Merope, Venezia, Pasquali, 1744

 ATTO PRIMO
 
 Piazza di Messene con trono. Grande ara nel mezzo con la statua d’Ercole coronata di pioppo. Tempio chiuso in lontananza. Tutta la scena è adornata di corone e di rami di pioppo, pianta consacrata ad Ercole.
 
 SCENA PRIMA
 
 EPITIDE con pelle di lione indosso e con una clava in mano
 
 EPITIDE
 Questa è Messene. Il patrio cielo è questo
 dell’infelice Epitide. Cresfonte,
 mio illustre genitor, qui diede leggi.
 Qui nacqui re. Questa è mia reggia; e questi
5famosi abitatori,
 questi fertili campi a me son servi.
 O memorie! O grandezze
 mal ricordate e mal vantate! Errante,
 misero, solo, inerme io vi riveggo;
10e di tanti vassalli
 un sol non c’è che re m’onori, un solo
 che pur mi riconosca, un sol che dia
 almeno un pianto alla miseria mia. (Si volta verso la statua d’Ercole)
 
    Padre e nume, Alcide invitto,
15se gli umili onesti voti
 d’un tuo germe a te son cari,
 tu ben sai di qual delitto
 son macchiati i patri lari.
 
    Punitor di chi m’ha tolto
20e fratelli e padre e regno,
 qui mi tragge ardire e spene.
 Ma l’idea del gran disegno
 da te scende e in me sen viene.
 
 SCENA II
 
 TRASIMEDE e coro di messeni che portano in mano rami e corone di pioppo e, cingendo in ordinanza il trono e la statua, si prostrano in atto d’offerire i loro rami e le loro corone. EPITIDE in disparte
 
 CORO
 
    Su su, messeni,
25sospiri e preghi.
 
 EPITIDE
 Quai genti son coteste? E con qual rito
 cingono il regal seggio e il sacro altare?
 TRASIMEDE
 
    Sperar ci giova
 che il cielo irato
30alfin placato
 per noi si pieghi.
 
 EPITIDE
 Signor che al ricco ammanto, al nobil volto
 ben mostri eccelso grado e cor gentile,
 ond’è che per Messene
35suonan gemiti e strida? Ond’è che in atto
 di supplici e dolenti offron costoro
 que’ verdi rami? E al cielo
 fumo d’incensi e di sospiri ascende?
 TRASIMEDE
 Garzon che il quarto lustro
40non compi ancor, se mal non credo al guardo,
 qual sei, dimmi, onde vieni? A che sì strane
 spoglie vestir? Le dilicate membra
 perché d’ispida pelle
 e la tenera man perché s’aggrava
45di quel tronco nodoso?
 EPITIDE
 Tal è la sorte mia che non mi lice
 farla nota ad alcun, fuor che al re vostro.
 TRASIMEDE
 Il re dal tempio, ove adempiuti egli abbia
 i sacrifizi e i voti,
50qui verrà in breve. Or ti compiaccio.
 EPITIDE
                                                                    Ascolto.
 TRASIMEDE
 Undici volte oggi rinato è l’anno,
 da che ucciso fu il nostro
 buon re Cresfonte e due
 pargoletti suoi figli.
 EPITIDE
                                       Il caso acerbo
55tutta d’orrore empié la Grecia e d’ira;
 ma dell’autor non è ben certo il grido.
 TRASIMEDE
 Anassandro egli fu.
 EPITIDE
                                      Costui m’è ignoto.
 TRASIMEDE
 Della regina Merope era servo.
 EPITIDE
 Può cader tal delitto in moglie e madre?
 TRASIMEDE
60Per la credula plebe
 fama rea se ne sparse;
 ma il suo dolor, la sua virtù, nel core
 di chi meglio ragiona, assai l’assolve.
 EPITIDE
 Perché dall’uccisor non trarne il vero?
 TRASIMEDE
65L’ombre il tolsero al guardo e alla sua pena;
 né di lui più s’intese.
 EPITIDE
                                         Altro germoglio
 sopravvisse a Cresfonte?
 TRASIMEDE
 In Epitide vive
 degli Eraclidi il sangue e la speranza
70dell’afflitta Messenia.
 EPITIDE
 Come a lui perdonò l’empio omicida?
 TRASIMEDE
 L’esser lungi in Etolia,
 ostaggio al re Tideo, fu sua salvezza.
 EPITIDE
 Perché al vedovo trono
75non si chiamò l’erede?
 TRASIMEDE
 La sua tenera etade
 ne fu cagione e più il timor che anch’esso
 di ferro o di velen restasse ucciso.
 EPITIDE
 Ma de’ pubblici affari il grave peso
80cui si affidò?
 TRASIMEDE
                           Divise
 Merope e Polifonte i nostri voti.
 A lei nocque il sinistro
 sparso romor del parricidio. Eletto
 Polifonte rimase,
85degli Eraclidi anch’egli uom saggio e prode.
 EPITIDE
 (Sembianza di virtù spesso ha la frode).
 Né si pensò che un giorno
 richiamar si doveva il regal figlio?
 TRASIMEDE
 Sul crin di Polifonte è la corona
90un deposito sacro.
 All’erede ei la serba.
 EPITIDE
 Tanto modesta in Polifonte è l’alma?
 TRASIMEDE
 Gode Messenia in lui quel re cui pianse.
 EPITIDE
 Di che dunque si lagna ella che il gode?
 TRASIMEDE
95Sente dell’altrui fallo in sé la pena.
 EPITIDE
 Per qual destin?
 TRASIMEDE
                                 Distrutti
 da feroce cinghial sono i suoi campi.
 EPITIDE
 E il messenio valor teme un sol mostro?
 TRASIMEDE
 Che può mai contra i numi il valor nostro?
100Più volte armate schiere
 dissipò il fiero dente. Altra speranza
 non ci riman che il cielo. A lui ricorso
 fanno i pubblici voti.
 EPITIDE
 Sinché...
 TRASIMEDE
                   Già s’apre il tempio. (S’apre la porta del tempio)
 
