Lungi, o Greci, il timor. Son legni amici
spingon aure seconde. Io riconosco
le note insegne e il sempre invitto Achille.
Presa già Lesbo, ei riconduce a noi
la vittoria che ’l segue. Alla sua spada
che la Frigia ed Ettorre al piè gli cada. (S’accostano le navi, dalle quali sbarcano Achille e parte de’ suoi soldati)
passan le notti neghittosi i Greci?
Lesbo già cadde; e in pigro e lungo sonno
stan chiuse ancor, quando trionfa Achille?
chi può contra gli dei? Sciolte dal lido
fendean le prore achee l’onda tranquilla;
cessa il favor, soffia l’avverso e a forza
le nostre navi in Aulide rispinge.
e già n’è tolto il navigare a Troia.
Io vi precederò. Trarrò in catene
sì cara a Teucro. Allor che a lei messaggio
fosti de’ Greci, il so, nacque il tuo amore.
Così vi fosse Ifigenia, mia bella
Tu l’ultimo a saper sei la tua sorte?
Mi sei nunzio di bene o di sciagura?
fia di tue palme il premio illustre.
Nol credo a te, nol credo all’alma, è tanto
il piacer che m’opprime. Ecco Elisena
che già s’affretta al lido. Io seco lascio
non certo appien di sua fortuna, il core.
or cattiva ed ancella, in me rivedi
Data avessi a’ miei detti allor più fede,
che ne’ trofei del valoroso Achille
Tua sciagura è minor di quel che temi.
serva, straniera, anche a me stessa ignota?
So che sangue real m’empie le vene
non è quel che sortii da’ miei natali.
Calcante, al cui saper tutto è presente,
in Aulide or soggiorna. Ei de’ tuoi casi...
che svelerà dell’esser mio l’arcano,
l’ultimo fia della mia vita ancora.
Senza perir, non m’è permesso
conoscer genitori e non me stessa.
Svelinsi i tuoi natali; e d’Elisena
che sì gentil non ti formar gli dei,
fosse del lor poter l’opra più bella
e insieme agli occhi miei l’opra più cara.
Qual tempo scegli a palesarti amante?
ch’amo Elisena e non la sua fortuna.
modo di riamarti. Intendi, intendi
tutta la mia sciagura. Adoro Achille.
Che ascolto! Achille? Il distruttor di Lesbo?
È l’oggetto più caro agli occhi miei.
Ch’ami Achille guerriero è suo gran vanto;
ch’ami Achille nimico è tua gran pena;
ma che l’ami altrui sposo è tua gran colpa.
Qual fero annunzio! Achille sposo? O dio!
sarà d’Achille. Ei l’ama; e al novo giorno...
Non più, molto dicesti; io molto intesi.
non è caro allo sguardo; e grave duolo
ne’ suoi primi trasporti ama esser solo.
Ifigenia sposa d’Achille? Ed io
per veder la rival? No, pria quell’ara,
che al funesto imeneo le faci appresta,
bagnerò col mio sangue; e a piè del nume
vedran le greche attonite pupille
ch’era il mio cor degno d’amare Achille.
Sorta a gran pena è l’alba; e mentre ogni altro
tu, duce e re, stai sospiroso e vegli?
pago è di quanto basta, invidia io porto.
Chi regge altrui, più misero è di tutti.
Onde il tuo duol? Del grande Atreo tu figlio,
Ma no... Tu non morrai... Pria mi si svelga
l’alma dal sen che dal mio cor l’assenso.
dopo tre lune in Aulide n’è forza
stare oziosi. Alla gran dea di Cinto,
che qui s’adora, un sacrifizio offrimmo
Nestore, Ulisse, il mio germano ed io.
Non v’era altri del campo. Agghiaccio e sudo,
Arcade, in rammentarlo. Odi qual diede
oracolo funesto a padre amante:
«Greci, Troia cadrà; propizio vento
spingerà vostre vele al frigio lido;
ma vergine real, che sia del sangue
d’Elena, pria si sveni all’ara mia.
Si sacrifichi, o Greci, Ifigenia».
mi si gelò. Vista, favella e moto,
tutto perdei. Rinvenni al duolo, all’ira.
Il cielo condannai. Giurai sull’ara
non ubbidir la cruda legge; e volli
depor lo scettro e dar congedo al campo.
O dio! Perché nol fei? L’accorto Ulisse
seppe voci trovar di sì gran forza
che vinto alfin m’arresi e della figlia
diedi alla morte, o iniquo padre! il voto.
O voto infausto! O sacrifizio orrendo!
Scrissi alla moglie, e il quarto giorno è questo,
che d’Argo a noi guidasse Ifigenia.
Senza temer del giovine feroce
l’amor deluso e il provocato sdegno?
