Meride e Selinunte, Venezia, Marciana, autografo

 ATTO QUINTO
 
 Antisala.
 
 SCENA PRIMA
 
 DIONISIO e NICANDRO
 
 DIONISIO
 Dunque ad infamia per timor di morte
 Meride si abbandona? Il sai tu certo?
 NICANDRO
 Signor, con Ericlea
1300io poc’anzi il lasciai. Ne’ suoi scordato
 teneri affetti, a lui più non sovviene
 né la sua gloria né l’altrui periglio.
 DIONISIO
 A l’amico ceduta,
 ei non l’ama o men l’ama.
 NICANDRO
1305Il cederla era un’arte
 per farla sua. Non sempre è generoso
 chi affetta di parerlo. Anche l’avaro
 sicuro di un rifiuto
 è prodigo in offrire e si fa merto
 de l’altrui discretezza.
 DIONISIO
 In lui dunque amistà fu sempre inganno?
 NICANDRO
 Prova de l’amicizia è la costanza.
1310Quella che può mancar, non fu mai vera.
 DIONISIO
 Misero Selinunte! Io qui l’attendo.
 NICANDRO
 È degno di pietà ma non di perdono vita.
 Manchi a fede, se indugi. Eccone l’ora.
 Chi in ostaggio restò, sua volle e fece
1315l’altrui pena ed error. Giusto è che mora.
 
    Non perdonar. Il misero
 tien qui del reo la vece;
 e quella legge ei fece,
 con cui si condannò.
 
1320   O una pietà sperata
 ardir gli diede al rischio;
 o un’amistà insensata
 il suo destin guidò.
 
 SCENA II
 
 SELINUNTE con guardie e li suddetti
 
 DIONISIO
 Selinunte, già puoi disporti a morte.
1325L’ombre premono il giorno
 e Meride si abusa
 de l’amor tuo. Di me si ride offeso,
 di te schernito. In lui
 darei con pace la mortal sentenza.
1330In te la do costretto
 ma costretto da te che reo ti festi
 e debitor de l’altrui fallo e pena.
 Tu, prima di morir, di’ se far posso
 cosa a te cara, onde il mio cor tu scorga.
1335Più ancor farei; ma mel divieta e toglie
 la regal fede e la tua legge istessa.
 SELINUNTE
 Signor, tutti i miei voti io chiudo in questo,
 che tu adempia la legge
 e Meride si assolva.
1340Tal morte a me più val d’ogni altro acquisto.
 Affrettala, ten priego. Ogni momento
 basta a tormene il pregio. Ah! Se ciò fosse...
 Amico resta ancor, ch’io per te moro.
 DIONISIO
 Come amico dir puoi chi ti abbandona?
 SELINUNTE
1345Morirei di vergogna,
 se oltraggioso timor mi entrasse in seno.
 DIONISIO
 Giunta è l’ora prefissa.
 NICANDRO
 E Meride è spergiuro.
 SELINUNTE
                                           Egli esser puote
 misero ma non reo.
 DIONISIO
 Non ha scusa l’indugio.
 SELINUNTE
 L’avrà. Senz’ascoltar mal si condanna
 NICANDRO
                                       Egli Lieto e’ festeggia
1350con la cara Ericlea.
 SELINUNTE
                                     Pietoso ufficio
 chiedea la sconsolata. Egli Esso l’adempie;
 ma purtroppo verrà. Che più si attende?
 DIONISIO
 Ah! Che la tua virtù chiede supplicio
 ed invog invoglia a perdono.
 SELINUNTE
1355Di Meride col rischio? A me fa sdegno.
 Coi lamenti di Areta? A te fa torto.
 Dal dover di esser giusto
 nulla v’ha che ti assolva.
 Se in pro del regno tuo nulla fec’io,
1360morte, o signore, e presta morte imploro.
 DIONISIO
 Morte, a chi si condanna, ognor vien presta.
 SELINUNTE
 Mai non giugne mai che tarda a chi la brama.
 NICANDRO
 Racconsola i suoi prieghi. I miei vi aggiungo.
 DIONISIO
 O di migliore amico
1365degno e di miglior sorte,
 vanne. Fra pochi instanti
 non in pena ma in dono avrai la morte.
 SELINUNTE
 
    Da te prendo, o regal destra,
 la tua fede in sì bel dono.
 
1370   A me viva il caro amico,
 in cui sol temea di morte;
 [illeggibile] a te viva il guerrier forte
 che sostegno è del tuo trono.
 
