Metrica: interrogazione
848 endecasillabi (recitativo) in Ifigenia in Aulide Vienna, van Ghelen, 1718 
Lungi, o Greci, il timor. Son legni amici
spingon aure seconde. Io riconosco
le note insegne e ’l sempre invitto Achille.
Presa già Lesbo, ei riconduce a noi
la vittoria che il segue. A la sua spada
che la Frigia e ’l suo Ettorre al piè gli cada. (Si accostano le navi, dalle quali sbarcano Achille e parte de’ suoi soldati)
dorme notti infingarde il greco campo?
Lesbo già cadde; e in pigro e lungo sonno
stan chiuse ancor, quando trionfa Achille?
chi può contra gli dei? Sciolte dal lido
fendean le prore achee l’onda tranquilla;
cessa il favor, soffia l’avverso e a forza
in Aulide rispinge i nostri abeti.
e già n’è tolto il navigare a Troia.
Io vi precederò. Trarrò in catene
sì cara a Teucro. Alor che a lei messaggio
fosti de’ Greci, il so, nacque il tuo amore.
Così vi fosse Ifigenia, mia bella,
Tu l’ultimo a saper sei la tua sorte?
Mi sei nunzio di bene o di sciagura?
                                    Ifigenia, la figlia
fia di tue palme il premio illustre.
                                                               O amore!
Nol credo a te, nol credo a l’alma, è tanto
il piacer che mi opprime. Ecco Elisena
che già si affretta al lido. Io seco lascio
non certo appien di sua fortuna, il core.
or cattiva ed ancella, in me rivedi
                                   Ah principessa!
Data avessi a’ miei detti alor più fede
                                       Era ne’ fati
che fra i trofei del valoroso Achille
Tua sciagura è minor di quel che temi.
                                      Che sperar posso,
serva, straniera, anche a me stessa ignota?
So che sangue real m’empie le vene
non è quel che sortii da’ miei natali.
Calcante, al cui saper tutto è presente,
in Aulide or soggiorna. Ei de’ tuoi casi...
che svelerà de l’esser mio l’arcano,
l’ultimo fia de la mia vita ancora.
                Senza perir non mi è permesso
conoscer genitori e non me stessa.
Svelinsi i tuoi natali; e di Elisena
che sì gentil non ti formar gli dei,
fosse del lor poter l’opra più bella
e insieme agli occhi miei l’opra più cara.
Qual tempo scegli a palesarti amante?
ch’amo Elisena e non la sua fortuna.
l’arbitrio di riamarti. Intendi, intendi
tutta la mia sciagura. Adoro Achille.
Che ascolto! Achille? Il distruttor di Lesbo?
E ’l più amabile oggetto agli occhi miei.
Ch’ami Achille guerriero è suo gran vanto;
ch’ami Achille nemico è tua gran pena;
ma ch’ami Achille sposo è tua gran colpa.
Qual fiero annuncio! Achille sposo? O dio!
                                            Ifigenia,
sarà di Achille. Ei l’ama; e al nuovo giorno...
                                             E ’l nodo...
Non più, molto dicesti; io molto intesi.
non è caro a lo sguardo; e grave duolo
ne’ suoi primi trasporti ama esser solo.
per veder la rival?... No, pria quell’ara,
che al funesto imeneo le faci appresta,
bagnerò col mio sangue; e a piè del nume
ch’io aveva un cor degno di amare Achille.
Sorta a gran pena è l’alba; e mentre ogni altro
tu, duce e re, stai sospiroso e vegli?
pago è di quanto basta, invidia io porto.
Chi regge altrui, più misero è di tutti.
Onde il tuo duol? Del grande Atreo tu figlio,
Ma no... Tu non morrai... Pria mi si strappi
l’alma dal sen che dal mio cor l’assenso.
doppo tre lune in Aulide n’è forza
stare oziosi. A la gran dea di Cinto,
che qui si adora, un sacrificio offrimmo,
Nestore, Ulisse, il mio germano ed io.
Non v’era altri del campo. Agghiaccio e sudo,
Arcade, in rammentarlo. Odi qual diede
«Greci, Troia cadrà; propizio vento
spingerà vostre vele al frigio lido.
Ma vergine real, che sia del sangue
d’Elena, pria si sveni a l’ara mia.
Si sacrifichi, o Greci, Ifigenia».
mi si gelò. Vista, favella e moto,
tutto perdei. Rinvenni al duolo, a l’ira.
Il cielo condannai. Giurai su l’ara
non ubbidir la cruda legge; e volli
depor lo scettro e dar congedo al campo.