Achille era lontano e si credea
che la Tessaglia e Lesbo ancor gran tempo
Or giunse al campo. Onde il rimedio al male?
che torni in Argo e che a stagion migliore
differite ha le nozze Achille istesso.
lor vanne incontro. Ah! Se la figlia il passo
Cauto in tacer l’arcano, aggiungi a questo
che dell’indugio delle nozze attese
tutta la colpa ha il novo amor d’Achille
ciò che tacer, ciò che dir debba intese.
più non affidi, alto signor de’ Greci,
l’orgoglioso Ilion le sue speranze.
Quello in calma è rimesso; e sotto il peso
questa d’un vano ardir soffre le pene.
hanno rapido volo. In brevi soli
Tessaglia hai doma e conquistata hai Lesbo;
scorgendone le fiamme e le faville,
vide il suo fato e riconobbe Achille.
di troppa lode e, se non mente il grido,
con l’imeneo de la real tua figlia
io sarò de’ mortali il più beato?
(Che mai dirò?) Mia figlia è ancora in Argo.
Sarà nel campo, anzi che cada il sole.
Faccia voti ’l tuo amor ch’ella stia lunge.
De’ miei voti ’l più caro è il rivederla.
In Aulide non mai, s’è ver che l’ami.
D’Aulide partirò sposo felice.
Torniamo in Argo. Ivi otterrai la figlia.
Vi tornerem quando fia Troia in polve.
Pugnan per Troia il cielo, il vento e il mare.
Temo assai più di loro un vil ritorno
che disonori il nome greco e il mio.
Che sul fior dell’etade Ilio sia tomba
del prode Achille hanno prescritto i fati.
Altrove avrai vita più lunga e lieta.
Sia tosto o tardi, ha da morir chi nasce.
Ma vita neghittosa è ignobil morte
e visse assai chi può morir con gloria.
Senza Troia cercar, dal ciel protetta,
mancan altri trofei degni d’Achille?
No no, per Troia io venni; e Troia io voglio.
Ivi l’onor mi chiama; ed io vi corro.
che l’aura amica; e quando ogni altro ancora
son co’ miei fidi a vendicar bastante
del tuo fratello e della Grecia i torti.
In Argo poi, di nuovi allori adorno
e delle spoglie d’un sconfitto regno,
verrò, d’Ifigenia sposo più degno.
Per quale invidia di contrario fato,
Troppo offendi il mio re, troppo il mio duce.
Sopra me ne cadrà l’ira e la pena.
Aprir non ti conviene il regal foglio.
Né a te convien portarlo, ove ne nasca
alla Grecia e al tuo re vergogna e danno.
ove forza preval. L’anello e il foglio
Ragion fu vana e vana ogni difesa;
e a te s’aspetta il vendicar l’offesa. (Si parte)
Qual ragion ti sospinge a farmi oltraggio?
Che sì, che a vista del possente Ulisse,
temerò, qual fanciullo, ombre e fantasmi?
Conosci quest’anello e questo foglio?
Ciò ch’è mio riconosco. A me lo rendi.
letto per tua vergogna a tutti i greci.
D’aprire il chiuso foglio ardir ti venne?
Per veder le tue frodi e prevenirle.
d’Argo attendendo Ifigenia promessa.
Dell’opre mie sei giudice o custode?
Lo feci e il dovea far; né son tuo servo.
E dispor non poss’io d’una mia figlia?
La promettesti al ciel per comun bene.
gli altrui piaceri con le mie sciagure.
O allor di frode o d’inconstanza or pecchi.
Cangio voler, quando il cangiarlo è bene.
Par bene a te con falsi giuramenti
tutta ingannar la Grecia?
che ad Elena si sveni Ifigenia?
Quella ritor giurasti al frigio amante.
Il re giurò ma non il padre allora.
Elena resti e Ifigenia non mora.
E noi t’avremo alzato al sommo impero...
giova ad Ulisse il favellare accorto.
Giovi l’altrui. Su, va’, congeda il campo.
Credi Nestore vile? Inermi i Greci?
temi a’ suoi detti il militar tumulto.
Tra i numi e te sapran gli Achei qual parte
debban seguir. La vittima promessa
vorranno a forza; e la vorran gli dei,
poiché gli dei l’han chiesta.
Difenderla sapremo Achille ed io. (In atto di partire s’incontra con Teucro)
tua regal donna e la diletta figlia.
qui le prevenni. Esse gli applausi intanto
ricevono de’ duci e de’ soldati.
l’alta beltade e il portamento onesto;
lo sposo avventurato. Altri te dice
genitor più felice, a cui cotanto...
Teucro, non più. (Freno a gran pena il pianto).
son l’arti mie. Non mi giovò accortezza
contra le insidie di fortuna avversa.
Ahi! Con qual volto incontrerò la moglie?
Ahi! Con qual core abbraccerò la figlia?
voi qui guida un mio cenno e avrete morte,
cadrete, o dio! che l’una il ferro e l’altra
e dall’uno e dall’altro io poi trafitto,
abbimi almen pietade e scusa il pianto.
ma, se padre non piango, io son crudele.
