Metrica: interrogazione
377 settenari (recitativo) in Enone Venezia, Pasquali, 1744 
Tel dissi e nol credesti.
                             Vedi
Chi l’avria detto? Enone
degno è il suo error. La scure
l’arcano, onde dipende
la mia salvezza. Ah! Guarda
Ma che? Ridonsi gli empi
stassi e da un ramuscello
Tale anch’io del più fido
sono ingegnosa! Eh! Lungi,
lo stringerai. Già imposi
d’amarmi o m’ami solo
O dio! Lascia che almeno,
Tua sono; e tutti assolve
Cara Enon, finch’io viva,
Quanto, ahi! quanto fien brevi
farai crescer quest’acque
dal tuo amore il tuo sangue,
dal tuo sangue il tuo amor.
mi fugge il padre. Il fato
Ella è amante; ella è moglie;
lieto il lasciai, già certo
ritorna e fa’ che tosto...
                                     E dirlo
                              Già dissi.
E ’l promesso perdono?...
            Già intendesti. A Niso
ben tosto avranno il vanto
sangue il talamo è sparso.
Tanto il tuo impero e tanto
                                     Ma tanto
non ti chiese il mio sdegno.
trovarti. Io ne avea tema.
                 Perder chi s’ama
Di sangue?... Ah! Mi faresti
tremar, s’Egle non fossi.
basta a scompor di un’alma
fosse... No. Taccia il labbro
                                Niso...
            Nel mio duol, nel pianto
                               È morto,
t’erano, il so, di Enone
                             Errasti
                   E mi rimetti
d’altro per me a dolerti
Grato m’è il suon di queste
diasi all’ombra l’usato
                           Del nostro
                                     Imposto
Astrea regge i suoi passi.
Né v’ha chi a’ suoi non renda
                     Un sogno or figlio
pien di vita il mio figlio.
di qualch’opra malvagia,
che, quand’io pur volessi
quell’aspra atroce morte
vanne; e se il ver narrasti,
più di quello che or sono.
Paride a me qui venga. (Parte una delle guardie reali)
                                  Di tanta
re, non mancò alle leggi.
che, se osservata, ingiusto,
dovea de’ suoi sponsali.
vuol giustizia e l’avrà;
                   Puoi dubitarne?
perché d’altri omicida.
sia vero, in mia condanna.
Mal ti ostini in tuo danno.
                        Gli dei
non son gli altrui spergiuri.
tutto l’aggravio e tutta
qual altri al suo supplizio.
de’ suoi giorni l’estremo.
Duolmene. Io l’avea caro;
altro vedi, altro scegli (Mostrandole Cleone)
                In uscir del tempio
                              Tel renda,
(Or torna Egle a piacermi).
O dei! Pur da te imposto...
or tel dice il mio affanno.
che, s’io ricevo il torto,
Senza espor la mia testa...
                               Eh! Vanne,
Che vuoi? Di quell’ingrato
                                    Saremo,
vaglia l’esser tuo amante,
tuoi torti il compiangessi?
Che sì, che in te risorse
Siagli la tua. Va’. Prega.
dal tempio al ceppo il vostro
Non privare un tuo sguardo
Oimè! (Lo guarda e subito altrove rivolgesi ma stendendo il braccio, come in atto di rispignerlo, dà campo a Paride di prenderle la mano e poi di gettarsele a’ piedi)
                Ma alle tue piante,
mi trovi e poi m’uccida. (Enone piange)
che all’ombra tua le sparga
il tuo sangue e il mio pianto,
Tutto i tuoi falli e tutto
pace m’hai tolto e spene.
chiusi i bei lumi al giorno,
                             Se fosse
Paride è il tuo Alessandro.
Priamo in affar sì grande
                       Possenti
Ma prescritta mi è l’altra
rivocar co’ tuoi preghi?
de’ tuoi crucci il più fiero.
potrebbe il cor. Ma, oh dio!
Spesso ne’ casi avversi,
Ma dopo la promessa (A Priamo)
Del tuo venir si sparse (A Priamo)
che all’età riflettendo
Deh! Posto avessi in opra (Ad Eurialo)
Taccio; ma chi ’l potria
più non mi uscì del labbro;
padre e signor, mi è cara
l’avrò, se tu mi plachi
degli oltraggi, dei pianti?
Sposa... Amor mio... Che gioia!
Egle, sia questa un’opra
dubbio ancor del suo fato.

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