105   Il re, messeni, il re.
 All’armi pronti, all’armi
 vi tenga amore e fé. (Trasimede entra nel tempio incontro a Polifonte)
 
 EPITIDE
 Nella gran turba io mi nascondo. Intanto
 penso a gran cose generoso e forte.
110Epitide, ecco il giorno. O regno o morte.
 
 SCENA III
 
 POLIFONTE e TRASIMEDE uscendo dal tempio con seguito. EPITIDE in disparte. Polifonte va a sedere sul trono
 
 POLIFONTE
 Stanco, popoli, è il cielo
 delle lagrime nostre.
 Le vittime ei gradì. Lieti ne diede
 la vampa i segni e fausti
115l’esaminate viscere gli auspizi.
 Che più? Placato il nume,
 chiaro parlò. Tu del voler celeste
 leggi qui, Trasimede, il gran rescritto;
 ed intanto respiri
120dal passato spavento un regno afflitto. (Porge a Trasimede la risposta dell’oracolo e Trasimede legge)
 TRASIMEDE
 «Ha Messenia due mostri. Oggi ambo estinti
 cadranno, un per virtude, un per furore;
 restino poscia in sacro nodo avvinti
 l’illustre schiava e il pio liberatore».
 POLIFONTE
125Udiste? Or chi nell’alma
 nutre spirti guerrieri e chi nel braccio
 tiene valor, vada, combatta e vinca.
 La sua virtù rinforzi
 con la voce del nume e col sicuro
130piacer d’un premio illustre.
 Che se pur tra’ messeni
 non è core sì forte, alma sì ardita,
 c’è Polifonte. Egli esporrà per voi, (Si leva in piedi)
 non re ma cittadino, e sangue e vita. (Discende dal trono)
 EPITIDE
135Nella sua vita espor non dee chi regna (Epitide s’avanza)
 la salvezza comun. L’orride belve
 affronti anima forte,
 non regal braccio; e se a Messenia ardire
 manca e virtude, io, sire,
140giovane qual mi vedi, inerme e solo,
 tanto osar posso. Imponi
 ch’io là sia tratto, ove si pasce il fiero
 cinghial di mille stragi.
 L’abbatterò, non primo
145trofeo della mia destra.
 E se cadrò, Messenia
 mi darà lode; e fia
 ch’ella di pochi fiori
 a me sparga la tomba e l’ossa onori.
 POLIFONTE
150Giovane, o sia che troppo
 di te presumi o che gli dei tu segua
 già impietositi, a’ vili
 fia stupor il tuo esempio, invidia a’ forti;
 molto a te dee Messenia,
155nulla tu a lei. Straniero
 a’ panni, al volto, al favellar tu sembri.
 EPITIDE
 Etolia, Argo, Micene e quanto è Grecia,
 tutto è patria a chi è greco. Io greco sono;
 né per lieve cagion qui trassi il piede.
160Più dir non posso. Allora
 che dal cimento io vincitor ritorni,
 saprai qual sia, perché ne venga e donde.
 POLIFONTE
 Custodi, olà, si scorti
 questo prode in Itome. Ivi, se al vanto
165risponde l’opra, è tuo il trionfo e tuo
 il premio ne sarà.
 EPITIDE
                                   Premio non cerco.
 Cerco un popolo salvo; e meco porto
 le speranze d’un regno.
 TRASIMEDE
                                             Un dì tal vide
 forse la Grecia il giovanetto Alcide.
 EPITIDE
 