Signor, son padre anch’ io. Giusto è il tuo duolo;
ma che? Dove il lagnarsi al mal non giova,
mostri senno e valore uom saggio e forte.
Ulisse, un buon consiglio è agevol cosa.
si agitasse il destin, non so se tanto
fatto è necessità. Giunta è l’attesa
io vi trarrò la misera. Ma intanto
fa’ che taccia Calcante; e ad una madre
del suo dolor. Deh! Pria restassi estinto.
Vinta è già Troia, or che te stesso hai vinto.
Signor di questa vita e di quest’alma,
serva che moglie. Ecco la cara figlia
che qui per tuo voler d’Argo ho condotta.
Deh! Mi concedi di baciar tua destra.
O assai più ch’altro a me dilette e care,
Con qual cor vi rivegga, il dican queste
lagrime mie per tenerezza espresse.
per tristo augurio alle future nozze,
spremer può ancor dalle pupille il pianto.
Dopo sì lunga amara lontananza,
con qual piacere in te riveggo anch’io
E fuor di tuo costume il guardo abbassi.
cagion di sdegno? Io d’esser rea non credo.
Tu rea non sei; ma sventurato io sono.
L’interna pace. Sotto il grave pondo
delle pubbliche cure il cor è oppresso.
Ora ad Ifigenia diasi il tuo core.
Eccomi tuo. Non altro affetto or m’empie
Sinché potrò mirarti io sarò lieto.
oggi dividerà l’una dall’altro.
Lascia l’infausta guerra e torna ad Argo.
Vorrei poterlo; e non poterlo or duolmi.
Pera chi n’ha la colpa, Elena e Troia.
Quando piaccia agli dei, v’andrò; ma quanto,
quanto ci ha da costar la sua ruina!
Potessi almen colà seguirti anch’io.
Altro luogo t’attende ed altro cielo.
No, questo ancora dal destin t’è tolto.
Dai cari genitori in terra estrana
vivrò dunque lontana? E dove? E quanto?
Né più richiedo. Al tuo voler m’accheto.
Ma perché non t’affretti a scior da queste
spiagge le greche navi e a disfar Troia?
con vittima solenne il cielo irato.
a me pur fia d’accompagnarla all’ara,
coronata di fiori e in lieto canto?
Perché ammutisci? Al sacrifizio
deh, padre, mi concedi esser presente.
Figlia, sì, vi sarai. (Figlia innocente!)
A me sì strano accoglimento il padre?
uso è dell’uom, da mille cure ingombro,
aver mente sconvolta e fosco ciglio.
in noioso pensier gli era conforto.
che ti svelle da lui, forse è sua pena.
sia solo il suo dolor, la mia sciagura.
Arcade a me fedel dirallo in breve.
m’attendi. Ivi ne avrai più certi avvisi
il so, non arrossir, la sua dimora.
Ah! Se il mio cor di minor fiamma ardesse,
o dolci genitori? Amor di sposo,
l’anima amante ogni suo bene attenda
e ciò ch’ella mi toglie, ella mi renda.
spoglia d’Achille, ho di temer cagione.
non ha con che allettar, quando è infelice.
crescon anche per pianto e grazie e vezzi.
Ardon oggi per te le sacre tede.
si coronan di rose; e andrai d’Achille
è sollecito amante; e me vicina,
Che fa? Qual grande impresa or sì l’ingombra?
lo assolve la sua gloria; ed io lo sgrido
di trascurato, sì, non mai d’infido.
La tua gloria e la mia chiedono, o figlia,
moviamo il passo e ritorniamo ad Argo.
e Achille è il traditor. Più non s’affretta
Troia pria vada in ceneri e in faville
e poscia Ifigenia sarà d’Achille.
arrossir veggo e impallidir tue guance.
Armati di virtù. Finora amasti
in Achille l’eroe. Fuggi ora in esso
degli uomini il più vile, il più incostante.
Il più spergiuro ed il più ingrato amante.
Ecco la nova fiamma, ond’arde l’empio.
I vezzi di costei n’han tolto Achille.
(Ben poc’anzi il temea l’alma oltraggiata).
(Achille ama Elisena ? O me beata!)
conscio era il padre, a che chiamarmi al campo?
Tardi ei seppe l’offesa e d’Argo allora
Che tosto non mandò fido messaggio
Altro messo, altro foglio era spedito;
il re commesso avea l’infausto avviso,
Tempo fia di lagnarci. Or la partenza
sollecita esser dee. La impone il padre;
io corro ad affrettarla; e tu, mia figlia,
gli affetti tuoi con la ragion consiglia.
D’Argo farmi venir l’ingrato Achille,
per tradirmi così? Poco era all’empio
l’infedeltà, se non v’unia lo scherno?
l’amor deluso e le bugiarde nozze.
