Venceslao, Venezia, Albrizzi, 1703

 ATTO QUARTO
 
 Viale di verdura contiguo agli appartamenti di Erenice, con urna sepolcrale nel mezzo che si va fabbricando da scultori polacchi, i quali intrecciano il ballo.
 
 SCENA PRIMA
 
 ERENICE sola
 
 ERENICE
 Urna, che del mio sposo
 chiuder dovrai le ceneri adorate,
1090in que’ pallidi marmi
 non ben mi piaci. Ancora
 ti manca il più bel fregio. Il cor ti manca
 di Casimiro. Io vel porrò. Lo attendi
 da un amor disperato.
1095Tinto poi di quell’ostro,
 il tuo pallido orror sarà più grato.
 
 SCENA II
 
 ERNANDO, ERENICE
 
 ERNANDO
 Principessa, a te viene
 un amico, un amante
 ad unir le sue pene al tuo dolore.
 ERENICE
1100Di vendetta si parli e non di amore.
 ERNANDO
 Vendetta, sì, vendetta
 anch’io voglio, anch’io giuro. (Si accosta all’urna e snuda la spada)
 O tu che sanguinosa
 qui d’intorno ti aggiri, ombra insepolta,
1105tu ricevi i miei voti e tu gli ascolta.
 
    Lo sdegno e ’l brando
 l’amico Ernando
 consacra a te.
 
    Alma diletta,
1110farò vendetta
 che a te dia pace
 e gloria a me.
 
 ERENICE
 Quanto mi piace l’odio tuo!
 ERNANDO
                                                    Lo irrita
 amor nel tuo dolore.
 ERENICE
1115E pur ritorni a ragionar di amore.
 ERNANDO
 Amor che non offende
 né la tua fé né l’amistà di Ernando
 non può irritarti. I mali tuoi nol fanno
 più ardito e baldanzoso. Egli è ben forte
1120ma disperato.
 ERENICE
                             E s’egli è tal, l’accetto.
 Disperato è anche il mio.
 ERNANDO
                                                Tale il prometto.
 ERENICE
 Ti ricevo or compagno
 nel mio furore.
 ERNANDO
                               Andiamo. Io più di un seno
 ti additerò dove infierire.
 ERENICE
                                                 Andiamo.
1125Ma tua sola mercede
 fia ch’Erenice a l’amor tuo dà fede.
 ERNANDO
 
    Sarà gloria a la costanza
 il dover senza mercede,
 idol mio, per te languir.
 
1130   Toglie il merito a la fede
 la speranza del gioir.
 
 Torre che serve di prigione, corrispondente al palazzo reale.
 
 SCENA III
 
 CASIMIRO solo incatenato
 
 CASIMIRO
 Ove siete? Che fate,
 spirti di Casimiro? Io di re figlio,
 io di più regni erede,
1135io tra marmi ristretto? Io ceppi al piede?
 
    Dure ritorte,
 con braccio forte
 vi scoterò,
 vi spezzerò.
1140Vuole il padre ch’io mora, ahi! che farò?
 
 Ch’io mora? È tanto grave il mio delitto?
 Ah sì! Per me cadde il fratel. Ma cadde
 senza colpa del core.
 Volea morto il rival, ne ha colpa amore.
1145Amor, sì sì, tu solo
 se’ mia gran colpa. O di Erenice, o troppo
 bellezze a me fatali, io vi detesto.
 Son misero, son reo, son fratricida,
 perché vi amai. Sono spergiuro ancora,
1150spergiuro ed empio a chi fedel mi adora.
 
    Ombre squallide, furie di amor,
 su venite, tormentate,
 lacerate questo cor.
 
    Date morte... Ah no! Fermate
1155e lasciate
 tanto solo a me di vita
 che dir possa lagrimando:
 «Cara sposa fedele, io ti ho tradita».
 