170   Furie superbe
 di mostro orrendo,
 v’abbatterò.
 
    E andar mordendo
 i sassi e l’erbe
175vi mirerò. (Si parte con due guardie di Polifonte)
 
 SCENA IV
 
 POLIFONTE e TRASIMEDE
 
 POLIFONTE
 Ver noi, se non m’inganno,
 parmi venir Licisco.
 TRASIMEDE
                                        È desso appunto.
 Nunzio del re Tideo più volte il vide
 la nostra reggia.
 POLIFONTE
                                Io qui l’attendo. Intanto
180tu mi precedi alla regina; e dille
 che il dì prefisso è giunto
 di nostre nozze. Ella al mio amor dieci anni
 di sofferenza impose.
 La compiacqui e soffersi. Oggi pur compie
185la dura legge. All’imeneo promesso
 oggi ella accenda le giurate faci.
 TRASIMEDE
 Ubbidirò. (Pena mio core e taci).
 
 SCENA V
 
 POLIFONTE e LICISCO con seguito di etoli
 
 POLIFONTE
 Custodite il re vostro. (Alle guardie)
 LICISCO
 Re Polifonte, al cui voler sovrano
190di Messenia ubbidisce il nobil regno,
 il re Tideo, che glorioso impera
 sull’Etolia possente,
 m’invia suo nunzio. Ecco la carta ed ecco
 la tessera ospitale e il noto segno. (Presenta a Polifonte le lettere credenziali)
195Egli si duol che, contra il dritto e i patti
 di scambievole pace,
 tu rapir gli abbia fatto Argia sua figlia.
 La grave offesa è d’alta piaga impressa
 in cor di re e di padre. Al suo dolore
200diasi compenso. O gli si renda Argia
 o coprirà della Messenia i campi
 d’armati e d’armi; e pagheran la pena
 d’un atto ingiusto i popoli innocenti.
 Tanto espone il mio re. Qual più ti piace
205scegli, amico o nimico, o guerra o pace.
 POLIFONTE
 Licisco, in brevi note ecco i miei sensi.
 Vendicar si dovea
 con la forza la forza.
 Dall’etolico re perché si niega
210Epitide al suo regno?
 Egli cel renda e noi daremo Argia.
 LICISCO
 Non è più in suo poter ciò che gli chiedi.
 POLIFONTE
 Vani pretesti. Il re Tideo, se pensa
 o farci inganno o intimorirci, egli erra.
215Scelga qual più gli aggrada, o pace o guerra.
 LICISCO
 Come, o dio! qui non giunse
 l’infausto avviso? E come
 ciò che a tutta la Grecia è già palese
 in Messenia si tace?
 POLIFONTE
                                        E che?
 LICISCO
                                                       La morte
220dell’infelice Epitide.
 POLIFONTE
                                        Che narri!
 Morto! Ma dove? E come?
 LICISCO
 Nella Focide appunto,
 colà dove il sentiero in due diviso
 parte a Dauli conduce e parte a Delfo.
 POLIFONTE
225Stelle! E chi mai versò sangue sì illustre?
 LICISCO
 Vario ne corre il grido;
 e al nostro re, da grave doglia oppresso,
 mesto ne giunse e replicato il messo.
 POLIFONTE
 Cieli! Avete più fulmini? Volete
230altro pianto, altro sangue? Eccovi il mio.
 O stirpe degli Eraclidi infelice!
 Misero regno! Prence sfortunato!
 (Ma se Epitide è morto, io son beato).
 LICISCO
 Giusto dolor.
 POLIFONTE
                           Sino a più certo avviso
235tacciasi il fiero caso; e la mia reggia
 sia tua dimora.
 LICISCO
                               Intanto
 che risolvi d’Argia?
 POLIFONTE
 