 SCENA III
 
 DIONISIO e NICANDRO
 
 DIONISIO
 Nicandro, io lo condanno e ne ho rimorso.
 NICANDRO
1375Di risolver è tempo.
 DIONISIO
 Ne la virtù de l’un non ben punisco gastigo
 la perfidia de l’altro.
 NICANDRO
 Sovvengati la legge e ’l giuramento.
 DIONISIO
 E mi sovviene anche di Areta il pianto.
 NICANDRO
1380A chiederti dolente
 ella verrà la sua vendetta.
 DIONISIO
                                                 E l’ E l’abbia.
 NICANDRO
 Ma in Selinunte.
 DIONISIO
                                  Sì.
 NICANDRO
                                          Con la sua morte
 le passerai di nuova piaga il core;
 e qui per lui si pa verserà pianti amore.
 DIONISIO
1385Come? Di Selinunte Areta amante?
 NICANDRO
 Più che del padre e di sé stessa. In volto
 ti turbi? Ira e dolor...
 DIONISIO
                                         Va’. Fa’ che tosto
 traggasi il condannato a la sua pena.
 NICANDRO
 Eseguirò... Ma...
 DIONISIO
                                 Non frappor dimora.
1390Già temea di punirlo. Or vo’ che mora.
 NICANDRO
 (Nel re trovo un rival; ma tal mi giova).
 
 SCENA IV
 
 ARETA e li suddetti
 
 ARETA
 Ferma. (A Nicandro)
 NICANDRO
                  Quegli è ’l regnante.
 A lui parli la figlia, a lui l’amante. (Parte)
 ARETA
 Re, per qual suo delitto
1395Selinunte condanni?
 Chi a te chiese sua morte? A chi la devi?
 Meride è ’l parricida.
 Meride ha da morir. Fuggì l’iniquo.
 Perché scioglierne i ceppi?
1400Quella vita era mia. Tu mel giurasti.
 Rendine a me ragion. Se a me non vuoi,
 rendila al padre estinto.
 Rendila a la tua fé. Rendila ai numi.
 Ma il padre è già in obblio. Rotta è la fede,
1405spergiurati gli dei.
 Infelice son io. Tu ingiusto sei.
 DIONISIO
 Areta, ti trasporta un cieco affetto
 e ti obblii nel dolor. Se in Selinunte
 io piacer ti facessi, invan da l’urna
1410vendetta grideria l’ombra del padre.
 Ma ver non fia che invendicato io ’l lasci.
 Pera omai Selinunte.
 Chi toglie un reo da pena
 sottentra ad egual pena.
1415Deluso ei fu. Temer dovea. Sé stesso
 per l’amico a che offrir? Chi vel costrinse?
 Credulo fu o malvagio; ed io punisco
 o sua credulità, s’egli è tradito,
 o sua malvagità, se tradir volle.
1420Ben adempio mia fé. Giusto son io;
 e regno; ed è ragione il voler mio.
 ARETA
 Mal di ragion contende
 col sovrano il vassallo.
 Il torto è è mio. Mia la sciagura e l’onta.
1425È ver. Giusto tu sei. Fede mi serbi.
 Il padre è vendicato.
 Punito è l’uccisor. Tutto si compie
 di Selinunte al fato. [illeggibile] Ah! Da cotesta,
 che tu fede ora appelli ed io fierezza,
1430ti assolvo. Io la rinunzio. Io la detesto.
 Meride torni ancor. Del suo destino
 ti lascio in libertà. Chi a l’omicida
 già perdonò, può perdonargli ancora.
 Ho coraggio, ho virtù cui chieder posso,
1435senza doverla a te, la mia vendetta.
 Sciolgasi Selinunte.
 Da me altro sangue il morto padre aspetta.
 DIONISIO
 Il morto a te men duole
 che il vicino a morir. Ma tu ’l condanni.
1440Chieder grazia e oltraggiar provoca a sdegno;
 né si ottiene pietà con tanto orgoglio.
 ARETA
 Signor, femmina onesta sono. Aimè O dio! Scusa, mio re, scusa i trasporti
 di sconsolata figlia.
 In me stessa ritorno. Umil qui ti priego.
 DIONISIO
1445Deh! Ritratta Deh! Ritratta o perdona o ritarda il colpo atroce.
 Riedi, signor. grazia  o p rapido impetra Pietà. Meride intanto...
 DIONISIO
 Taci, che più m’irrita ora il tuo pianto.
 Per salvar Selinunte...
 ARETA
                                           E che far deggio?
 DIONISIO
 E dolore e furor mal ti consiglia,
1450che in te lui veggo l’amante e non la figlia!
 
