Metrica: interrogazione
110 tronchi in Venceslao Venezia, Albrizzi, 1703  (pezzi chiusi) 
   Se ti offendo, tacerò;
di qual fiamma avvampi il cor.
e ’l conforto al mio dolor.
né più teme quel mar che sfuggì.
e si scorda que’ lacci onde uscì.
vi trovo la beltà ma non la fé.
so che inganni, non ti amerò.
ingannata, anche il suo onor.
   Armi ha ’l ciel per gastigar
   e più spesso ei fulminar
quella amando ed or questa beltà.
da più fiori succhiando sen va.
ti dia timor. (Venceslao va a sedere nell’alto dello steccato)
e ’l mio cor non sa perché. (Casimiro, in atto di deporre lo stile sul tavolino, vede il padre nello stesso momento in cui il padre, alzando gli occhi, vede il figliuolo)
potrai lieta nel seno abbracciar.
giusto ancora saprò conservar.
se in te amore ritorna e pietà.
Vuole il padre ch’io mora, ahi! che farò?
   Ombre squallide, furie di amor,
sommo ancora è ’l suo piacer.
   e se teco io non vivrò,
più ’l mio destin crudel.
   L’arte, sì, del ben regnar
da me ’l mondo apprenderà.
   Ei vedrà che so serbar
ma l’amor languir non può.
   Non mi dir di amarmi più,
anima senza fé, senza pietà.
Perché con me? Perché tanta impietà?
non è sangue, un foco egli è.
oro ha ’l Tago e perle il mar.
se al tuo scettro basterò. (Siegue la danza di popoli festeggianti con suono e canto)

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