v’è chi ’l trono contenda?
Già te li tolse... Eh! Queste
Diasi e per voi, gran donne,
tregua almen, se non fine.
Dario, gran duce, il cielo
sete ti accende, a l’armi
che a tuo favor pugnando.
sento in seno avvamparmi.
non si perda, o miei duci,
«In te, benché nemico, (Legge)
Idaspe, a’ piè del foglio
Inutile ricorso. (Straccia ’l foglio)
furie desto, armi impugno.
Ardua impresa. Il suo affetto
Idaspe... Ah! No. Ti svegli
cieli, vi chieggio alfine.
Lingua rubella, ah! come,
vince il più forte. Il caso
anche ha le sue vittorie;
Tolga il cielo gli auguri;
Noi pure al fier torrente
Van le mie pari al regno,
Non scielga un re de’ Sciti
Vuoi che umile io ti siegua
Ch’io viva, orché m’è tolta
Forse ei le serba al core.
Tanto applauso a un nemico?
Ma dal tuo cenno ei brama,
Deh! Non temer, mio bene.
Stelle! Ma s’ei ti chiede...
un desio ch’è tua gloria.
Eh! Manca al mio trionfo,
Vergine illustre e bella...
trar la ragion del merto.
Ma più di ogni altro affanno
più che ’l mio braccio. Pure
tutto il mio sdegno, o bella.
Tanto egli fece. Il foglio
e verrà a tormi un scita,
Idaspe, ah! se in te vive
L’odio, che in sen mi bolle
tenterò i miei. Qual odio
vedrem sia più ingegnoso.
Eh! Cara, andiam. La fuga...
Si arresti; e poi tra’ ceppi
(Mi tradisti, o destino).
Un mio cenno qui ’l trasse.
la via m’apra al comando?)
diasi al merto di Arsace.
Men vado a lui. Frattanto
Mia discolpa è ’l mio nome;
niego... Ma taci, Arsace;
piacque il regno a Statira,
tel conserva il mio voto.
Che il tuo giudice estremo
diè moto a’ passi, al core...
Or via, mostra quel foglio
Io t’amo, Arsace, io t’amo.
qui te lo scuopro. Eleggi.
Or va’, salva il tuo fido
Ma ’l vostro esempio e ’l giusto
Non più. Pensa, o Statira,
Orsù, tu non morrai. (Ad Arsace)
Non perderai tu ’l trono. (A Statira)
Con troppo costo, Oronte,
E questo è un esser forte?
tal ti acclama il Senato.
m’è la cagion. Si ascolti.
che tu per lui ne avvampi.
Olà, provi i miei sdegni...
restino i tuoi guerrieri.
Tu ad affrettar va’ tosto
qui meco trassi; e ’l foglio,
Punir le colpe è ’l primo
Svenami. (A Barsina) E tu perdona; (Ad Arsace)
Sposa... Barsina... Oronte...
No, non cadrà. Già stringo
Sì... Ma tardo... (In questo Oronte con un colpo getta a terra la spada di Arsace e ’l disarma)
siede il Senato. Io voglio
Quel duol, che in me tu miri,
Ma poscia il tuo periglio...
l’arbitrio estremo. Valga
per lui tutto il tuo sdegno.