O dio! Perché nol fei? L’accorto Ulisse
seppe voci trovar di sì gran forza
che vinto alfin mi arresi e de la figlia
diedi a la morte, o iniquo padre! il voto.
O voto infausto! O sacrificio orrendo!
Scrissi a la moglie, e ’l quarto giorno è questo,
che d’Argo a noi guidasse Ifigenia.
                                    Di promesse nozze.
l’amor deluso e ’l provocato sdegno?
che la Tessaglia e Lesbo ancor gran tempo
Or giunse al campo. Onde il rimedio al male?
che torni in Argo e che a stagion migliore
differite ha le nozze Achille istesso.
lor vanne incontro. Ah! Se la figlia il passo
Cauto in tacer l’arcano, aggiungi a questa
che de l’indugio de le nozze attese
tutta la colpa ha ’l nuovo amor di Achille
Ciò che tacer, ciò che dir debba intesi.
più non affidi, alto signor de’ Greci,
l’orgoglioso Ilion le sue speranze.
Quello in calma è rimesso; e sotto il peso
questa di un vano ardir soffre le pene.
Tessaglia hai doma e conquistata hai Lesbo;
scorgendone le fiamme e le faville,
vide il suo fato e riconobbe Achille.
di troppa lode e, se non mente il grido,
con l’imeneo de la real tua figlia
io sarò de’ viventi il più beato?
(Che mai dirò?) Mia figlia è ancora in Argo.
Sarà nel campo, anzi che cada il sole.
Faccia voti il tuo amor ch’ella stia lunge.
De’ miei voti il più caro è il rivederla.
In Aulide non mai, se è ver che l’ami.
Torniamo in Argo. Ivi otterrai la figlia.
Ad Argo tornerem, Troia distrutta.
Pugna per Troia il cielo, il vento e ’l mare.
Temo assai più di loro un vil ritorno
che disonori il nome greco e ’l mio.
Che sul fior de l’etade Ilio sia tomba
del prode Achille hanno prescritto i fati.
Altrove avrai vita più lunga e lieta.
Sia tosto o tardi, ha da morir chi nasce.
Ma vita neghitosa è ignobil morte
e visse assai chi può morir con gloria.
Senza Troia cercar, dal ciel protetta,
mancan altri trofei degni di Achille?
No no; per Troia io venni; e Troia io voglio.
Ivi l’onor mi chiama; ed io vi corro.
che l’aura amica; e quando ogn’altro ancora
son co’ miei fidi a vendicar bastante
del tuo fratello e de la Grecia i torti.
In Argo poi, di nuovi allori adorno
e de le spoglie di un sconfitto regno,
verrò d’Ifigenia sposo più degno.
Per quale invidia di contrario fato,
Troppo offendi il mio re, troppo il mio duce.
Sovra me ne cadrà l’ira e la pena.
Aprir non ti conviene il regal foglio.
Né a te convien recarlo, ove ne nasca
a la Grecia e al tuo re vergogna e danno.
                             Signor, fede non giova,
ove forza preval. L’anello e ’l foglio
Ragion fu vana e vana ogni difesa;
e a te s’aspetta il vendicar l’offesa.
Qual ragion ti sospinge a farmi oltraggio?
Che sì, che a vista del possente Ulisse,
temerò, qual fanciullo, ombre e fantasmi?
Conosci quest’anello e questo foglio?
Ciò che è mio riconosco. A me lo rendi.
letto per tua vergogna a tutti i Greci.
Per veder le tue frodi e prevenirle.
d’Argo attendendo Ifigenia promessa.
De l’opre mie sei giudice o custode?
Il feci e ’l dovea far; né son tuo servo.
E dispor non poss’io d’una mia figlia?
Da te già offerta a la comun salute
gli altrui piaceri con le mie sciagure.
O alor di frode o d’inconstanza or pecchi.
Cangio voler, quando il cangiarlo è bene.
Par degno a te con falsi giuramenti
                                               E a te par giusto
Quella ritor giurasti al frigio amante.
Il re giurò ma non il padre alora.
                                            Il mio ritorno in Argo,
E noi ti avremo alzato al sommo impero...
giova ad Ulisse il favellare accorto.
Giovi l’altrui. Su, va’; congeda il campo.
Credi Nestore vile? Inermi i Greci?
temi a’ suoi detti il militar tumulto.
Tra i numi e te sapran gli Achei qual parte
debban seguir. La vittima promessa
vorranno a forza; e la vorran gli dei,
                                                   Ulisse, addio.