    Ingrata!
 Punisco col tuo amore
 l’oltraggio del mio core;
 e tu ben sai qual è.
 
1455   La fiamma tua mal nata
 chiuder dovevi in petto
 o non le dar ricetto;
 e tu ben sai perché.
 
 SCENA V
 
 ARETA
 
 ARETA
 Questo solo mancava al mio tormento,
1460che de l’idolo mio del caro Selinunte
 l’omicida son es esser io l’omicida.
 Aimè! Forse il sarò. Sperato avrei
 da un re, benché severo,
 quella pietà che da un rival non spero.
 
1465   Sotto malvagiaigna stella, amor, sei nato;
 né mai ti scintillò raggio di spene.
 
    O mal noto o mal visto o disperato,
 struggendo ognor ti [illeggibile] passasti i giorni tuoi di pene in pene.
 
 
 Cortile regio tutto attorniato di logge, illuminate di notte e con luogo eminente a sedere [illeggibile] ov’è il nobilmente apparecchiato per Dionisio e nel mezzo fondo palco di nero apparato di nero
 
 SCENA VI
 DIONISIO con guardie
 
 Cortile regio con logge, tutte illuminate di notte. Al fianco, v’è un luogo eminente, nobilmente addobbato per Dionisio. Nel mezzo palco apparato di nero.
 
 SCENA VI
 
 DIONISIO con guardie e NICANDRO
 
 DIONISIO
 Popol di Siracusa,
1470dacché vostro favor portommi al trono,
 spesso punii; ma colpa
 fu del secol perverso il civil sangue,
 non del mio cor. L’ho sparso
 e dolente e costretto. Astrea, che ’l volle,
1475mai non alzò con una man la spada,
 se pria con l’altra non pesò il delitto.
 Selinunte or condannoar; e condannato,
 credetel reo.
 NICANDRO
                          Mio sire...
 DIONISIO
 Intendo. Ei dee morir. Su la sua vita pena
1480l’arbitrio di un momento anche mi è tolto.
 Guardie, traggasi tosto al suo destino.
 NICANDRO
 (E tosto, o cor, dirai: «Son vendicato».
 Inganno non fu mai più fortunato). (Dionisio va a sedere al suo posto e le sue guardie occupano le logge all’intorno)
 
 SCENA VII
 
 SELINUNTE, preceduto da guardie, e da sinfonia lugubre e li suddetti
 
 SELINUNTE
 Santa amistà, de l’alme (A questo recitativo preceda sinfonia scordata e lugubre; ma esso recitativo sia accompagnato da una sinfonia grave e non mesta)
1485nodo soave, inestimabil bene,
 l’offerta al tuo gran nume
 vittima in me ricevi.
 Tu de’ respiri miei sino a l’estremo
 reggi il core. [illeggibile] Sostienlo; e s’entra in lui
1490a l’amico fedel dubbio oltraggioso,
 de l’innocenza sua rendil sicuro,
 ch’ei ben puote indugiar, perché tradito;
 non lasciarmi morir, perché spergiuro.
 
 SCENA VIII
 
 ERICLEA e li suddetti
 
 ERICLEA
 Né spergiuro ei ti obblia. Ben li sei giusto.
1495Già vien Meride.
 NICANDRO
                                  Ei viene.
 SELINUNTE
                                                     O me infelice!
 ERICLEA
 Re, parlo a la tua gloria.
 Parlo al tuo amore, o generoso amico.
 Vien Meride e, se mento,
 eccovi il capo mio. Ciò che a me il trasse
1500fu desir ch’io tua fossi.
 Ne ho comandi e ne ho preghi.
 E tua sarò, quando al crudel tuo fato
 sopraviver io possa un sol momento.
 Con tal fede il lasciai.
 SELINUNTE
                                          Meride... O dio!
1505Perché non ho più vite? ... Ah! Ne ho una sola
 per te; né potrò darla?
 NICANDRO
 Non disperarti. Invan l’attendi. Sire,
 di tua bontà qui si fa scherno ancora.
 ERICLEA
 Ei vien...
 DIONISIO
                    Ma tardo; e Selinunte mora.
 ERICLEA
1510No no. Chi più di me degno è di pena morte?
 Fu Timocrate ucciso? Io diedi il cenno.
 Selinunte è qui ostaggio? Ho core anch’io
 per offrirmi in sua vece.
 Morte sia pena o dono,
1515rea per soffrirla o generosa io sono.
 SELINUNTE
 Sì mal ti si ubbidisce? Il luogo è quello
 del mio trionfo. Andiamo. Ov’è ’l ministro?
 Chiuder meglio non posso i giorni miei.
 