    Non ascolto che furori;
 non rispondo che vendette.
240(Fingo dolore e sdegno e lieto io sono).
 
    Al tradito, all’innocente,
 degl’infami traditori
 cruda strage un re promette.
 (Oggi ho sicuro il regno e fermo il trono).
 
 SCENA VI
 
 LICISCO
 
 LICISCO
245Non si lasci ingannar candida fede
 da un dolor menzognero o almen sospetto.
 Merope, Polifonte,
 tutto si tema. Epitide si salvi
 con la frode innocente e giunga al regno.
250Ma come ancor qui nol riveggo? Ei pure
 mi precedé. Qual fato
 lo ritarda a Messene e a’ voti miei?
 L’alma real voi proteggete, o dei.
 
    Se ognor con la virtù s’unisse il fato,
255un innocente cor
 saria senza timor
 sempre beato.
 
    Ma che? L’empio sovente
 opprime l’innocente;
260e con orgoglio il fa
 falsa felicità
 più scellerato.
 
 Stanze di Polifonte in villa con porta segreta.
 
 SCENA VII
 
 MEROPE
 
 MEROPE
 Ecco pur giunto il giorno
 che dir poss’io di mia sciagura estrema.
265Era poco, o fortuna, avermi tolto
 il regno non dirò, ma sposo e figli,
 da man crudel barbaramente uccisi.
 Era poco in esiglio
 tenermi il caro Epitide, in cui solo
270consolarmi potessi. Era anche poco
 pubblicarmi a Messenia
 moglie iniqua, empia madre e del mio sesso,
 anzi del mondo, il più esecrabil mostro.
 Di Polifonte al letto
275vuoi ch’io passi e il consenta. Il decim’anno
 giurato alle mie nozze oggi si compie.
 O giorno! O legge! O giuramento! O nozze!
 O Polifonte! O troppo avversi dei!
 O troppo acerbi mali!
280Ma quanto può succeda.
 
    Pria che l’empio a me sia sposo,
 della terra il basso centro
 sulle stelle ascenderà.
 
    E nel verno più nevoso
285e nel mar più tempestoso,
 bionda messe fiorirà.
 
