Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Vienna, van Ghelen, 1721
ALESSANDRO IN SIDONE | |
Tragicommedia per musica da rappresentarsi nella cesarea corte per comando augustissimo nel carnevale dell’anno MDCCXXI. | |
La musica è del signor Francesco Conti, tiorbista e compositore di camera di sua maestà cesarea e cattolica. | |
Vienna d’Austria, appresso Giovanni van Ghelen, stampatore di corte di sua maestà cesarea e cattolica. | |
MOTIVI ISTORICI | |
Stratone, col favor di Dario, re di Persia, regnò in Sidone, città illustre della Fenicia nell’Asia. Fu egli quivi assediato da Alessandro, re de’ Macedoni, al quale gli fu forza di rendersi, più tosto costretto da’ cittadini che indottovi dal proprio volere; laonde, per questa sua ostinazione, Alessandro giudicollo indegno di più regnare in Sidone. | |
Alessandro diede facoltà ad Efestione, il più caro a lui de’ suoi capitani, che eleggesse per successore a Stratone chi più gli fosse in piacere. Efestione ne fece la proposta a molti dei principali fra i Sidoni, col consenso de’ quali, dopo varie altercazioni, rimessi inoltre all’approvazione di Alessandro, fu eletto re un certo Addolonimo, giudicato il più saggio e ’l più degno di avere quella corona. | |
Addolonimo era disceso dagli antichi re di Sidone. Costretto dalla sua povertà, sostentava la sua vita, lontano dalla corte e dalla città, con la cultura di un orticello suburbano. Cagione di questa sua grande indigenza altro non era che la sua probità. Le risposte date da lui ad Alessandro glielo fecero ravvisare ben tosto meritevole di quella fortuna, a cui lo innalzava (Curtius, liber VI; Plutarchus, in Alexander; Iustinus, liber XI). | |
Alla corte di Alessandro concorsero molti de’ più insigni filosofi che in quel tempo fiorissero, i quali in diverse forme furono da lui favoriti (Arrianus, Plutarchus et alii). | |
Due fra questi si rendettero segnalati al suo tempo, non solo di dottrina ma di costumi affatto diversi: Aristippo e Crate. | |
Aristippo era di Cirene, città dell’Africa. Fu discepolo di Socrate e fondatore della setta cirenaica. Vestiva nobilmente. Piacevangli le ricchezze ma per l’uso che se ne può fare dal saggio. Non posseduto da esse, le possedeva. In ciò fu ammirabile e singolare che accommodavasi ad ogni cosa e di nulla si sconcertava. In qualunque cangiamento di cose, o buono o cattivo; e in qualunque incontro di persone, di qualsisia condizione o genio si fossero, era sempre lo stesso; talché molti lo propongono come il vero modello della vita civile (Laertius, De vitis philosophorum, liber VI; Philostratus, in Vita Appollonii Thyanei, liber I, et alii). | |
Crate, nobile tebano e discepolo di Diogene, fu all’opposto della setta cinica, fondata da Antistene ateniese. Invogliatosi di quel genere di vita miserabile e sordida, vendette il suo patrimonio e, avendone raccolto dugento talenti, li distribuì tra’ suoi cittadini e per sé nulla ritenne. Fra l’altre cose riferite di lui, leggesi che, una volta interrogandolo Alessandro se fosse desideroso di veder ristorata e rifatta la città di Tebe, sua patria che esso Alessandro aveva distrutta: «A qual fine» e’ rispose «lo bramerei? Forse acciocché poi venisse un altro Alessandro e di nuovo la distruggesse?» (Veggansi Laertius, liber VI; Stobaeus, in Sententiae; Clemens Alexandrinus, in Paedagogus, liber XXII; Lucianus, in Dialogi, etcaetera). | |
Ipparchia, nobile femmina di Marona, città della Tracia, discepola di Crate, invaghissi di tal maniera della persona e della filosofia del suo maestro che, sprezzate le nozze e gli affetti dei più nobili della Grecia e non curate le rimostranze e minacce de’ suoi congiunti, volle ad ogni patto seguitar lui, il quale fece ogni sforzo per rimuoverla da sì strano pensiero. Nulla tuttavia li giovò con essa, né la deformità del suo aspetto né la sordidezza del suo vestito né la meschinità del suo vivere; talché finalmente, vinto dalla costanza di Ipparchia, la prese in moglie (Laertius, liber VI). | |
Questi due filosofi si fanno per lo più ragionare coi propri loro sentimenti o con quelli alla lor setta comuni. Altri personaggi ed amori sono introdotti nella favola per maggior viluppo di essa. | |
ATTORI | |
ALESSANDRO re di Macedonia | |
ADDOLONIMO di stirpe reale, amante di Fenicia | |
STRATONE già re di Sidone e prigioniero di Alessandro | |
FENICIA figliuola di Stratone, amante di Addolonimo | |
ARGENE sorella minore di Fenicia | |
IPPARCHIA vergine nobile di Marona, amante di Crate | |
EFESTIONE confidente di Alessandro | |
CRATE filosofo della setta de’ cinici | |
ARISTIPPO filosofo, capo della setta de’ cirenaici | |
CALANDRA giardiniera | |
NILO schiavo di Crate | |
COMPARSE | |
Paggi per Alessandro, paggi per Fenicia, paggi per Ipparchia, paggi per Argene, soldati macedoni, cavalieri sidoni. | |
MUTAZIONI DI SCENE | |
Nell’atto primo: spalliera di cedri, contigua agli orti di Addolonimo ed al palazzo abitato da Alessandro nei sobborghi di Sidone. | |
Nell’atto secondo: cortile rustico dinanzi ad un recinto, dove si custodiscono le fiere; da una parte picciolo serraglio per un orso. | |
Nell’atto terzo: stanze terrene nel palazzo. | |
Nell’atto quarto: giardino con fontane e con deliziosi ritiri di verdura. | |
Nell’atto quinto: sala. | |
Il tutto rara invenzione del signor Giuseppe Galli Bibiena, secondo ingegnere teatrale di sua maestà cesarea e cattolica. | |
BALLI | |
Nel fine dell’atto primo: ballo di giardinieri. | |
Nel fine dell’atto terzo: ballo di schiavi africani, seguaci di Aristippo. | |
Questi due balli furono vagamente concertati dal signor Alessandro Philebois, maestro di ballo di sua maestà cesarea e cattolica. | |
Nel fine dell’atto quarto: ballo grottesco di fanciulli diversamente immascherati. | |
Fu vagamente concertato dal signor Tobia Gumpenhuber, maestro di ballo di corte. | |
Nel fine dell’atto quinto: ballo di guerrieri macedoni. | |
Fu vagamente concertato dal signor Pietro Simone Levassori della Motta, maestro di ballo di sua maestà cesarea e cattolica, con l’arie per li detti balli del signor Nicola Matteis, direttore della musica instrumentale di sua maestà cesarea e cattolica. | |