di qual fiamma avvampi il cor.
e ’l conforto al mio dolor.
né più teme quel mar che sfuggì.
e si scorda que’ lacci onde uscì.
vi trovo la beltà ma non la fé.
non mi chiedere il perché.
so che inganni, non ti amerò.
che l’amarne un traditor.
ingannata, anche il suo onor.
Armi ha ’l ciel per gastigar
quella amando ed or questa beltà.
da più fiori succhiando sen va.
ti dia timor. (Venceslao va a sedere nell’alto dello steccato)
ti ho tradita e ti amerò».
e ’l mio cor non sa perché. (Casimiro, in atto di deporre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre, alzando gli occhi, vede il figliuolo)
e più accresce il tuo dolor.
potrai lieta nel seno abbracciar.
giusto ancora saprò conservar.
se in te amore ritorna e pietà.
idol mio, per te languir.
Vuole il padre ch’io mora, ahi! che farò?
Ombre squallide, furie di amor,
sommo ancora è ’l suo piacer.
più ’l mio destin crudel.
L’arte, sì, del ben regnar
da me ’l mondo apprenderà.
ma l’amor languir non può.
Non mi dir di amarmi più,
anima senza fé, senza pietà.
Perché con me? Perché tanta impietà?
tempo e sorte, amor e fé.
che aura amica i gonfierà.
non è sangue, un foco egli è.
per la gloria e per la fé.
oro ha ’l Tago e perle il mar.
lauri e palme io produrrò.
se al tuo scettro basterò. (Siegue la danza di popoli festeggianti con suono e canto)
tempo e sorte, amor e fé.