 SCENA VIII
 
 TRASIMEDE e MEROPE
 
 TRASIMEDE
 Con qual senso, o regina,
 di comando fatal nunzio a te venga,
 lo sa il ciel, lo sa l’alma (e amor sel vede).
 MEROPE
290E nunzio di sponsali e di grandezze
 vieni sì mesto? Eh, più sereno in volto,
 dimmi regina e sposa.
 Precedimi più lieto
 al soglio antico, alle novelle tede.
295Già le attende la Grecia e un re le chiede.
 TRASIMEDE
 Le chiede un re ma pria da te promesse,
 volute non dirò, che ben più volte
 lessi ne’ tuoi begli occhi,
 contro di Polifonte, odio e disprezzo.
 MEROPE
300E quest’odio alla tomba
 mi sarà scorta. Io sposerò il tiranno,
 per poi svenarlo in alto sonno oppresso;
 indi col ferro istesso,
 fumante ancor dell’odioso sangue,
305sulle vedove piume io cadrò esangue.
 TRASIMEDE
 Tolgan gli dei sì barbaro disegno.
 MEROPE
 No no. Compiasi l’opra.
 Sperai qualche rimedio
 dal tempo o dalla morte.
310Quel mi tradì; mi riman questa; e questa
 non può mancarmi. Merope una volta
 o forte o disperata
 finisca di morir ma vendicata.
 TRASIMEDE
 Regina, era mia pena, e pena atroce,
315il pensarti altrui sposa;
 ma se all’aspra sciagura altro riparo
 non ti riman che morte,
 vattene; Polifonte
 t’accolga fortunato e seco regna.
 MEROPE
320Regnar con Polifonte? E Trasimede
 mi consiglia così? Questa è la fede
 tante volte giurata?
 TRASIMEDE
                                      Ahi! Che far posso?
 MEROPE
 Se m’hai pietà, se la memoria illustre
 del buon re nostro ucciso ancor t’è cara,
325sull’orme di Anassandro,
 
 antri romiti e foschi,
 ciechi e solinghi boschi,
 monti, valli, dirupi,
 
 tutto, tutto ricerca; e quell’infame
330s’arresti, s’incateni, a me si guidi.
 Quest’è il sol mio rimedio. A te lo chiedo.
 Vanne e tua gloria sia
 e la mia vita e l’innocenza mia.
 TRASIMEDE
 
    Quanto può zelo e fé,
335tutto farà per te
 l’alma fedele.
 
    Se ingiusto il ciel non è,
 trarti legato al piè
 spero il crudele.
 
 SCENA IX
 
 MEROPE e ARGIA
 
 MEROPE
340Voi che sapete, o dei, la mia innocenza,
 reggete i passi suoi.
 ARGIA
 Non più sola, o regina,
 andrai costretta alle giurate nozze.
 Gli dei della Messenia
345voglion le mie.
 MEROPE
                              Qual fia lo sposo?
 ARGIA
                                                                Al prode
 uccisor del rio mostro
 il decreto del ciel mi vuol consorte.
 MEROPE
 Fausto sarà ciò che comanda il nume.
 ARGIA
 Il nume o mal s’intende
350o ubbidito mal fia.
 Né consorte d’Argia
 altri sarà ch’Epitide né punto
 a me cal la Messenia, onde il mio amore
 sacrificar le debba e il mio riposo.
 
 SCENA X
 
 POLIFONTE e i suddetti
 
 POLIFONTE
355Dato dal ciel ricuserai lo sposo?
 ARGIA
 Il mio sposo è già scelto. Amor v’applaude;
 il genitor l’approva e Argia l’adora.
 POLIFONTE
 Ma tel contrasta il fato.
 ARGIA
                                            E chi l’intende?
 POLIFONTE
 Chiaro ei parlò.
 ARGIA
                                L’umano intendimento,
360dove il ciel parli, è tenebroso e cieco.
 POLIFONTE
 Più cieco egli è dove l’appanni amore.
 MEROPE
 (Pel caro figlio ella piagato ha il core).
 ARGIA
 Sì, Epitide a te figlio, (A Merope)
                                           a te sovrano (A Polifonte)
 è la face onde avvampo.
365Minacci Polifonte, il ciel contrasti,
 s’armi contra il mio amor possanza e fato,
 ei sol sarà mia fiamma, ei sol mio sposo.
 POLIFONTE
 Della comun salvezza avrai la gloria.
 ARGIA
 E rovini il tuo trono
370e cada la Messenia e pera Argia,
 pria che il puro mio foco.
 Non v’è re, non v’è nume
 sopra la libertà del voler mio.
 Dillo amor, dillo orgoglio;
375son Argia; son regina. Amo chi voglio.
 
    Arder voglio a quella face
 che mi strugge e che mi piace;
 e a mio gusto, a mio talento
 amar posso e disamar.
 