 SCENA IV
 
 GISMONDO, LUCINDA e CASIMIRO
 
 GISMONDO
 Lucinda a te sen viene.
 CASIMIRO
1160Lucinda a me? Per qual destino, o dei?
 LUCINDA
 (Secondi amor propizio i voti miei).
 CASIMIRO
 Regina, (dir non oso
 Lucinda, sposa, nomi
 in bocca sì crudel troppo soavi)
1165leggo su la tua fronte
 la sorte mia. Tu vieni
 nunzia de la mia morte e spettatrice.
 Di buon cor la ricevo;
 ma la ricevo in pena
1170di averti iniquo, o mia fedel, tradita,
 se pur la ria sentenza
 sul labbro tuo morte non è ma vita.
 GISMONDO
 Desta pietà.
 LUCINDA
                         (Caro dolor!) Custodi,
 al piè di Casimiro
1175tolgansi le ritorte.
 GISMONDO
 Lo impone il re.
 CASIMIRO
                                Che cangiamento è questo?
 LUCINDA
 Da me la morte attendi?
 Da me, crudel?
 CASIMIRO
                               Da te che offesi.
 LUCINDA
                                                              Ingrato.
 CASIMIRO
 Ben ne ho dolor; ma indegno
1180di tua pietade io sono;
 ed or, bella, a’ tuoi piedi
 chiedo la pena mia, non il perdono.
 LUCINDA
 Casimiro, altra pena
 non chiedo a te che l’amor tuo. Del primo
1185tuo pianto io son contenta.
 Godo di perdonarti
 e la vendetta mia sia l’abbracciarti.
 GISMONDO
 Prenci, non più dimore. Il re vi attende.
 CASIMIRO
 A che?
 LUCINDA
                Dal regio labbro
1190l’alto destin ne intenderai.
 CASIMIRO
                                                   Già scordo
 vicino a te, mio bene, i mali miei.
 LUCINDA
 Io ti ottenni il perdon. Temer non dei.
 GISMONDO
 Or vi precedo.
 LUCINDA
                             Andiamo. O gioia!
 CASIMIRO
                                                                 O sorte!
 A DUE
 Né sciolga un sì bel laccio altri che morte.
 CASIMIRO
 
1195   Stringi...
 
 LUCINDA
 
                       Abbraccia...
 
 A DUE
 
                                               Questo petto.
 
 CASIMIRO
 
 Mio conforto.
 
 LUCINDA
 
                            Mio diletto.
 
 A DUE
 
 E saprai che sia goder.
 
    Senti, senti questo core,
 come immenso è in lui l’amore,
1200sommo ancora è ’l suo piacer.
 
 Sala di regie nozze.
 
 SCENA V
 
 VENCESLAO con guardie, poi GISMONDO
 
 VENCESLAO
 Nozze più strane e meno attese e quando,
 Polonia, udisti? Onor le chiede. Impegno
 le stringe; e questa reggia
 ne serve a l’apparato e le festeggia.
1205Ma...
 GISMONDO
             Si avanza a’ tuoi cenni
 la regal coppia.
 VENCESLAO
                               Venga.
 Tu ciò che imposi ad affrettar t’invia.
 Al principio de l’opra
 ben corrisponda il fin.
 GISMONDO
                                           Strane vicende,
1210vi figura il pensiero e non v’intende.
 
 SCENA VI
 
 CASIMIRO, LUCINDA e VENCESLAO
 
 CASIMIRO
 De’ più illustri sponsali
 questa è la reggia.
 LUCINDA
                                    E qui ti attende il padre.
 VENCESLAO
 Figlio, in onta a tue colpe
 son padre ancora. Alor che morte attendi,
1215agl’imenei t’invito e ti presento
 in Lucinda una sposa.
 Tutt’altro oggi attendevi
 fuorché un tal dono. Abbilo a grado. Il chiede
 tuo dover, mio comando e più sua fede.
 LUCINDA
1220(Che mai dirà?)
 CASIMIRO
                                 Deh come
 è possibile, o padre,
 che sì tosto si cangi
 la sorte mia? Dovea morire...
 VENCESLAO
                                                       Eh lascia
 la memoria funesta.
1225Pensa or solo a goder. Tua sposa è questa.
 CASIMIRO
 Caro più de la vita
 m’è ’l dono tuo. Lo accetto,
 non perché tu ma perché amor lo impone;
 e a la bella Lucinda
1230non mi sposa il timor ma la ragione.
 LUCINDA
 E di gioia non moro?
 VENCESLAO
                                         Or questa gemma (Dà un anello a Casimiro che poi con esso sposa Lucinda)
 confermi a lei la marital tua fede.
 CASIMIRO
 Ma più di questa gemma
 te la confermi il core.
 LUCINDA
1235Mio tesoro.
 CASIMIRO
                        Mio ben.
 A DUE
                                           Mio dolce amore.
 VENCESLAO
 Sposi, sì casti amplessi
 lasciar si denno in libertà.
 CASIMIRO
                                                  Due volte
 mi fosti padre.
 LUCINDA
                              E vita
 ti deggio anch’io.
 VENCESLAO
                                  Regina,
1240a l’onor tuo si è soddisfatto?
 LUCINDA
                                                     Appieno.
 VENCESLAO
 Se’ paga?
 LUCINDA
                     In Casimiro
 tutta lieta è quest’alma e più non chiede.
 VENCESLAO
 Egli è tuo sposo ed io serbai la fede.
 LUCINDA
 La fé serbasti.
 VENCESLAO
                             Addio. Null’altro, o sposi,
1245qui far mi resta, orché la fé serbai.
 Ma Casimiro...
 CASIMIRO
                              Padre.
 VENCESLAO
 Deggio altrui pur serbarla. Oggi morrai.
 