O dio! Qui piango e la rival trionfa.
(Se le asconda il mio amor). Vergine eccelsa,
vede il ciel se ho pietà di tua sciagura.
che sin nella rival desto pietade,
Rival mi temi ? Amar chi a ferro e foco...
tra l’ire, tra le morti e tra gl’incendi
e di Lesbo e de’ tuoi, ti piacque Achille;
a quel perfido cor piacque Elisena.
meditaste il mio scorno e la mia pena.
Tropp’oltre, Ifigenia, ti porta il duolo;
i deliri scusar. Schiava qual sono,
al par di te nacqui al comando e al regno
e forse ho un cor che più del tuo n’è degno.
Fra i titoli che ostenti, addita il padre.
Prole di Atride esser non lice a tutti.
Qui regna il mio. Vendicherà i miei torti.
Una spoglia d’Achille altrui non teme.
Mal fidi a un traditor la tua speranza.
Sola non piangerò, s’ei mi tradisce.
L’altera donna alle mie pene insulta;
ma non andrò di sì gran torto inulta.
Ed è ver, principessa? E non m’inganno?
perché a’ miei voti il tuo gran padre il tacque?
d’Aulide partirò; né Ifigenia
Hai di che restar lieto. Achille, addio.
(Tanto s’agita il prence e più non l’ama?)
Intendo. Entro quel cor freddi sospetti
sparse lingua bugiarda; e tu, Elisena,
O per vendetta de’ sofferti mali
o per invidia de’ mal nati amori.
Qual odio mi rinfacci o qual fiacchezza?
odi qual ti promette e qual ti giura
dovuta ricompensa Achille irato.
farò, recisa il crin, sordida i panni,
abbominevol vita e dì infelici.
Rapitemi a me stessa, o furie, o pene.
Lasciarmi in vita è la miseria estrema.
Morirò sì; ma prima, alme superbe,
feroce, inesorabile, tremenda,
del vostro letto agiterò le faci,
onde torbida luce a voi ne scenda.
eccomi tua, se m’ami. Ecco la destra.
Ad Achille mi tolse ira e dispetto;
ed a Teucro mi dona amore e fede.
Cara destra, in te bacio un sì bel dono.
Ora vedrò se il donator t’è caro.
Che far degg’io per meritarti?
sciorre d’Ifigenia col fiero Achille.
Difficile cimento alla mia fede.
Tutto può chi ben ama e tutto ardisce.
Il tempio e l’ara all’imeneo s’appresta.
Anche in porto talor nave s’affonda.
non è Achille a goder. V’è qualche arcano
Agamennone è afflitto, Achille in pena.
Delusa è Ifigenia. Medita ad Argo
Tu, che del saggio Ulisse hai l’amistade,
cerca scoprirne in sì folte ombre il vero.
se hai fede, se valore e se ardimento,
veder me vendicata e te contento.
è subito vapor che avvampa e sfuma.
Sciolto a gran pena il nodo, in Elisena
le speranze e le fiamme; e Teucro allora
altro non ne otterrà frutto e vantaggio
che il disprezzo di lei, l’odio d’Achille.
quanto l’onor, quanto il dover richiede.
Ne’ mali irreparabili l’indugio
anch’esso è mal. Tu generoso or dona
gitta le ricche merci il buon nocchiero;
scorre sull’onde il combattuto legno.
pronti i ministri son? L’altare? Il rogo?
a Clitennestra, o dio! ne giunga il grido.
Vedi che a te ne vien la regal donna.
Tu con arte procura allontanarla
e, se l’arte non giova, usa il comando.
sulla moglie magnanimo e virile,
vive troppo infelice e troppo vile.
Onta e dolor me con la figlia ad Argo
già richiamava. In sull’uscir del campo
rattenne i nostri passi il fido Achille.
vuol le nozze promesse. Arde di sdegno
e cerca l’impostor per dargli pena
pari a l’offesa. Or tu consenti al nodo...
L’approvo, o Clitennestra; e quanto posso
e la matura età d’Ifigenia
la chiama ad altro letto.
io l’ostie elette spargerò di fiori;
e accenderò le faci coniugali.
Tu gli altri figli a regger torna in Argo;
qui delle nozze avrà la cura il padre.
Al tuo grado real mal si conviene
tenero affetto abbandonar la figlia.
Compiacermi ricusi, allor che prego?
Quando prego fu mai più strano e iniquo?
Forte ragione a ciò voler mi stringe.
È tuo dell’armi il peso; è tuo del regno
mie le cure domestiche e de’ figli.
un marito ed un re brami e domandi,
anche i preghi di lui sono comandi.
non perché di ragione egli ci avanza.
Al mio pudico amor perdona, o madre;
tacer non sa l’alta mia gioia. Achille,
e poi per mio destino ad amar presi,
dopo un fiero timor trovo fedele.
Oggi a lui t’unirà sacro imeneo.