380   Su quel libero volere
 che nell’alme il cielo imprime,
 il destin non ha potere
 che lo sforzi a non amar.
 
 SCENA XI
 
 POLIFONTE e MEROPE
 
 POLIFONTE
 Del cor d’Argia resti la cura a’ numi.
385Del tuo, bella regina,
 ragion ti chieggo. Ei per tua legge è mio,
 pegno della tua fede a me giurata,
 prezzo di mia costanza a te serbata.
 MEROPE
 Polifonte, a tuo merto
390tu ascrivi un lungo e sofferente amore,
 tal nol cred’io. Chi può soffrir due lustri
 che un lontano imeneo giunga e maturi,
 o nulla il brama o poco.
 POLIFONTE
 Tutto può tollerar cor che ben ama.
 MEROPE
395E se ben ama il tuo, due lustri ancora
 soffra d’indugio e poi sarò tua sposa.
 POLIFONTE
 Che due ne soffra ancora?
 MEROPE
                                                  E avrai più merto.
 POLIFONTE
 No, già son corsi i due. Tu gli hai prescritti;
 la legge è ferma; il giuramento è dato;
400né più negar né differir più lice
 a te per esser giusta e a me felice.
 MEROPE
 Polifonte, ti parli
 Merope più sincera.
 T’odio quant’odiar puossi
405un carnefice, un mostro, un parricida.
 Pria ch’esser tua, divelto
 sia da’ cardini il mondo, aprasi tutto
 in voragini il suol che ne sostiene,
 scenda in fulmini il ciel che ne ricopre,
410esca in abissi il mar che ne circonda.
 
    Quanti orrori aver può morte,
 quante furie aver Cocito,
 tutto tutto agli occhi miei
 men orribil sarà che tu non sei.
 
 POLIFONTE
415Merope, odiarmi tanto?
 Dell’amor mio tanto abusarti? E tanto
 della mia sofferenza? E in che t’offesi?
 MEROPE
 In che, mi chiedi? Il dica
 il rimorso al tuo core;
420e se pur giunto sei nelle tue colpe
 a non sentir rimorso,
 empio, tel dica il sangue
 de’ miei figli svenati,
 del mio sposo tradito.
 POLIFONTE
425Sì tradito, e da chi? Già m’arrossisco
 rinfacciarti una colpa
 che d’obbrobrio fatal copre il tuo nome;
 ma il perfido Anassandro era tuo servo.
 MEROPE
 Dillo ministro infame
430de’ tuoi consigli e di quel cieco orgoglio
 che ti spinse a salir sul non tuo soglio.
 POLIFONTE
 T’intendo pur, t’intendo.
 Polifonte qui regna; e perché regna,
 con odio e con orror Merope il fugge.
 MEROPE
435Non t’odio perché re. Mal mi conosci.
 Più giusto è l’odio mio. Basta. Ancor vive
 l’empio Anassandro; ancor mi resta un figlio;
 per me ancora v’è un Giove.
 POLIFONTE
 Ed al tuo Giove in faccia,
440al talamo verrai.
 MEROPE
                                 Dimmi al sepolcro.
 E verrò più tranquilla.
 POLIFONTE
 No no. Dell’odio tuo sien la gran pena
 gli sponsali giurati.
 Strascinata all’altar verrai costretta,
445più che dal mio comando,
 dal sacro tuo solenne giuramento.
 MEROPE
 (O giuramento! O Merope infelice!)
 Orsù, verrò, tiranno;
 ma senti qual verrò, senti qual devi
450attendermi consorte.
 Non il sacro imeneo, non la pudica
 Giuno né i casti coniugali numi
 uniranno a quell’ara i nostri cori.
 Voi tremende d’abisso
455implacabili furie e tu, funesta
 sanguinosa Discordia,
 odio, morte, terror, tutti v’invoco
 pronubi alle mie nozze. Ardan per voi
 sul letto profanato
460le sacrileghe faci;
 e voi di fiori invece,
 spargetelo di serpi e di ceraste,
 sinché pallido, esangue e tronco busto
 quel tiranno crudel per me si scerna
465dormir l’ultimo sonno in notte eterna.
 
    D’ira e di ferro armata,
 nemica e dispietata,
 al regio talamo
 ti seguirò.
 
