Scipione nelle Spagne, Venezia, Marciana, autografo

 SCENA VI
 
 1 SOFONISBA e 2 LUCEIO
 
 LUCEIO
 Tu, Sofonisba mia?
 SOFONISBA
                                      Tu, mio Luceio?
 A DUE
 
125   Non lo credo agli occhi miei
 e pur sei l’idolo mio.
 
    Ho timor che un tanto bene
 sia lusinga de la spene,
 sia fantasma del disio.
 
 LUCEIO
130Ma qual barbara legge
 nel sordo mar quasi ti trasse a morte?
 SOFONISBA
 Quella del mio destin. Veggo in un giorno
 la città presa, i miei disfatti, il padre
 ferito e schiavo. I ceppi suoi compiango;
135compiango i miei. Scipio mi vede e accresce
 con l’amor suo le mie sciagure. Il grido
 mi giugne alfin de la tua morte. A questo
 funesto ultimo colpo
 più non resisto. Odio la vita. A’ flutti
140mi spingo in seno, o disperata o forte.
 Mi opprime il mar. L’onda qua e là mi volve;
 perdo il dì; manca il senso;
 poi non so come in su la spiaggia asciutta
 riapro gli occhi e a te mi trovo a canto,
145a te mio ben, sì sospirato e pianto.
 LUCEIO
 Non fur meno de’ tuoi strani i miei casi.
 Dacché a l’armi romane
 cedé il punico Marte e ’l Marte ibero,
 lasso anch’io da la pugna,
150ritraggo il piè. Giungo ove giace un nostro
 guerriero soldato soldato estinto e col favor de l’ombre
 cuopro me del suo usbergo e lui del mio.
 Corre intorno la fama
 che morto io sia. Questa mi giova. Intanto
155chieggo di te. T’odo prigion. M’aggiro
 presso Cartago. E mentre veggo Entro quell’onde veggio
 spinto da l’amor mio,
 cerco la via men osservata al passo,
 veggo nel vicin flutto
 donna cader da l’alta torre. A l’uopo
 non tardo accorro e a morte
 te in lei sottraggo, anzi, me stesso, o cara,
160che la morte più ria
 nel sen di Sofonisba era la mia.
 SOFONISBA
 Or che salvo è Luceio,
 del rigor vostro, o dei, più non mi dolgo.
 LUCEIO
 Né dolerci convien. Salda costanza
165provano i casi avversi.
 SOFONISBA
 Aimè! Scipio qui giugne.
 LUCEIO
                                                A lui si asconda
 la sorte mia. Di’ solo
 ch’io sono ibero e che ti tolsi a l’onda.