Sparge sol d’amarezza i miei contenti
che m’unisce allo sposo, a te mi toglie.
le perdite di figlia amor di moglie.
Tutto m’arride. Il re tuo padre è certo
di mia innocenza. Ogni ragion, ch’io volli
egli troncò con amoroso amplesso.
Mosse indi il passo frettoloso al tempio
ed io col lieto annunzio a voi ne venni.
I sensi di quel core amor ti dica.
Né questo solo è ’l mio piacer. Calcante,
se pur degno è di fede, oggi ci giura
gli dei propizi e l’aure amiche e l’onde.
Il mio destin solo da te dipende;
e sola al tempio Ifigenia s’attende.
Sola s’attende e a te recar m’è imposto
di forza e di valor diedero i numi,
se pietade, se amor t’alberga in seno,
dell’ingannata Ifigenia previeni
né far che vada un’innocente a morte.
tacqui finor. Ma già le fiamme, il ferro,
abbia ancora a cader sovra il mio capo
il mal taciuto arcano e vuol ch’io parli.
Pria della figlia hai già la madre uccisa.
toglietela al furor d’iniquo padre.
Ei la chiede all’altar, per farne al nume
L’ucciderà, se la guidate al tempio.
nelle sue carni a insanguinar sé stesso?
Dal mendace Calcante. Egli, cui giova
far che parlino i numi a suo talento,
l’oracolo ha formato. Afferma e giura
che, quando non s’uccida Ifigenia,
né mai Troia cadrà né mai da queste
sciolte vedremo andar le navi argive.
E far ch’io stesso a morte
O frode iniqua! O barbaro consorte!
deh, permetti, o signor, ch’umile a terra
la mia miseria e non l’altezza mia.
può cadere al tuo piè senza arrossire.
O sorgi o partirò, che non conviene (Clitennestra si leva)
al tuo stato né al mio soffrirti in atto
Io per te la educai. Qui a’ tuoi sponsali
la guidò l’amor mio; ma l’infelice
qui da barbaro padre è a te rapita;
e qui l’ha tratta il sol tuo nome a morte.
Tu la difendi e salva. O dio! Per questa
vincitrice tua destra e per la tua
immortal genitrice, ancor ti prego;
e padre e sposo e tempio e asilo e nume.
Se l’abbandoni, è morta Ifigenia.
Non morirà. Meco risparmia i pianti.
Piangendo offendi e mal conosci Achille.
(Per mia cagion risse preveggo e mali).
Mi consola il tuo amor. Figlia, rimani
ove il dolor mi chiama, ove il furore.
altra vittima al nume; o a piè dell’ara
vedrà il crudel, vedran le greche squadre
pria della figlia oggi cader la madre.
A me lagrime e preghi? Ove si tratta
ha di stimoli d’uopo il cor d’Achille?
già corro a punir l’empio e a vendicarti.
or tradisce amistà, natura e fede.
l’empio, il crudel mi renderà ragione;
e cinto ancor da mille spade e mille,
farà tremarlo il vilipeso Achille.
alla cui vita minaccioso insulti,
Tuo carnefice dillo e non tuo padre.
Padre, sì lo dirò, più di me stessa
e, al par d’Achille, a me diletto e caro.
Ingrata! Ei vuol tua morte, io tua salvezza.
Se fosse in suo poter tormi al mio fato,
credi che il petto mio ferir pensasse?
Costretto mi condanna e n’è dolente.
Chi può dar legge a lui sovrano e duce?
Impone la mia morte il cielo o il padre?
Punisce e non impone il ciel le colpe.
Profondi, imperscrutabili gli arcani
Se non s’intende il nume,
Ubbidisce con fede e n’ha più merto.
Ameresti, o crudel, più la tua vita,
e l’amo anche di più, dacché la veggo
Dunque al mio amor si lasci
la libertà d’un generoso colpo.
tu salvassi così, t’abborrirei.
perduta è Ifigenia. Verran fra poco
fieri custodi. A me si chiude il tempio;
e di madre dolente e irata moglie
al pianto, ai gridi il re si cela e toglie.
Regina, addio. Né a me l’altar vietarsi
né a me saprà occultarsi il fiero Atride.
Deh, per ultimo dono ancor m’ascolta.
non si presenti un irritato amante.
Parlino all’amor suo pianti di figlia
non conosce pietà l’alma superba.
E codarda paventa i greci armati.
Dell’amore e del sangue udrà le voci.
Ei più non sa d’esser marito e padre.
Io ’l duro core ammollirò col pianto.
Orsù, vi si compiaccia. Itene entrambe.
minacciatelo ancor dell’ira mia.
sinché a questi occhi, il giuro, il dì sfaville,
Può Calcante mentir ma non Achille.
Sia speranza o virtude, io sento l’alma
In tal uopo ben presto un cor di padre
io ne deggio l’arcano e tu al mio amore.
Pria che tramonti il giorno udrai sua morte.