 SCENA ULTIMA
 
 MERIDE in abito da muratore, poi ARETA e li suddetti
 
 MERIDE
 Se più tardo giugnessi, io quel sarei.
 SELINUNTE
1520Qual voce?
 MERIDE
 L’innocenza.
 MERIDE
 Sciogli ecco Eccovi il reo.
 NICANDRO, ERACLEA
                       Meride!
 MERIDE
                                         Io sono (Areta sopraviene)
 Meride, sì; né in queste vili spoglie
 per viver mi celai ma per morire.
 NICANDRO
 (Sdegno e amor qui non graditi)
 [illeggibile]
 Grazie agli dii, deluso è ’l tradimento.
 Illesa è la mia fama e tu sei salvo.
1525Ecco, o re, la mia testa. Eccola, Areta.
 SELINUNTE
 Crudel.! Salvo son io, quando mi uccidi?
 MERIDE
 Per me il tuo amor quanto che non quanto sostenne e fece?!
 SELINUNTE
 Nulla fec’io. Tu me ne togli il frutto.
 MERIDE
 Eterno fia di tua de la [illeggibile] de la costanza tua fia eterno il grido.
 SELINUNTE
 Perché non indugiar anco un momento?
 MERIDE
 Per sempre ei mi rendea vile ed infame.
 SELINUNTE
 Va’. Lasciami morir. Ten priego ancora.
 MERIDE
1530Perfido mi ameresti Di viltà vuoi tentarmi? Ah! Sii più giusto.
 SELINUNTE
 Ciò che niega amistà, ragion mi dia.
 MERIDE
 Qual ragione aver puoi su la mia morte?
 Qual ragione aver puoi su la mia morte?
 SELINUNTE
 SELINUNTE
 Gran re che di giustizia ognor ti pregi,
 per me ancor giusto sii. Spirò col giorno
1535su la morte, ch’io chieggo,
 di Meride il diritto. Ei venne tardo;
 e questa è l’ora mia.
 MERIDE
                                        Non rinfacciarmi
 un delitto non mio nel breve indugio.
 Odimi, signor o re. Molto di spazio al giorno
1540mancava ancor. Mi affretto
 l’ingresso in Siracusa. Alzarsi il ponte Esso mi è salito chiuso
 veggo e chiudersi al passo ogni sentiero.
 Mi si getta da l’alto, infausto foglio,
 e tradito mi trovo.
 Del dolor fo virtù. Questi mi vesto vesto
 panni plebei. Confuso
1545con la turba più vile,
 che sudi a l’opre in giornalier lavoro,
 entro. Inganno i custodi. A tempo giungo
 di salvar la mia fede. Or non esulti
 perfidia altrui. La tua giustizia regni.
1550Rendimi la mia pena.
 DIONISIO
 (Ah! Nicandro, Nicandro!) (Tra sé in atto pensoso)
 MERIDE
 E tu omai datti pace; e se vuoi morte,
 va’ fra l’armi a cercarla, ov’ella rechi rechi
 utile a la tua patria,
1555non infamia al tuo amico.
 Ma no. Vivi al tuo re. Vivi al tuo amore;
 e la memoria mia,
 Selinunte, Ericlea, cara a voi sia.
 ERICLEA
 (Chiuso è ’l cor da l’affanno).
 ARETA
1560(Del mio bene mi priva e vita e morte).
 NICANDRO
 (Usai l’ingegno e mi tradì la sorte).
 DIONISIO
 (Bassi affetti de l’alma, omai tacete.
 Di un re far voi potete
 uno schiavo e un tiranno).
1565Grazie, Areta, al tuo sdegno,
 che in mio arbitrio lasciasti
 il gastigo e ’l perdono.
 ARETA
 Ma salvo Selinunte.
 DIONISIO
 Amici, egual destino oggi vi attende.
1570Dividervi non posso. Ambo morreste,
 s’anche un sol condannassi;
 e sarei più crudele
 in dar la vita a un solo, che a due levar
 che la morte ad entrambi.
 ERICLEA
1575(Aimè!) (Aimè!)
 ARETA
                                  (Che ascolto?) (Che ascolto?)
 DIONISIO
 Orsù, dissipi al omai gioia i timori.
 L’un dono a l’altro. A me vivete e a voi;
 o magnanimi spirti,
 e se luogo aver posso
 ne la vostra amistà, non mal negata sul vostro labbro
 sarò il terzo tra voi. Sul vostro labbro
1580il bel nome di amico,
 più che quello di re, mi sarà caro.
 Sarò il terzo tra voi;
 e a voi darò in mercede
 un cor sincero, un’immutabil fede. (Dionisio scende dal suo posto)
 SELINUNTE
1585Deh! Qual bontà? Signor, un sì grand’atto,
 non che noi, ti fa amici uomini e dei.
 MERIDE
 Sire, in tanta virtù giusto è che’io t’ami;
 ma a misura del merto invan lo speri.
 ERICLEA
 (Gioie de l’alma mia, temo ingannarmi). (Dionisio scende dal suo posto)
 ARETA
1590(Non so s’io goder deggia o pur lagnarmi).
 NICANDRO
 (La vergogna mi opprime e ’l duol mi accora).
 MERIDE
 Ericlea, tu compisci
 la mia felicità. Te a Selinunte
 Meride unisca e lieto amor vi applauda.
 SELINUNTE
1595No, che amore in voi strinse un più bel nodo;
 ed ingiusto io sarei, se lo sciogliessi.
 MERIDE
 A te, signor...
 DIONISIO
                           Questa si tronchi ancora
 magnanima contesa. In dare il voto,
 Meride, a favor tuo, tre cori afflitti
1600mi accuserieno di tiranno ed empio.
 Ericlea sia tua sposa.
 E a te... (Vo’ nel mio seno, amor, punirti,
 che quasi di virtù spogliasti l’alma).
 E a te, Areta gentil, dia Selinunte
1605qualche compenso nel tuo rio dolore.
 Ei sia tuo sposo. (Invan ne fremi, o core).
 SELINUNTE
 Gradisco il dono; e tu se m’ami, Areta,
 a Meride perdona.
 ARETA
 Dal tempo e dal tuo amore avrò il conforto;
1610ma in sen di figlia or troppo acerbo è ’l duolo.
 NICANDRO
 (Cor mio Ed io fra tanti a sospirar sei son solo).
 CORO
 