Difenderla sapremo Achille ed io. (In atto di partire s’incontra con Teucro)
tua regal donna e la diletta figlia.
                                     Io con sì lieto avviso
qui le prevenni. Esse gli applausi intanto
ricevono de’ duci e de’ soldati.
l’alta beltade e ’l portamento onesto;
lo sposo avventurato. Altri te dice
genitor più felice, a cui cotanto...
Teucro, non più. (Freno a gran pena il pianto).
son l’arti mie. Non mi giovò accortezza
contra l’insidie di fortuna avversa.
Ahi! Con qual volto incontrerò la moglie?
Ahi! Con qual core abbraccerò la figlia?
voi qui guida un mio cenno e avrete morte,
cadrete, una dal duolo, una dal ferro.
E da l’uno e da l’altro io pur trafitto,
abbimi almen pietade e scusa il pianto.
ma, se padre non piango, io son crudele.
Signor, son padre anch’ io. Giusto è ’l tuo duolo;
ma che? Dove il lagnarsi al mal non giova,
mostri senno e valore uom saggio e forte.
Ulisse, un buon consiglio è agevol cosa.
si agitasse il destin, non so se tanto
fatto è necessità. Giunta è l’attesa
                               E la darò. S’innalzi
io vi trarrò la misera. Ma intanto
fa’ che taccia Calcante; e ad una madre
del suo dolor. Deh! Pria restassi estinto.
Vinta è già Troia or che te stesso hai vinto.
Signor di questa vita e di quest’alma,
serva che moglie. Ecco la cara figlia
che qui per tuo voler d’Argo ho condotta.
Deh! Mi concedi di baciar tua destra.
O assai più ch’altro a me dilette e care,
Con qual cor vi rivegga, il dican queste
lagrime mie per tenerezza espresse.
per tristo augurio a le future nozze,
spremer può ancor da le pupille il pianto.
con qual piacere in te riveggo anch’io
                                Io ’l genitor più illustre.
                               E ben ti leggo in fronte
E fuor di tuo costume il guardo abbassi.
                                Sospiri? Hai meco forse
cagion di sdegno? Io d’esser rea non credo.
Tu rea non sei; ma sventurato io sono.
L’interna pace. Sotto il grave pondo
de le publiche cure il cor sta oppresso.
Eccomi tuo. Non altro affetto or m’empie
Sinché potrò mirarti, io sarò lieto.
oggi dividerà l’una da l’altro.
Lascia l’infausta guerra e torna ad Argo.
Vorrei poterlo; e non poterlo or duolmi.
Pera chi ne ha la colpa, Elena e Troia.
Quando piaccia agli dei, vi andrò; ma quanto,
quanto ci ha da costar la sua ruina.
Potessi almen colà seguirti anch’io.
Altro luogo ti attende ed altro cielo.
No, questo ancora dal destin ti è tolto.
vivrò dunque lontana? E dove? E quanto?
Né più richiedo. Al tuo voler mi acheto.
Ma perché non ti affretti a scior da queste
spiagge le greche navi e a disfar Troia?
con vittima solenne il cielo irato.
                                   Più presto ancora
a me pur fia di accompagnarla a l’ara,
coronata di fiori e in lieto canto?
              Perché ammutisci? Al sacrificio
deh! tua bontà mi doni esser presente.
Figlia, sì, vi sarai. (Figlia innocente!)
A me sì strano accoglimento il padre?
uso è de l’uom, da mille cure ingombro,
aver mente sconvolta e fosco ciglio.
in noioso pensier gli era conforto.
che ti svelle da lui, forse è sua pena.
sia solo il suo dolor, la mia sciagura.
Arcade a me fedel dirallo in breve.
mi attendi. Ivi ne avrai più certi avvisi
il so, non arrossir, la sua dimora.
Ah! Se il mio cor di minor fiamma ardesse,
l’anima amante ogni suo bene attenda
e ciò ch’ella mi toglie, ella mi renda.
                                       Di che ti turbi?
non ha con che allettar, quando è infelice.
crescon anche per pianto e grazie e vezzi.
si coronan di rose; e andrai di Achille
Che fa? Qual grande impresa or sì l’ingombra?
                                          Forse infedele...
lo assolve la sua gloria; ed io lo sgrido
di trascurato, sì, non mai d’infido.
La tua gloria e la mia chiedono, o figlia,
moviamo il passo e ritorniamo ad Argo.