470   L’odio, l’orror, lo scempio
 saranno i primi vezzi,
 con cui l’iniquo ed empio
 mio sposo incontrerò.
 
 SCENA XII
 
 POLIFONTE e poi ANASSANDRO
 
 POLIFONTE
 Lasciatemi, o custodi, (Le guardie si partono)
475perdasi ogni misura
 con chi perde ogni legge e si prevenga
 un insano furor. L’uscio è già chiuso. (Chiude l’uscio al di dentro)
 Ora te n’avvedrai, femmina ingrata, (Presa una chiave, apre una porticella segreta)
 quanto possa un’offesa in cor reale.
480Olà, Anassandro. Epitide già estinto, (Affacciandosi all’uscio)
 Merope ancor s’estingua.
 Anassandro.
 ANASSANDRO
                          La voce (Esce Anassandro del gabinetto)
 del mio signor pur giunge
 a ferirmi l’udito.
 POLIFONTE
                                  E a trarti insieme
485da quel muto soggiorno
 alle braccia reali e al chiaro giorno. (Lo abbraccia)
 ANASSANDRO
 A quale alto tuo cenno ubbidir deggio?
 Tutto mi fia men grave
 di quest’ozio profondo, in cui sepolto
490tra rimorso e timor peno e sospiro.
 POLIFONTE
 Non è pena men fiera a Polifonte
 dover finger pietade, usar clemenza,
 quando il genio suo grande
 non conosce altri dei che il suo potere
495e non ha per ragion che il suo volere.
 ANASSANDRO
 Con quest’arte tu regni.
 POLIFONTE
                                              Ed ecco il tempo
 ch’io ti chiami a goderne.
 Basta che tu v’assenta e che tu dia,
 fedele amico, il compimento all’opra.
 ANASSANDRO
500Eccomi. Vuoi ch’io torni
 nella reggia d’Etolia e colà sveni,
 anche in braccio a Tideo,
 il mal guardato Epitide? Son pronto.
 POLIFONTE
 Morì già l’infelice e senza nostra
505colpa morì. Ciò che al tuo zelo io chiedo
 è più facile impresa. Esci in Itome.
 Soffri che tra catene
 ti rivegga Messenia.
 Della morte de’ figli e del marito
510accusa la regina; e attendi poi
 dalla mano real di Polifonte
 e grandezze e tesori. Ancor del trono
 vieni a parte, se vuoi. Tutto è tuo dono.
 ANASSANDRO
 La regina accusar?
 POLIFONTE
                                     Sì. Qual rimorso?
 ANASSANDRO
515Quello che più risente un’alma ingrata.
 POLIFONTE
 In Merope riguarda
 la nemica comun.
 ANASSANDRO
                                   Ravviso in essa
 anche la mia regina.
 POLIFONTE
 Se n’hai pietà, la nostra morte è certa.
 ANASSANDRO
520E se l’accuso, io sono
 de’ viventi il più indegno e il più perverso.
 POLIFONTE
 Dopo il commesso parricidio enorme,
 la colpa ti spaventa? Il tardo orrore...
 ANASSANDRO
 Mio re, non più. Si serva
525alla nostra salvezza e alla tua sorte.
 Merope accuserò.
 POLIFONTE
                                   Caro Anassandro,
 della grandezza mia fido sostegno,
 per te dir posso: «È mio lo scettro e il regno».
 
    Penso e non ho mercede
530né degna di tua fede
 né pari al mio voler.
 
    Se in me trovi ingrato il core,
 nol dir colpa dell’amore
 ma difetto del poter.
 
 SCENA XIII
 
 ANASSANDRO
 
 ANASSANDRO
535Non si cerchi, Anassandro, altro consiglio.
 In un pelago siamo, onde n’è forza
 uscirne o naufragar. Fatta è la colpa
 necessità per noi. Ne’ primi eccessi
 anche gli ultimi a farsi abbiam commessi.
 
540   Partite dal mio sen, reliquie estreme
 d’onore, d’innocenza e di pietà.
 
    Non si turba, non geme, non teme
 chi del fallo rimorso non ha.
 
 Il fine dell’atto primo