Il Tirsi, Venezia, Nicolini, 1696

 IL TIRSI
 
    Drama pastorale per musica da rappresentarsi nel teatro di San Salvatore l’autunno dell’anno MDCXCVI, dedicato all’altezza serenissima di Ferdinando Carlo, duca di Mantova, Monferrato, Guastalla, Carlovilla, eccetera.
    In Venezia, per il Nicolini.
 
 Serenissima altezza,
    tra le ambizioni del desiderio ha penato abbastanza la mia divozione, ambiziosa di farsi conoscere a vostra altezza serenissima; e confesso che più volte ne ho corretta l’audacia, col metterla in riflesso del di lei merito e in diffidenza del mio talento. Con l’applauso io le faceva giustizia ma la condannava col mio timore, geloso che il troppo ardire la rendesse indiscreta e ’l troppo zelo colpevole. Ma già non mi trovo più forze da raffrenarla; convien che la lasci in libertà de’ suoi voti; e finalmente comprendo che nelle angustie passate ella ha cangiata natura, divenuto necessità ciò che prima non era che inclinazione. Sì, serenissima altezza, in quel punto ch’io volea stabilire di dedicarle il mio drama, m’accorsi che non era più in mio poter il non farlo. Le di lei eccelse prerogative, soave incanto degli animi, aveano tacitamente posto in catene il mio arbitrio, perché poi, nell’offerta che dovea farle, m’avvedessi d’aver perduto il piacere dell’elezione e la speranza del merito. Ecco pertanto che in così ardita risoluzione non ho preteso di offerire a vostra altezza serenissima un componimento degno del suo alto riflesso ma ho solamente pensato di ubbidire a così dolce violenza e di sodisfare a me stesso, non d’altra cosa pentito che d’averla sì lungamente tardata. Io so bene peraltro che un nome così glorioso assai meglio sa stare alla testa d’un esercito che alla fronte d’un drama e che più si pregia di spaventare i cuori degl’infedeli che le lingue degli aristarchi; o pure, giacché mi trovava in questa necessità di consacrarle qualche debole parto della mia penna, dovea sciegliermi sogetto eguale alla grandezza del mecenate, preso non dalle storie più straniere e lontane ma dagli annali della sua serenissima casa in cui, nel lungo corso de’ secoli, sudò la natura quasi per impegno gli eroi e consumò per sua gloria la perfezion delle idee. Ma come il cielo tra la sua persona e la mia ha posto sì grande spazio di lontananza, volli, in accostarmi a vostra altezza serenissima, non portar meco altri fregi che quelli di mia bassezza, sicuro che sarò meno colpevole quanto sarò men audace e che, in dedicandole più tosto pastori che principi, avrò tentato a’ più deboli un patrocinio. Con questo riflesso, vostra altezza serenissima averà la gloria di sostenere i più fiacchi, io quella di umiliarmele a’ piedi e di rassegnarmi di vostra altezza serenissima umilissimo, devotissimo ed ossequiosissimo servitore.
 
    Apostolo Zeno
 
 Cortese lettore,
    io ti presento in luoco d’argomento una lettera. Il sogetto di questa favola non ha altro fondamento che la bizarria del capriccio e la necessità d’un commando, motivi che, benché opposti, si unirono a fabricarlo. Gli attori che ho scielti a rappresentarla sono semplici ninfe ed oziosi pastori, non già di quella innocenza con cui se li ha descritti l’antichità ma in un tempo che il vizio, pessima corrutela de’ regni, avea principiato a dilatare i confini ne’ villerecci tuguri e a far domestica alcuna di sue licenza alle selve. In Tirsi, pastore infedele e protagonista del drama, mi sono proposto di figurare uno di questi amanti alla moda che fingono di spasimare ad ogni oggetto che incontrano e pretendono stabilirsi un grande applauso negl’inganni d’un sesso sì facile ad ingannarsi. Quindi impareranno ad andar più guardinghi nelle lor frodi gli amanti e più avvedute nell’impegno del loro amore le femine; ed io otterrò forse alcun merito, se non d’affetto da quelli per averli già discuoperti, di gratitudine almeno da queste per averle disingannate. Lo stile, con cui faccio parlarvi gli attori, ho studiato che fosse il più facile, non il più ornato, e ne’ sentimenti ho affettata più tosto la tenerezza dell’espressione che la rarità del concetto. Così mi sono più addattato al costume de’ miei pastori e alla bassezza del mio talento. Molte cose, che lette ti pareranno o troppo volgari o poco necessarie alla favola, sul teatro forse ti riusciranno le più dilettevoli per la musica e le più maravigliose per l’apparato. In tutto il drama d’altro quasi non si tratta che d’amore, passione che, per esser la più comune, è forse la più tiranna ma la più cara. L’azione si finge nelle rusticali delizie dell’antica Arcadia, come luoco proporzionato all’ozio della stagione. Anche questo è uno di que’ miracoli che suol far la poesia, trasportarsi la villa nella città, quando tu forse o vi corri per tuo diporto o la lasci con tuo scontento. Se questi motivi mi otterranno l’aggradimento, lo riceverò per tuo dono, se la condanna, la sofferirò per mia pena. Sta’ sano.
 
 INTERLOCUTORI
 
 TIRSI pastore, amante di Corinna e di Clori
 CORINNA, CLORI, DAFNE ninfe amanti di Tirsi
 FILENO amante di Corinna
 LICISCO amante di Clori
 CELIA, NICEA suonatrici di arpe
 SILVIA suonatrice di flauto
 CLITIA suonatrice di leutto
 ALISA
 Coro di pastori, coro di ninfe
 
    La scena si finge in Arcadia.
 
 BALLI
 
    Di pastori e di ninfe, di seguaci d’Amore, di seguaci di Bacco, di cacciatori e cacciatrici.
 
 SCENE
 
    Viale sacro con tempio in facciata.
    Colline fiorite con vaga pianura nel mezo.
    Recinto di cappanne pastorali; teatro d’Amore con anfiteatro di Bacco in prospetto che poi si apre.
    Deliziosa.
    Selva di Diana.