                                Siamo tradite entrambe;
e Achille è ’l traditor. Più non si affretta
Troia pria vada in ceneri e in faville
e poscia Ifigenia sarà di Achille.
arrossir veggo e impallidir tue guance.
in Achille l’eroe. Fuggi ora in esso
degli uomini il più vile, il più incostante.
Il più spergiuro ed il più ingrato amante.
                                          N’ode Elisena?
Ecco la nuova fiamma, ond’arde l’empio.
I vezzi di costei n’han tolto Achille.
(Ben poc’anzi il temea l’alma oltraggiata).
(Achille ama Elisena ? O me beata!)
conscio era il padre, a che chiamarmi al campo?
Tardi ei seppe l’offesa e d’Argo alora
Tosto a che non spedir fido messaggio
Altro messo, altro foglio era spedito;
il re commesso avea l’infausto avviso,
                               O scellerato Achille!
Tempo fia di lagnarci. Or la partenza
sollecita esser dee. La impone il padre.
Io corro ad affrettarla; e tu, mia figlia,
gli affetti tuoi con la ragion consiglia.
D’Argo farmi venir l’ingrato Achille,
per tradirmi così? Poco era a l’empio
l’infedeltà, se non vi unia lo scherno?
l’amor deluso e le bugiarde nozze.
O dio! Qui piango; e la rival trionfa.
(Se le asconda il mio amor). Vergine eccelsa,
vede il ciel se ho pietà di tua sciagura.
Rival mi temi ? Amar chi a ferro e fuoco?...
Tra l’ire, tra le morti e tra gl’incendi
e di Lesbo e de’ tuoi, ti piacque Achille;
a quel perfido cor piacque Elisena;
meditaste il mio scorno e la mia pena.
Tropp’oltre, Ifigenia, ti porta il duolo;
al par di te nacqui al comando e al regno
e forse ho un cor che più del tuo n’è degno.
Fra i titoli che ostenti, addita il padre.
Prole di Atride esser non lice a tutti.
Qui regna il mio. Vendicherà i miei torti.
Una spoglia di Achille altri non teme.
Mal fidi a un traditor la tua speranza.
Con altri piangerò, s’io fia tradita.
L’altera donna a le mie pene insulta;
ma non andrò di sì gran torto inulta.
Ed è ver, principessa? E non m’inganno?
perché a’ miei voti il tuo gran padre il tacque?
                              De l’agitato core
                                      E quale, o dio!...
Hai di che restar lieto. Achille, addio.
(Tanto s’agita il prence e più non l’ama?)
Intendo. Entro quel cor freddi sospetti
sparse lingua bugiarda; e tu, Elisena,
o per invidia de’ mal nati amori.
Qual odio mi rinfacci? O qual fiacchezza?
odi qual ti promette e qual ti giura
farò, recisa il crin, sordida i panni,
Rapitemi a me stessa, o furie, o pene.
Lasciarmi il giorno è la miseria estrema.
Morirò, sì; ma prima, alme superbe,
eccomi tua, se m’ami. Ecco la destra.
Ad Achille mi tolse ira e dispetto;
Cara destra, in te bacio un sì bel dono.
Ora vedrò se il donator ti è caro.
                                                        Il nodo
sciorre d’Ifigenia col fiero Achille.
Tutto può chi ben ama e tutto ardisce.
Il tempio e l’ara a l’imeneo si appresta.
Anche in porto talor naufraga il pino.
non è Achille a goder. V’è qualche arcano
Agamennone è afflitto, Achille in pena.
Tu, che del saggio Ulisse hai l’amistade,
cerca scoprirne in sì folt’ombre il vero.
se hai fede, se valore e se ardimento,
è qual spurio vapor che avvampa e sfuma.
Sciolto a gran pena il nodo, in Elisena
le speranze e le fiamme; e Teucro alora
altro non ne otterrà frutto e vantaggio
che lo sprezzo di lei, l’odio di Achille.
quanto l’onor, quanto il dover richiede.
anch’esso è mal. Tu generoso or dona
getta le ricche merci il buon nocchiero;
scorre su l’onde il combattuto legno.
pronti i ministri son? L’altare? Il rogo?
                                   D’atto sì grande
                                      E stiasi ancora; e tardo
a Clitennestra, o dio! ne giunga il grido.
Vedi che a te ne vien la regal donna.
e, se l’arte non giova, usa il comando
saria troppo infelice e troppo vile.
Onta e dolor me con la figlia ad Argo
già richiamava. In su l’uscir del campo
rattenne i nostri passi il fido Achille.
vuol le nozze promesse. Arde di sdegno
e cerca l’impostor per dargli pena
pari a l’offesa. Or tu consenti al nodo...