Teucro, ne temo ancor. Si tace a’ Greci
Pietà, natura e sovra ogni altro, o dio!
sarà l’amor d’Achille in sua difesa.
che mora Ifigenia. Chi può salvarla,
Ira feroce e inopportuna ad atto
osserva, indi risolvi. Io sarò teco.
Piacemi. Ancor per poco ira si copra.
reggia nemica, io non trarrò le piante,
che più certo il destin d’Ifigenia
osserverò non osservata. Nulla
nulla il mio amor. Folle! Che dissi? Amore?
Più non lo dir. Sei troppo offeso, o core.
s’attende al tempio. A Clitennestra piace
non ubbidir. Sprezza il comando e il nume.
Fuor della figlia altro mancava all’ara?
Nulla, le vesti, le ghirlande, i fochi...
E le giovenche apparecchiate ancora
che da vergine man svenar si denno.
D’Agamennone figlia, e cara figlia,
al tempio, all’imeneo, la regal destra.
Che miro! O dio! Figlia, tu pieghi a terra
l’egre pupille e piangi? E teco ancora
Arcade disleal, tu mi tradisti. (Si lascia andare sopra una sedia)
Padre, non ti turbar. Non sei tradito.
che è pur tuo dono, miserabil vita
senza accusar te di spietato e crudo,
saprò stender al ferro il collo ignudo.
Ma questo dal tuo labbro,
questo non attendea fiero comando
la tua, dirollo ancor, figlia innocente.
ch’io pria ti chiamai padre e pria d’ogni altro
tu figlia mi chiamasti. O quante volte,
al mio tenero collo ambe le braccia,
quante, se ti ricorda, a me dicesti:
ch’io stesso t’accompagni a liete nozze
e che unita ti miri a illustre sposo?»
Questo era il giorno. Io lo sperava almeno.
son le mie nozze? Qual lo sposo? E quali
le faci maritali? Ecco tu stesso
e di questa mi privi amabil vita.
Ah! Se pietà non hai di me tua figlia,
pietà, signor, dell’infelice madre.
Vedi che tutta si distilla in pianto.
Pietade ancor di te che i tuoi gran pregi
col nome oscuri d’inumano e d’empio.
Stendimi alfin la destra, indizio e pegno (Gli prende la mano)
di bontade e d’amore, ond’io la baci.
qual già solevi, le amorose ciglia;
e in te m’addita il padre. Io son tua figlia.
(Ben ha di sasso il cor, s’egli non cede).
Figlia, potessi pur con la mia morte
Ma sono avversi i numi. Il sol tuo sangue
chiedono irati. Io contra lor che posso?
Ceder convien. Giunta all’estremo, o figlia,
degno di te la chiuda. I numi stessi,
l’ombra d’Ifigenia d’Ilio il terrore,
Vieni, cor mio, mio sangue. Invitta e forte,
prendi l’ultimo amplesso... E vanne a morte.
Come ti soffre il cor?...
Non farà ’l tuo gridar ciò che non fece
M’è grave il far ciò che costretto io faccio
E qual necessità ti vuol crudele?
Quella che mi vuol misero.
fabbro sei di tua colpa e di tua pena.
Oh, fosse in mio poter ciò che vorrei!
Per Elena nol fai? Nol fai per Troia?
Pensi ad Elena e Troia il tuo germano,
cui tanto preme la non casta moglie.
Con la sua Ermione ei la riscatti; e resti
alla patria, allo sposo, a noi la figlia.
A noi chiedono questa i numi irati;
questa da noi vorranno i greci armati.
La difenda il tuo amore e quel d’Achille.
Temo la civil guerra e la detesto.
Di’ che temi depor comando e scettro.
Sola dunque a Micene e disperata
ritornerò? Non lo pensar. Quand’altro
a svenar ti prepara e figlia e madre.
Alla miseria mia basta un delitto.
Vedi bontà! Vedi innocenza! Iniquo!
teme uccider la madre. Ah! Tu di lei,
io di me stessa ho già disposto. Addio.
Del mio morir solo l’arbitrio è mio.
Oh, non avessi altro a temer che lei
e l’alte sue querele! Ah figlia, figlia,
tu la mia tema sei, tu la mia pena.
Paterne tenerezze, amor, natura,
vi sento. Invan resisto. A voi mi dono.
Assolvetemi, o dei. Padre ora sono.
Pronto al sovrano impero...
mal tacendo l’arcano. Io scuso un fallo,
cui la pietà fu consigliera e guida.
per la men nota via, figlia e consorte
tornino in Argo; e tu le scorta. Io pure
da Calcante otterrò che al novo giorno
Quanto sei grande in cor di padre, o amore!
D’aspidi e serpi al velenoso morso
qual riparo v’è mai? Scorre Elisena
di tenda in tenda; e divulgando intorno
d’Ifigenia il destino e la sua fuga,
mette il campo in tumulto. Ulisse è in armi.
son d’Aulide i sentier chiusi e guardati.
segreta via... La misera sen viene.
