tal vieni a Pirro? Invece
dal vostro piè non trita,
queste qui impresse leggi
Ubbidirem. (Tiranno). (Pirro porge a Turio la tavoletta, il quale da lui la prende piegando a terra un ginocchio e poi si ritira)
sorgon più alteri. Io temo
Vi saran fiamme. Un’altra
Sestia è romana; e ’l fasto
Da l’Illirio a te in breve
Mi giovi. Un picciol campo
vedi che il tuo gran core
temer puoi che al tuo regno
traggi pria fuor d’Italia,
pensier. Rendi i prigioni
Ma sinché in terren nostro
Questi ho tolti in difesa
non si manchi agli oppressi.
e le armerò, in mio danno,
(Dal suo dir spirò fasto).
Fabbricio, assai per Roma
vergine, in fresca etade,
disse; ma tacque i rischi;
più di virtù al consiglio.
In quel metallo è Pirro. (Mostrando a Bircenna la statua di Pirro)
Guerriera idea. (Guardandola attentamente)
Volgiti e colà mira (Additandole Sestia)
quella, ond’egli sospira.
Gran beltà e gran fortuna
Né di quella io mi pregio;
né di questa ho vaghezza.
Mal parli e peggio pensi.
sta in mostrar di sprezzarle.
torna in pro di Bircenna.
Che? Quando in armi è Pirro
del braccio e non del core.
Quest’armi e queste spoglie
bando a le amare angosce.
(Vien Pirro e seco è ’l padre
di Sestia. O inciampo! È forza
Partite; e qui sediamci. (Le guardie si ritirano)
Gran re, ch’io in lari angusti
che i più degni han fra noi...
Chiamisi Sestia. Io l’amo.
Che? Tu di Sestia amante? (Si levano)
Ti sovvien, benché schiava,
Anche in danno di Sestia?
Che, Sestia, i suoi sospiri?
non siamo; e quando ancora
mercé a questo, che stringo,
O dei! Che udii! Che vidi!
quel di sua voce; e ’l raggio
tal rito, in cui si onora
Io Bircenna, io di Glaucia
e più al volto guerriero. (Si ritira in disparte)
tal l’armi tue. Compiansi
sembra illirica e forse...
mi degnò d’uno sguardo). (Si ritira)
A chi Roma ha per patria,
Che insolenza! (A Bircenna con ira)
m’occupa. Agio avrai tosto
A l’amor mio di Roma (A Fabbricio)
per Glaucia e per Bircenna.
Inopportuno incontro! (Da sé)
di te? Che al mio Senato?
dopo gli altri, te stesso
ti lasci a’ fiacchi affetti.
rieda quella al suo Illirio
Volgo il piè, giro il guardo
chi mi strisciò qual lampo
dopo Roma il più illustre,
casi infausti mi annuncia.
fatto è ’l nostro tiranno.
Sotto il dolce suo impero
dei consigli e de l’opre.
Fa’ che un foglio assicuri
Qui ragione in dispregio.
poc’anzi egli si offerse;
Io ’l vidi. Io ’l ravvisai
a che ascoso e furtivo?... (Vede Volusio)
(Non m’inganno. Egli è desso). (Da sé)
qual ti piansi, anzi estinto.
non da quel che già fosti
Siam soli. Benché schiava,
favor che deggio a Pirro.
Roma, Sestia e te stesso.
Sciolti andranno i cattivi?
Sestia, fra’ tuoi spaventi
(Partì a tempo. Ecco Pirro).
O perigli! O tormenti! (Pirro, dando un’occhiata a Volusio che in atto riverente ritirasi alquanti passi, si avanza verso di Sestia)
Spiega, o Sestia, oltre l’uso
(Che gli dirò?) Nol niego,
Volusio, a cui, se avversi
stenderlo, in lui credendo
I beni han più il lor prezzo
il risponder a Pirro. (Pirro volgesi con ira verso Volusio, il quale mostra di rispettarne il comando e torna a ritirarsi alquanti passi in lontano. Escono intanto d’un viale Turio e Bircenna, seguiti da un soldato armato d’arco e di dardo)
Eh! Pensier non ti prenda
ten prega e qual ti parli
che discordia sciogliesse.
più che d’amor. Per Pirro
abbia sprezzo, abbia obblio.
Che fia? (Riguardando verso l’opposto viale)
poiché ’l vuoi, t’abbandono.
(Avversi numi!) Pirro, (Si avanza verso Pirro)
Bircenna io scorgo e in questo?...
ne invidiò ad altro braccio.
Sestia, invan ti fai core
può l’idol mio? Voi soli,
Volusio, ah! che facesti?
contrasti anco indugiate,
Senti. Che dirà il padre?
tolta è a Pirro ogni spene
Pirro n’è ignaro; e a tutti,
fuorché al padre di Sestia,
poc’anzi era il suo affetto.
Non mi creder sì ingrata.
Principessa, egli è tempo
Perché non dir più tosto,
torni al regno ed al padre.
Sestia è ognor tua nemica.
nol cercar che in Bircenna.
che spergiuro mi offendi,
l’iniqua?... A che qui perdo
scorron legni e soldati...
Eccoti in Sestia, o Pirro,
e più che al proprio scampo,
provvidi a la tua gloria.
non t’era a cor. L’amante,
ciò che ancora in tuo danno
rea mi rende a’ tuoi ceppi;
Sestia, gli dei son giusti.
Te altre volte in aspetto
Ardir che mi spaventa. (Da sé)
Questo è ’l sol mio dolore
(Questo ancora in mia pena?) (Da sé)
Toglietelo al mio aspetto.
Qual pro dalla sua morte?
Da molt’anni, o Fabbricio,
su più popoli ho scettro;
che discerner gli oggetti
Per privarmene ei stesso.
E ben. Soffra il supplicio
del mal ch’ei non ti fece;
macchia il mio onor si terga.
Giudice suo, potresti?...
Morrà dunque il mio sposo?
Signor che le altrui veci
di orror! Veduto in Pirro
Tolga il cielo, o signore,
potrei dare al mio affanno,
pon freno. In pace soffri
Il tuo esempio e ’l suo amore.
Ed ingiusto era in Pirro?
Nulla in ciò più mi resta
di arbitrio. In lui ti aggrada
Tra giustizia e clemenza,
Leggi e vedrai che a torto (La dà a Pirro)
l’empie trame a svelarti. (Vien Turio col suo seguito)
Ah! Siam traditi. (Da sé)
Se in mio favor fai tanto
A me Sestia e Volusio. (Alle guardie)
Teco morir vo’ anch’io. (A Volusio)
Riedi invitto al tuo Lazio.
che non ne frema il core,
Se mia gloria il soffrisse,
L’abbia. Ne son contenta.