L’approvo, o Clitennestra; e quanto posso
                                            E ad altro cielo.
io l’ostie elette spargerò di fiori;
                                             Regina e madre,
Tu gli altri figli a regger torna in Argo;
qui de le nozze avrà la cura il padre.
                               E mal conviene al mio
tenero affetto abbandonar la figlia.
Compiacermi ricusi, alor che prego?
Quando prego fu mai più strano e iniquo?
Forte ragione a ciò voler mi astringe.
A te il peso de l’armi, a te del regno
a me quella de’ figli e de la casa.
un marito ed un re voglia e dimandi,
anche i preghi di lui sono comandi.
non perché di ragione egli ci avanza.
Al mio pudico amor perdona, o madre;
tacer non sa l’alta mia gioia. Achille,
e poi per mio destino ad amar presi,
Sparge sol di amarezza i miei contenti
che mi unisce a lo sposo, a te mi toglie.
le perdite di figlia amor di moglie.
Tutto mi arride. Il re tuo padre è certo
di mia innocenza. Ogni ragion, ch’io volli
Mosse indi il passo frettoloso al tempio
ed io col lieto annuncio a voi ne venni.
Né questo solo è ’l mio piacer. Calcante,
se pur degno è di fede, oggi ci giura
gli dei propizi e l’aure amiche e l’onde.
e sola al tempio Ifigenia si attende.
Sola si attende e a te recar mi è imposto
se pietade, se amor ti alberga in seno,
né far che vada un’innocente a morte.
                                   Cieli!
                                                Che ascolto?
tacqui finor. Ma già le fiamme, il ferro,
abbia ancora a cader sovra il mio capo
il mal taciuto arcano e vuol ch’io parli.
Pria de la figlia hai già la madre uccisa.
toglietela al furor d’iniquo padre.
Ei la chiede a l’altar per farne al nume
             Mio padre?
                                     Ucciderà la figlia?
L’ucciderà, se la guidate al tempio.
                                           E donde è tratto
ne le sue carni a insanguinar sé stesso?
Dal mendace Calcante. Egli, cui giova
far che parlino i numi a suo talento,
l’oracolo ha formato. Afferma e giura
né mai Troia cadrà né mai da queste
                                      Ei far ch’io stesso a morte
deh! permetti, o signor, che qui prostesa
la mia miseria e non la mia grandezza.
può cadere al tuo piè senza arrossire.
O sorgi o partirò, che non conviene (Clitennestra si leva)
né al tuo stato né al mio soffrirti in atto
Io per te la educai. Qui a’ tuoi sponsali
la guidò l’amor mio; ma l’infelice
qui da barbaro padre è a te rapita;
e qui l’ha tratta il sol tuo nome a morte.
Tu la difendi e salva. Ah! Per cotesta
immortal genitrice, ancor ten prego;
e padre e sposo e tempio e asilo e nume.
Se l’abbandoni, è morta Ifigenia.
Non morirà. Meco risparmia i pianti.
Piangendo offendi e mal conosci Achille.
(Per mia cagion risse preveggo e mali).
Mi consola il tuo amor. Figlia, rimanti
ove il dolor mi chiama, ove il furore.
altra vittima al nume; o a piè de l’ara
vedrà il crudel, vedran le greche squadre
pria de la figlia oggi cader la madre.
A me lagrime e preghi? Ove si tratta
ha di stimoli d’uopo il cor di Achille?
Già corro a punir l’empio e a vendicarti.
l’empio, il crudel mi renderà ragione;
e cinto ancor da mille spade e mille
Tuo carnefice dillo e non tuo padre.
Padre, sì lo dirò, più di me stessa
e, al par di Achille, a me diletto e caro.
Ingrata! Ei vuol tua morte, io tua salvezza.
Se fosse in suo poter tormi al mio fato,
credi ch’egli alzeria ferro omicida?
Costretto mi condanna e ne è dolente.
Chi può dar legge a lui sovrano e duce?
Impone la mia morte il cielo o ’l padre?
Punisce e non comanda il ciel le colpe.
Profondi, imperscrutabili gli arcani
                           Se non s’intende il nume,
Ubbidisce con fede e ne ha più merto.
Ameresti, o crudel, più la tua vita,
                                           Amo la vita.
E l’amo anche di più, dacché la veggo
                       Dunque al mio amor si lasci
perduta è Ifigenia. Verran fra poco
fieri custodi. A me si chiude il tempio;
al pianto, ai gridi il re si cela e toglie.
