Non contar fra’ tuoi mali
chi può scoprirmi? Questa
Quella, oh! quella foss’io.
che si l’abborri e schivi?
Ah! Non forzarmi a dirlo.
Grave; e maggior ne temo.
l’hai per colpa innocente.
son donna, ho senso, ho vita;
chi non vive e non sente.
Non è sempre il più acuto
Ma nel tuo amor non veggio
qual tenga parte Aglauro.
del padre, ad altre nozze...
il padre e il lieto coro.
(Ah! Che anche troppo intesi).
E al tempio andiamo, Erasto.
perder puoi, se più indugi.
Chi serve a chi altro nume
e il saper più d’ogni altra
ti danno il grado eccelso,
per cui te, già tre volte
Quegli omaggi, che all’alma
O mia Dorisbe. (Dorisbe mette in capo ad Alisa la ghirlanda e intanto si sente una picciola sinfonia d’instrumenti pastorali)
Voi, ninfe, ad una ad una
(ma non il primo) omaggio
Non sapea già appressarlo.
Altri or qui mova in giro
Altri alzi il canto e onori
aurei tetti, ampie messi,
per me che in poca cella,
ma il cor fosse contento.
voi ch’altra terra e forse
dal mar, che ne disgiunge,
da un dover, che mi sforza,
non potendo esser vostra,
di quella ov’egli stassi,
presentimento... Ah! Figlio,
e che, s’io non mi astringo
di Tracia, un cui son ligie
Me di provincie e mari (Tra sé)
muor tosto e di sé lascia
Taci; e a già caro amante
Bella Aglauro, avrei quasi
Piace a lei tormentarti. (Ad Erasto)
Anzi disingannarti. (Al detto)
Soffersi il tuo, nol resi.
Quel del non più piacermi.
Nol dir che, quale avviene
suon di quell’aspre voci,
Oimè! Non ho che un core;
Se te ricchezza invoglia,
dir vuoi; ma quale offesa
che s’ami, ov’egli sforza.
Ma se mi è dato un giorno
benché il ciel m’abbia dato
ch’io ti faccio del core,
l’idee, che in sé rivolge,
di te che tal l’hai reso;
Che? Lacci a me? (Levandosi impetuoso)
quell’aspre funi ed adre,
Fermatevi, che indegne (Rispingendo i ministri)
lo neghi. Io qui l’intesi.
Racchiusa in pochi accenti
Questo amor volle. Questo
dategli lode. Oh! Il degno
fa’, Erasto, che si rechi
nel tempio e appiè dell’ara
(Oimè! Ch’io vengo meno).
Ma... (Si ferma alquanto)
Come? O dei! Ferma. Ascolta. (Arrestandola)
non fosse che il tuo amore,
Se a ninfa, che il salvasse,
Te ne sovvenga. Addio. (Si parte)
qui leggo acerbo affanno;
da costoro indagarlo. (Si ritira in disparte)
nel tempio; e giunto appena,
(Uom quegli è d’alto grado.
(V’ha chi mi osserva. Parmi
Io che queste ho in governo
ch’io pria gli ultimi adempia
fosse quel figlio...) Ha padre?
Non so... Che affanno è il mio!) (Si ritira in disparte)
certo fia quel meschino).
pregarti, anzi ch’io mora,
sia... Se a dirlo avrò forza...
mi punga affanno. In quella
finisco i pianti; e l’altro
Quanto, Imeneo, mi chiedi
se il puoi, tu lo consola.
m’aita. (Eumolpo corre a sostenerlo e pian piano lo adagiano ad un sasso della fontana)
nol sarà più, se il duolo,
han del bosco e del colle.
Suona il tempio alle grida
Che abbraccio?... Un’ombra?... E dove
sei tu? Dove son io? (Si leva agitato)
felice, se in tua schiera
Che sì?... Vieni più lieta
vedrai stretti a’ tuoi piedi
e l’industria e il valore.
Ma in renderti la figlia,
lasciai, per essa il padre.
S’ebbi cor ne’ miei mali,
se ne’ suoi rischi ingegno
da lei mi venne, Eumolpo,
Ah! Mio buon re, Magnete,
che ti si legge in fronte,
nol so. Ben farò, Eumolpo,
non v’ha uguaglianza, e ch’altro
né il soffre. E pur tu, Elisa,