    Diamo a te canti, diamo a te onori,
 o del ciel dono, bella amistà.
 Tu di virtude l’alme innamori
1615e per te orrori morte non ha.
 
    Tu ad opre eccelse stimoli i cori
 e ne allontani colpa e viltà.
 
 Fine del dramma
 
 LICENZA
 
 Opre, Elisa, vedesti,
 il cui grido ancor vive, ancor si onora,
1620che pregio è di virtude
 di balsamo immortal spargere i nomi
 e di etade in età torgli a l’obblio.
 Tale il tuo passerà, sublime augusta,
 ai secoli lontani; e un sì bel Ggiorno,
1625in cui ti diede il cielo al secol nostro,
 gloria porrà ne’ fasti,
 lo farà suo. «Dea» le dirà Virtude
 «dea, che preservi ognora
 da le ingiurie degli anni i nomi illustri,
1630scrivi: "natal di Elisa". A farla grande
 sudaro in nobil gara
 e natura e fortuna.
 Io maggiore la feci formai;
 è tanto a me simile
1635che chi vede Virtù vede anche Elisa.
 Studio e saper disperi
 di ombreggiarne altra idea;
 e qualvolta presume arte ed ingegno
 darne un ritratto somigliante al vero,
1640assai di che stupir ben s’offre al guardo
 ma più sempre a cercar resta al pensiero».
 
    Di Virtude, augusta Elisa,
 fu lavoro il tuo bel core.
 Compì l’opra e n’ebbe onore
1645in formarlo al tuo suo simile,
 
    retto, candido, sincero,
 pien di fede e di valore,
 grande, sì, ma non altero senza fasto in grande impero,
 sempre eccelso e sempre umile.
 
 CORO
 
1650   Brama lodarti, ma nol pretende,
 di un grato ossequio amore ossequio giusto voler dover.
 
    Il tuo gran merto tant’alto ascende
 che di seguirlo toglie il poter.
 
 Di scarsa lode l’ardire
 chi tace, onora: chi cede offende
 ove la lode forza cede al dovere
 e meglio onora
 l’ossequio onora che sa tacer.
 
    Di scarsa lode l’ardire offende
1655l’ossequio e meglio onora chei sa tacer.