Regina, addio. Né a me l’altar vietarsi
né a me saprà occultarsi il fiero Atride.
                                          A che lo arresti?
                                                                          Invano.
Deh! Per ultimo dono ancor m’ascolta.
Parlino a l’amor suo pianti di figlia
                          Gelosa del comando,
non conosce pietà l’alma superba.
De l’amore e del sangue udrà le voci.
Ei più non sa d’esser marito e padre.
Io ’l duro core ammollirò col pianto.
Orsù, ti si compiaccia. Itene entrambe.
sinché a quest’occhi, il giuro, il dì sfaville,
Può Calcante mentir ma non Achille.
Sia speranza o virtude, io sento l’alma
In tal uopo ben presto un cor di padre
                                          Si speri, o figlia.
io ne deggio l’arcano e tu al mio amore.
Pria che tramonti il giorno, udrai sua morte.
Teucro, ne temo ancor. Si tace a’ Greci
Pietà, natura e, sovra ogni altro, o dio!
sarà l’amor d’Achille in sua difesa.
che mora Ifigenia. Chi può salvarla,
                                            E s’egli tace?
                              A divulgare al campo
l’evento e poi risolvi. Io sarò teco.
Piacemi. Ancor per poco, ire, tacete.
reggia nemica, io non trarrò le piante,
che più certo il destin d’Ifigenia
nulla al mio amor. Folle! Che dissi? Amore?
Più non lo dir. Sei troppo offeso, o core.
si attende al tempio. A Clitennestra piace
non ubbidir. Sprezza il comando e ’l nume.
Fuor de la figlia altro mancava a l’ara?
Nulla, le vesti, le ghirlande, i fochi...
                                          Sì. (Qual richiesta).
al tempio, a l’imeneo, la regal destra.
Che miro? O dio! Figlia, tu pieghi a terra
l’egre pupille? E piangi? E teco ancora
Arcade disleal, tu mi tradisti. (Si abandona sopra una sedia)
Padre, non ti turbar. Non sei tradito.
senza accusar te di spietato e crudo,
saprò stender al ferro il collo ignudo.
                                            Ma questo dal tuo labro,
la tua, dirollo ancor, figlia innocente.
ch’io pria ti chiamai padre e pria d’ogni altro
tu figlia mi chiamasti. O quante volte,
al mio tenero collo ambe le braccia,
quante volte, il rammenta, a me dicesti:
ch’io stesso ti accompagni a liete nozze
e che unita ti miri a illustre sposo?»
Questo era il giorno. Io lo sperava almeno.
son le mie nozze? Qual lo sposo? E quali
Ah! Se pietà non hai di me tua figlia,
pietà, signor, de l’infelice madre.
Vedi che tutta si distilla in pianto.
Pietà ancora di te che i tuoi gran pregi
col nome oscuri d’inumano e d’empio.
Stendimi alfin la destra, indicio e pegno (Li prende la mano)
di bontade e di amore, ond’io la baci.
qual già solevi, le amorose ciglia;
e in te mi addita il padre. Io son tua figlia.
(Ben ha di sasso il cor, s’egli non cede).
Figlia, potessi pur con la mia morte
Ma sono avversi i numi. Il sol tuo sangue
chiedono irati. Io contra lor che posso?
Ceder convien. Giunta a l’estremo, o figlia,
degno di te lo chiuda. I numi stessi,
l’ombra d’Ifigenia d’Ilio il terrore,
Vieni, cor mio, mio sangue. Invita e forte,
prendi l’ultimo amplesso... E vanne a morte.
                                           Donna, ti acheta.
Non farà il tuo gridar ciò che non fece
Mi è grave il far ciò che costretto io faccio
                                                  Tu solo
fabro sei di tua colpa e di tua pena.
Oh! Fosse in mio poter ciò che vorrei.
Per Elena nol fai? Nol fai per Troia?
Pensi ad Elena e Troia il tuo germano,
cui tanto preme la non casta moglie.
Con la sua Ermione ei la riscatti; e resti
a la patria, a lo sposo, a noi la figlia.
questa da noi vorranno i Greci armati.
La difenda il tuo amore e quel di Achille.
Di’ che temi depor scettro e comando.
ritornerò? Non lo pensar. Quand’altro
a svenar ti prepara e figlia e madre.
Vedi bontà! Vedi innocenza! Iniquo!
teme uccider la madre. Ah! Tu di lei,
io di me stessa ho già disposto. Addio.
Del mio morir solo l’arbitrio è mio.
