                      Tu, mio Luceio?
 A DUE
 
125   Non lo credo agli occhi miei
 e pur sei l’idolo mio.
 
    Ho timor che un tanto bene
 sia lusinga de la spene,
 sia fantasma del disio.
 
 LUCEIO
130Ma qual barbara legge
 nel sordo mar quasi ti trasse a morte?
 SOFONISBA
 Quella del mio destin. Veggo in un giorno
 la città presa, i miei disfatti, il padre
 ferito e schiavo. I ceppi suoi compiango,
135compiango i miei. Scipio mi vede e accresce
 con l’amor suo le mie sciagure. Il grido
 mi giugne alfin de la tua morte. A questo
 funesto ultimo colpo
 più non resisto. Odio la vita. A’ flutti
140mi spingo in seno, o disperata o forte.
 Mi opprime il mar. L’onda qua e là mi volve;
 perdo il dì; manca il senso,
 poi non so come in su la spiaggia asciutta
 riapro gli occhi e a te mi trovo a canto,
145a te, mio ben, sì sospirato e pianto.
 LUCEIO
 Non fur meno de’ tuoi strani i miei casi.
 Dacché a l’armi romane
 cedé il punico Marte e ’l Marte ibero,
 lasso anch’io da la pugna
150ritraggo il piè. Giungo ove giace un nostro
 soldato estinto e col favor de l’ombre
 cuopro me del suo usbergo e lui del mio.
 Corre intorno la fama
 che morto io sia. Questa mi giova. Intanto
155chieggo di te. T’odo prigion. M’aggiro
 presso Cartago. Entro quell’onde veggio
 donna cader da l’alta torre. A l’uopo
 non tardo accorro e a morte
 te in lei sottraggo, anzi me stesso, o cara;
160che la morte più ria
 nel sen di Sofonisba era la mia.
 SOFONISBA
 Or che salvo è Luceio,
 del rigor vostro, o dei, più non mi dolgo.
 LUCEIO
 Né dolerci convien. Salda costanza
165provano i casi avversi.
 SOFONISBA
 Aimè! Scipio qui giugne.
 LUCEIO
                                                A lui si asconda
 la sorte mia. Di’ solo
 ch’io sono ibero e che ti tolsi a l’onda.