 SCENA VII
 
 LUCINDA, CASIMIRO
 
 LUCINDA
 Oggi morrai? Dirlo ha potuto un padre?
 Lucinda udirlo? Oggi morrai? Spietato
1250giudice, iniquo re, così mi serbi
 la fé per più tradirmi?
 Mi dai lo sposo e mel ritogli? O tutto
 ripigliati il tuo dono o tutto il rendi.
 Se mi se’ più crudel, meno mi offendi.
1255E tu che fai? Che non ti scuoti? Il cenno
 udisti di un tiranno e non di un padre.
 Carnefice vuol torti
 la vita che ti diede e romper tutti
 gli ordini di giustizia e di natura.
1260Né ti risenti? E soffri
 attonito la tua, la mia sciagura?
 CASIMIRO
 Lucinda, anima mia,
 che far? Che dir poss’io? Veggo i miei mali
 e so di meritarli.
1265Penso al tuo duolo e ti compiango. O sposa,
 misera sposa! giunta
 a vederti tradire,
 a vedermi morire.
 LUCINDA
 Morir? Me forse credi
1270sì vil, sì poco amante
 che sofferire il possa?
 Meco ho guerrieri; ho meco ardire; ho meco
 amor, sangue, ragione.
 Ecciterò ne’ popoli lo sdegno;
1275empierò d’ire il regno,
 di tumulto la reggia,
 tratterò ferro e foco;
 
    e se teco io non vivrò,
 teco, sposo, io morirò.
 
 CASIMIRO
1280Disperati consigli amor ti detta.
 Che tu li siegua è vano
 per me, per te funesto.
 Un soccorso rifiuto
 ch’esser può mio delitto e tuo periglio.
1285Il re mi è padre; io son vassallo e figlio.
 LUCINDA
 Crudel, se’ sposo ancora.
 Serbi il nome di figlio a chi ti uccide,
 nieghi il nome di sposo a chi ti adora.
 CASIMIRO
 Anzi questo è ’l sol nome
1290che più mi è caro, io meco
 porterollo agli Elisi, ombra costante;
 e là dirò: «Son di Lucinda amante».
 LUCINDA
 Va’ pur; ti è cara, il veggio,
 la morte tua. Vanne, l’incontra; a l’empio
1295carnefice fa’ core e ’l colpo affretta.
 Ma sappi, io pur morrò. Mi avrai ben tosto
 tua compagna a la tomba.
 Spirerò sul tuo capo,
 caderò sul tuo busto
1300dal ferro uccisa o dal dolor. Tu piangi?
 Tu impallidisci? Il mio morir tu temi?
 Né temi il tuo? Che pietà è questa? Priva
 mi vuoi d’alma e di core e vuoi ch’io viva?
 CASIMIRO
 Sì, vivi; il dono è questo
1305che ti chiedo in morendo. Addio, mia sposa,
 degna di miglior sorte
 e di sposo miglior.
 LUCINDA
                                     Tu parti?
 CASIMIRO
                                                         Addio.
 Tollerar più non posso
 la pietà di quel pianto. Andrò men forte,
1310se più ti miro, andrò, mia cara, a morte.
 
    Parto; non ho costanza
 per rimirarti a piangere.
 Sposa, ti abbraccio. Addio.
 
    Se più rimango, io moro.
1315Ma non saria morir
 sugli occhi di chi adoro
 il morir mio.
 
 SCENA VIII
 
 LUCINDA
 
 LUCINDA
 Correte a rivi, a fiumi, amare lagrime.
 Tolto da me lo sposo
1320ha l’ultimo congedo.
 Più non lo rivedrò. Barbaro padre!
 Miserabile sposo! Ingiusti numi!
 Su, lagrime, correte a rivi, a fiumi.
 Ma che giova qui ’l pianto? A l’armi, a l’armi.
1325Giacché tutto disperi,
 tutto ardisci, o Lucinda. Apriti a forza
 ne la reggia l’ingresso. Ecco già parmi
 di svenare il tiranno,
 di dar morte a’ custodi,
1330di dar vita al mio sposo e di abbracciarlo
 fuori de’ ceppi... Ahi dove son? Che parlo?
 
    Vaneggia la spene,
 delira l’affetto;
 e intanto il mio bene
1335a morte sen va.
 
    Lo salvo pietosa,
 lo abbraccio amorosa
 e ancora ristretto
 fra ceppi egli sta.
 
 Il fine del quarto atto