Oh! Non avessi altro a temer che lei
e l’alte sue querele. Ah! Figlia, figlia,
vi sento. Invan resisto. A voi mi dono.
                                                   Arcade, errasti
mal tacendo l’arcano. Io scuso un fallo,
cui la pietà fu consigliera e guida.
                               E che far debbo?
                                                                Vanne;
per la men nota via figlia e consorte
tornino in Argo; e tu le scorta. Io pure
da Calcante otterrò che al nuovo giorno
                                         Al reggio cenno
Quanto sei grande in cor di padre, o amore!
D’aspidi e serpi al velenoso morso
qual riparo v’è mai? Scorre Elisena
di tenda in tenda e, divulgando intorno
d’Ifigenia il destino e la sua fuga,
mette il campo in tumulto. Ulisse è in armi.
son d’Aulide i sentier chiusi e guardati.
Compiangerla poss’io ma non salvarla.
selva protetti, a miglior lido il passo
                                         Il ciel ne arrida.
Il ciel vuol la mia morte. Ecco armi e genti.
                                         O certi mali!
Siamo, o donna real, vergine illustre,
voi cui soffrir convien casi sì acerbi,
                               Son tutti in arme i Greci.
Principio infausto di peggiore evento.
E gridano che a morte ella sia tratta.
                                     Per voler de’ numi.
Né a pro de l’infelice alcun si adopra?
                                            I Greci tutti.
il drappello fedel corse in sua aita?
Fur questi i primi a minacciarlo; ed egli,
resister non potendo, il piè ritrasse.
Chi nel campo commosse il fier tumulto?
Vuoi saperne l’autor? Vedilo, o donna,
più non andrai de’ miei disprezzi ed onte.
                                    Ecco gli arcieri e Ulisse
che a spettacol sì crudo il cor non regge. (Parte)
               E al dolente padre. Aulide, ancora
se potrai sopportar tanto misfatto. (Parte)
Il crudo ufficio, ond’io qui venni, ho preso,
non perché del tuo pianto (A Clitennestra) o del tuo sangue (Ad Ifigenia)
vago mi sia, che ne ho pietà, qual deggio.
Parlan con le mie voci i Greci tutti,
Ritrarsi, opporsi è un provocar gl’insulti.
a voi, del mio signor figlia e consorte.
Ben l’avranno ad Achille o avranno morte.
                                 Achille, opra d’uom saggio
                                               Eh! Non ascolto
So usar, quando convenga, e lingua e braccio.
                                                E questo or s’armi. (Danno di mano alle spade)
                                                  A l’armi, a l’armi.
gli occhi la Grecia tutta. Aure propizie
vittoria a’ suoi guerrieri; e vedrà in breve
Paride estinto, Ilio disfatto ed arso.
Tutto, tutto avverrà con la mia morte.
Di tanti, che qui sono uomini eletti,
E di sì degna impresa arresti il corso?
peggior di morte! Andiamo, Greci, andiamo.
Ecco il petto, ecco il capo. Applaudo al colpo
che a voi rechi salute, a me dia gloria.
Questi, questi saran pregi immortali,
la mia dote, i miei figli, i miei sponsali.
Me presente e me sposo, aperta e piana
questo de l’alma era il desio più caro,
viver di Achille. Aspro destin cel vieta.
rendi la libertà, rendi il suo regno.
Addio, mio sposo, addio per sempre, addio.
La mia gloria e ’l mio amor vuol che tu viva;
In faccia al padre, al sacerdote, al nume
O dio! Parte sdegnoso e ’l suo furore,
quant’ella sia, mi fa sentir la morte.
del nostro campo e ne fia escluso Achille.
d’Ifigenia vivrà gran parte. L’altra
ne avrà la gloria; e la più vil fia spenta.
Or morrò più tranquilla e più contenta. (Ad Ulisse)
                                    È giusto il pianto
Fammi cor, te ne prego, e di umil figlia
Ben sai ch’ogni tuo prego a me fu legge.
Morta ch’io sia, non oltraggiar tue gote,
non lacerar tue chiome e bruno ammanto
Per chi muor per la patria è ingiusto il pianto.
Le dilette sorelle e ’l dolce Oreste
bacia per me. Ma più che d’altro, o madre,
e, qual sempre l’amasti, amalo ancora.
Salvarmi egli volea. Nol volle il fato.
Serba la mia memoria. Io parto, o madre.
Chi di voi mi accompagna al tempio, al rogo?