Compiangerla poss’io ma non salvarla.
selva affidati, a miglior lido il passo
Il ciel vuol la mia morte. Ecco armi e genti.
Siamo, o donna real, vergine illustre,
voi cui soffrir convien casi sì acerbi,
Son tutti in arme i Greci.
Principio infausto di peggiore evento.
E gridano che a morte ella sia tratta.
Né a pro dell’infelice alcun s’adopra?
fu periglio fatal la sua difesa.
Di rimanerne lapidato e ucciso.
il drappello fedel corse in sua aita?
Fur questi i primi a minacciarlo; ed egli,
resister non potendo, il piè ritrasse.
E chi fu del tumulto autor nel campo?
Vuoi saperne l’autor? Vedilo, o donna,
in Elisena. Or tu, rival, superba
più non andrai de’ miei disprezzi ed onte.
Ecco gli arcieri e Ulisse,
che a spettacol sì crudo il cor non regge. (Si parte)
E al dolente padre. Aulide, ancora
se potrai sopportar tanto misfatto. (Si parte)
Il crudo uffizio, ond’io qui venni, ho preso,
non perché del tuo pianto (A Clitennestra) o del tuo sangue (A Ifigenia)
vago mi sia, che n’ho pietà, qual deggio.
Parlan con le mie voci i Greci tutti,
anzi parlano i numi. È lor comando
Datti pace, o regina; e tu la fronte
Ritrarsi, opporsi è un provocar gl’insulti.
ma costor non avrieno egual rispetto
a voi, del mio signor figlia e consorte.
Ben l’avranno ad Achille o avranno morte.
Achille, opra d’uom saggio
Siati più a cor la patria...
So usar, quando convenga, e lingua e braccio.
Di questo or ti fia d’uopo.
E questo or s’armi. (Pongono mano alle spade)
(Crescon le risse e gli odi).
Duci, fermate. Ifigenia ven prega.
dirò dalle passate assai diverse,
da lungo sonno, apre le luci e vede
gli occhi la Grecia tutta. Aure propizie
vittoria a’ suoi guerrieri; e vedrà in breve
Paride estinto, Ilio disfatto ed arso.
Tutto, tutto avverrà con la mia morte.
Di tanti, che qui sono uomini eletti,
o rifiuti la morte? Io tanto vile
E di sì degna impresa arresti il corso?
peggior di morte! Andiamo, Greci, andiamo.
Ecco il petto, ecco il capo. Applaudo al colpo
che a voi rechi salute, a me dia gloria.
Questi, questi saran pregi immortali,
la mia dote, i miei figli, i miei sponsali.
O fortezza! O virtù di nobil alma!
Me presente e me sposo, aperta e piana
pensi la via che ti conduca a morte?
No no, morrò per te, se tu ricusi
questo dell’alma era il desio più caro,
viver d’Achille. Aspro destin cel vieta.
pugna, vinci, trionfa. Il sangue mio
Questa della tua fede ultima prova
mi resta, onde pregarti, ad Elisena
rendi la libertà, rendi il suo regno.
ella almeno perdoni al cener mio.
Addio, mio sposo, addio per sempre, addio.
Un addio sì funesto io non ricevo.
La mia gloria e il mio amor vuol che tu viva;
In faccia al padre, al sacerdote, al nume
a te virtude, a me valore e fede.
O dio! Parte sdegnato e il suo furore
mi fa sentir quanto angosciosa è morte.
del nostro campo e ne fia escluso Achille.
d’Ifigenia vivrà gran parte. L’altra
ne avrà la gloria; e la più vil fia spenta.
Or morrò più tranquilla e più contenta.
Madre, l’avermi a questa luce data,
non sol per te ma per comun salute,
Rifiuto ogni conforto e ne dispero.
Fammi cor, te ne prego, e d’umil figlia
Ben sai ch’ogni tuo prego a me fu legge.
Morta ch’io sia, non oltraggiar tue gote,
non lacerar tue chiome e bruno ammanto
Per chi muor per la patria è ingiusto il pianto.
Le dilette sorelle e il dolce Oreste
bacia per me. Ma più che d’altro, o madre,
e qual sempre l’amasti, amalo ancora.
Salvarmi egli volea. Nol volle il fato.
Serba la mia memoria. Io parto, o madre.
Chi di voi mi accompagna al tempio, al rogo?
Io pur ti seguirò, misera figlia!
Questo ti vieta il tuo signore e sposo.
staccarmi non potrai da questi panni.
io sarei del tuo pianto assai men forte.
Più temo il tuo dolor che la mia morte.
Ferma. O dio! Qual mi lasci... Io manco... Io moro. (Sviene e Ulisse la sostiene)
Voi seguite la figlia. Io questo deggio
pietoso uffizio alla regina vostra. (Vanno le guardie dietro ad Ifigenia)
Tu senza me correr a morte? In vita
io senza te qui rimanermi? E al pianto?
