e che passi un mio figlio
questo or si adempia e regni
Signor, posso a mio grado
non v’ha chi meglio intenda
miei chiusi affetti. A tempo
co’ tuoi, co’ nostri voti.
al tuo trono, al tuo piede
Lieta in voi del mio regno
gli omaggi accetto. Il cielo
il cui senno, il cui petto
Tal, mio Ormisda, è ’l costume
Giusto, sire, è ’l tuo sdegno;
son tua prole ugualmente.
da l’onor di un tuo amplesso.
(Vil padre e reo marito!)
Vuoi palme? Io te le appresto;
Ma di Ormisda son figlio;
soffrir ch’altri m’usurpi
Tanto ardisce il superbo,
sol pochi e freddi avanzi.
Non ti chiede il mio pianto
che a favor di una moglie
questo ancor niega. Ormisda
il re, il marito, il padre.
quanto v’invidio! O padre,
meno giusta e men grande.
Regna sui Persi; io ’l primo
Ma quella, che succhiasti
Intendo. E madre e figlio
Ma muovi e terra e cielo,
fa’ quanto puoi, superbo,
Convien dunque ch’io cada
la destra, o re, ma solo...
giugnesti al mio periglio.
Senza te, trema, iniquo, (Verso Cosroe)
Di’. Qual furor l’ha mosso
qual ti vanti, innocente.
Figlio ed amante io sono.
No no, mi è re, mi è padre.
Né sì estremo è ’l periglio
tutto a te deggio; e l’opra
Cosroe di Ormisda è figlio.
(Qui Cosroe? Ei da me vide (Sfodera uno stilo)
ed è in atto il sembiante
Su, destra, e che si tarda? (Con voce alta ma fingendo di parlar tra sé)
(Che sarà? Cauto, o Cosroe.
di questo ciel non deggio.
Prendi tu questo ferro (Dando lo stilo a Cosroe)
Or tardo è ’l pentimento.
Sorgi. Del tuo delitto (Erismeno si leva)
farò. Per Mitra il giuro;
e s’anche vuoi ch’io volga
Orché tutti al mio fianco
re per l’ultima volta. (Si cava la corona di capo, tenendola poscia in mano)
questo, che da più lustri
Ciò che mediti il padre, (Verso Palmira)
Deh! Qual crudel consiglio?
Cosroe, prenditi il regno
che sgiunger non si ponno,
fatal diadema. Ormisda, (Rimettendosi la corona in capo)
ti chiese opra o consiglio,
Stelle, a che mi serbaste?
né a l’offesa né al fallo.
Tolgalo il ciel. Mi basta
che tu sappia il delitto.
Grazia, o re, grazia, o padre.
Vaglia a chi errò, in difesa
le insidiò vita e gloria.
prigion mi tolga al giorno.
Guai per me, se mio fosse
La tua gloria in soccorso
Deh! Che mi narri? Arsace
Quegli, cui giova il male,
Seguanti i miei; ma forza
nel tuo possesso. Io fuggo
Tal lo credea chi ’l finse.
salviam la nostra gloria.
Vergogna, o cor di Arsace,
Senza il mio cenno a tutti
Intendo. Il tutto udisti.
Arsace, è un gran difetto
sento che ancor son padre.
Venga. Vi aggiungo il voto, (Parte una delle sue guardie)
Ma se vuoi legge impormi,
Che? Palmira al suo piede
Quale audacia?... (Palmira si avanza)
Sempre il perfido è ingrato.
Per Cosroe anche fra ceppi
tremino e madre e figlio;
Previeni il suo periglio;
e Cosroe in re si acclama.
Regina, il passo affretto,
Tutto io fei per salvarlo,
Troppo importa un momento.
Deh! Per queste ch’io spargo (S’inginocchia)
Vincesti. Al carcer vanne.
è un affrettarne il fato.
Prendi, Arsace. Con questa
Questo braccio, il sapete,
Ma stride l’uscio e v’entra
Prence, hai d’uopo di tutta (Stando in lontano)
persiste in sua sentenza,
Chi tel vieta, me estinto?
Festi, o regina, (Avanzandosi)
e comincia da me. (Cuopre con la sua persona quella di Cosroe)
Vuol la madre ch’ei mora.
carcere affretta il passo.
Riedi al tuo campo. Estingui
Che sarà? Forse, o stelle,
Ove? Al tuo re, o Palmira.
Ne han disposto altrimenti
Sire, soffri che umile...
Mal cominciano, o Cosroe,
Padre, il rubel, l’iniquo (Mettesi a’ piè del padre)
al tuo Arsace un diadema.
Non ti spiaccia, o regina,
sol guarda il figlio. Omai
a me grave, a me infausto.
vuole ammirar, da l’Istro,
l’altre sue che verranno.