Questo ti vieta il tuo signore e sposo.
staccarmi non potrai da questi panni.
io sarei del tuo pianto assai men forte.
Più temo il tuo dolor che la mia morte.
Ferma. O dio! Qual mi lasci... Io manco... Io moro. (Sviene ed Ulisse la sostiene)
Voi seguite la figlia. Io questo deggio
pietoso ufficio a la regina vostra. (Partono le guardie dietro Ifigenia)
io senza te qui rimanermi? E al pianto?
Ferma. Ah! Tu non mi ascolti e forse or cadi. (Si leva)
alza l’empio ministro. In questo il vibra
l’alma innocente. Ascondi, Febo, ascondi
ti han costretto a fuggir, colmo di orrore,
per non mirar meno esecrando eccesso.
vieni e me pure uccidi. È quello, è questo
lo stesso sangue. Qual pietà te arresta?
già sugli occhi mi sveno; e de la figlia
m’esce tra i freddi baci e l’alma e ’l sangue.
la sua miseria e più la sua virtude.
                        Quanto l’invidio! O quanto!
di tutta Grecia e con l’amor di Achille.
                                                     Ah! Teucro,
una forza maggior, ch’io non intendo,
mi chiama a l’ara infausta. Ivi gli dei,
chi sa? fine imporranno a’ mali miei.
l’ara profana? A me la figlia estinta?
                                                   Regina...
Eolo, scatena gli austri più feroci;
apriti, o mare, in più profondi abissi.
l’orrendo sacrificio. Ecco che il cielo
Sì, combatte per te. Già ’l grande Achille
messi ha i custodi. Egli è a l’altare e al fianco
d’Ifigenia. Grida, minaccia, freme.
Sospeso è ’l sacrificio. Il re tuo sposo,
tema ferire o che ne cerchi un’altra.
Andiam, regina. Il tuo campion ti attende,
                                        Arcade, andiamo.
Ma non è questi Ulisse? O quali in volto
Sì, ch’egli è desso. Ah! Che mia figlia è morta.
placò la dea; l’aure ci rese amiche.
O sempre falso Ulisse! O sempre infausto!
Né più verace mai né mai fui nuncio
Vive, il so, negli Elisi ombra infelice.
di carni e d’ossa il bel corporeo velo
Ma come è viva e morta? Io non intendo.
                                 Morta Elisena?
Sacrificio crudel! Teucro infelice! (Parte verso il tempio)
Spesso il riso de l’un pianto è de l’altro.
                     Odi prodigio e l’alma acheta.
Tutto fremea nel tempio. Achille e i Greci
quand’ecco entra Elisena. Alor Calcante,
che pria sembrava timoroso e incerto,
prende novello aspetto; e pien del nume,
che l’agitava, in voce alta e tremenda
per mia bocca a voi parla. Un altro sangue
d’Elena ei chiede e un’altra Ifigenia.
l’ebbe da Teseo e Ifigenia chiamolla.
Io ne fui testimonio. Io d’allor vidi
ch’ella perir dovea, quando col nome
d’Ifigenia fosse svelato a’ Greci
ed a sé stessa ignota. Or qui l’ha tratta
il suo destino. Eccola, o Greci. Questa,
questa è l’Ifigenia dal ciel richiesta».
                            O maraviglia!
                                                        Immoto
pensoso, sì, ma non scomposto e grave.
Morte le annuncia e per condurla a l’ara
saprò morir né smentirò qual sono».
coltel ne afferra e se lo immerge in seno
e cade e versa il sangue e muor da forte
e fiera sul bel volto è ancor la morte.
Sparga or tra l’ombre le sue furie ultrici.
Al suo cader tuona e balena il cielo.
l’aria sfavilla. Agitan l’aria i venti.
Il mar lieto ne mugge e un grato orrore
occupa tutti. Ecco già s’apre il tempio;
e più amante e più illustre e più giuliva. (Si apre il tempio)
                          O cara madre!
                                                       O specchio
e di amore e di ardir, Pelide invitto,
Non più inutili indugi. A noi seconde
                                     O amore!
                                                         O gioia!
A le navi, a le navi. A Troia, a Troia.
Parte e d’Ilio trionfa il forte Atride;
perché più grande è tua pietà. Fortuna
Ei ti dà regni in guerra, ei regni in pace;
tu serbi de’ suoi doni un cor più grande;
è dei cesari il fregio. Ovunque ei s’ode
o si teme o si applaude; e già la fama,
che sol de’ fasti suoi suona e rimbomba,
stanco ha ’l volo per lui, rauca la tromba.

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