Ferma. Ah! Tu non m’ascolti e forse or cadi. (Si leva)
alza l’empio ministro. In questo il vibra
nella tenera gola. In questo spira
l’alma innocente. Ascondi, Febo, ascondi
t’han costretto a fuggir, colmo d’orrore,
per non mirar meno esecrando eccesso.
E tu, ferro crudel, dopo la figlia,
vieni e me pure uccidi. È quello, è questo
lo stesso sangue. Qual pietà te arresta?
già sugli occhi mi sveno; e della figlia
m’esce tra i freddi baci e l’alma e il sangue.
Asta vibrata si richiama invano.
non ripara la piaga e non la sana.
contro dell’infelice? Ora per lei
la sua miseria e più la sua virtude.
Quanto l’invidio! O quanto!
di tutta Grecia e con l’amor d’Achille.
E quest’amor fa la tua pena.
una forza maggior, ch’io non intendo,
mi chiama all’ara infausta. Ivi gli dei,
chi sa? fine imporranno a’ mali miei.
l’ara profana? A me la figlia estinta?
Tanto si teme il mio dolor?
Eolo, scatena gli austri più feroci;
apriti, o mare, in più profondi abissi.
l’orrendo sacrifizio. Ecco che il cielo
un dio vendicator per me combatte.
Sì, combatte per te. Già ’l grande Achille
messi ha i custodi. Egli è all’altare e al fianco
d’Ifigenia. Grida, minaccia, freme.
Sospeso è il sacrifizio. Il re tuo sposo,
tema ferire o che ne cerchi un’altra.
Andiam, regina. Il tuo campion t’attende,
Ma non è questi Ulisse? O quali in volto
Sì, ch’egli è desso. Ah, che mia figlia è morta!
è viva Ifigenia? Vive mia figlia?
Vive tua figlia. Ifigenia morendo,
placò la dea; l’aure ci rese amiche.
O sempre falso Ulisse! O sempre infausto!
Né più verace mai né mai fui nunzio
Ifigenia morì. Vive tua figlia.
Vive, il so, negli Elisi ombra infelice.
di carni e d’ossa il bel corporeo velo
Ma come è viva e morta? Io non intendo.
Sacrifizio crudel! Teucro infelice! (Si parte verso il tempio)
Spesso il riso dell’un pianto è dell’altro.
Odi prodigio e l’alma accheta.
Tutto fremea nel tempio. Achille e i Greci
quand’ecco entra Elisena. Allor Calcante,
che pria sembrava timoroso e incerto,
prende novello aspetto; e pien del nume,
che l’agitava, in voce alta e tremenda
per mia bocca a voi parla. Un altro sangue
d’Elena ei chiede e un’altra Ifigenia.
Elena è madre. Di segrete nozze
l’ebbe da Teseo e Ifigenia chiamolla.
Io ne fui testimonio. Io vidi allora
ch’ella perir dovea, quando col nome
d’Ifigenia fosse svelato a’ Greci
Quindi, con altro nome, a tutti crebbe
ed a sé stessa ignota. Or qui l’ha tratta
il suo destino. Eccola, o Greci. Questa,
questa è l’Ifigenia dal ciel richiesta».
corrono tutti ad Elisena. A terra
ella tenendo i suoi, stavasi in atto
pensoso, sì, ma pur composto e grave.
morte le annunzia e per condurla all’ara
saprò morir né smentirò qual sono».
Disse e di nobil ira accesa in volto
coltel ne afferra e se lo immerge in seno
e cade e versa il sangue e muor da forte
e fiera sul bel volto è ancor la morte.
Sparga or tra l’ombre le sue furie ultrici.
Al suo cader tuona e balena il cielo;
l’aria sfavilla. Agitan l’aria i venti.
Il mar lieto ne mugge e un grato orrore
occupa tutti. Ecco già s’apre il tempio;
e più amante e più illustre e più giuliva.
e d’amore e d’ardir, Pelide invitto,
Non più inutili indugi. A noi seconde
Or tremi Priamo e la superba reggia.
Alle navi, alle navi. A Troia, a Troia.
Parte e d’Ilio trionfa il forte Atride;
premio di sua virtù. Serve con merto
ai comandi del nume e ottien vittoria.
perché più grande è tua pietà. Fortuna
non combatte per te. Per te, che reggi
col cielo i voti tuoi, milita il cielo.
Ei ti dà regni in guerra, ei regni in pace;
tu serbi de’ suoi doni un cor più grande;
e sai più meritar di quel che ottieni.
è de’ cesari il fregio. Ovunque ei s’ode,
o si teme o s’applaude; e già la fama,
che sol de’ fasti suoi suona e rimbomba,
stanco ha ’l volo per lui, rauca la tromba.