Metrica: interrogazione
708 endecasillabi (recitativo) in Alessandro Severo Venezia, Pasquali, 1744 
Il giorno fortunato, in cui l’impero,
più che i voti di Roma, il ciel ti diede,
Piaccia agli dii serbarci un sì gran bene
Ne’ vostri voti il vostro amor discerno.
Marziano, alla plebe oro si sparga,
spettacolo si appresti, ove non sia
sanguinosa la pompa, empio il diletto;
all’Eufrate ed al Tigri. Ivi del Parto
l’odio punito e l’alterigia doma.
Quanto alle glorie tue giubila il core.
Romani, il sangue illustre, i fregi eccelsi,
l’amor mio, la sua fé, l’augusta figlia
che il vostro imperador gli dia l’impero
                                A me, signore?
                                                              Al padre?
                                  Ti accosta.
                                                       Ossequioso (S’inginocchia a’ piè del trono e bacia la mano di Alessandro)
                                Al militar comando
mi verdeggin sul crin palme guerriere.
Nunzio del re de’ Parti or giunse al Tebro
                                                     O madre, il trono... (In atto di scender dal trono)
l’inclita sposa. Io te la diedi e godo
dall’altezza del trono, ov’io la posi.
qual femmina volgar, confusa e mista,
udirò con piacere i vostri applausi,
mirerò con diletto i vostri amori.
Io darò al novo duce ossequio e lode.
Voi senza me risponderete al Parto.
il destin de la pace e della guerra. (Sallustia e Alessandro scendono dal trono)
                               Augusta Giulia, io leggo
                                          Han questi lumi
tutto il piacer di tua fortuna. Io lieta
là ti vidi seder dov’io sedea.
                     A che discolpe? Io son la rea,
                                Di miglior luce adorno
per te mi sfavillò su le pupille.
Primo amor di Alessandro, o madre, sei.
La sposa, che ti diedi, amar sol dei.
Augusta, è tuo favor la mia grandezza.
Va’, segui ’l tuo Alessandro e l’accarezza.
Giulia non son, non madre e non augusta,
non ti strappo il diadema e nol calpesto,
basso e fosco vapor, da’ raggi alzato
di benefico sol, ma che ben tosto
cadrai disfatto in pioggia e sciolto in nebbia.
o l’amor di Alessandro o l’ira mia.
e voglio la tua fede a me giurata
o i tuoi spergiuri io punirò di morte.
Femmina son; ma son romana ancora;
e risoluto amor mi fa più forte.
ben degna sposa, ecco al tuo piè s’inchina...
La sfortunata, a te ben nota Albina.
Albina, amica... E quando in Roma e come
                                        T’apro il mio core.
la vassalla Sicilia, unica figlia.
In quell’età, dove sovente amore
prende a’ suoi lacci e di sue fiamme accende,
                                         Claudio mi è noto.
Ei pur mi amò. Fede giurommi. Il padre
intese i nostri affetti e piacer n’ebbe.
tutto turbò. Della Sicilia eletto
fu proconsolo il padre. A me convenne
seguirlo e lasciar Claudio, ahi, con qual pena!
tutto fu invano. All’imeneo funesto
Nome e sesso mentii. Mar, piano e monte
varcai; cotanto ardita amor mi fece.
cerco di augusta al piè, china e prostesa,
la mia pace, il mio ben, la mia difesa.
E qual chiedi l’avrai. Claudio ti è fido?
in uom si può sperar? Scrissi; spedii;
non badò a messi; non rispose a fogli.
Ma se il trovi infedel, tu che far pensi?
Deh, finch’io sia contenta o vendicata,
chiudi in te il mio destin, taci il mio sesso.
Amor, rischio ed onor così richiede.
Giuro un sacro silenzio alla tua fede.
da’ miei fasti si escluda. Io l’ho perduto. (Va a sedere al tavolino)
la delizia e l’amor chiaman le genti.
la delizia e l’amor del tuo Alessandro.
                                           Amato sposo.
Alle scarse ricolte, onde la fame
e sotto l’elmo incanutì la fronte.
                             E l’abbia e doppio goda
Mercede al suo valor, sprone all’altrui.
Claudio, questo è tuo foglio. A me che chiedi?
Partir di Roma al novo sol col campo.
Desio di gloria ivi mi chiama all’armi.
Claudio, tua fé mi è cara. Anche sul Tebro,
da chi a cesare è fido, onor si acquista.
Seguasi il tuo voler. Claudio, ti eleggo
Mi onora il grado. (Sofferenza, o core.
È pago il fasto ed io volea l’onore).
La madre le comanda e non le chiede.
                                  In questo foglio espressi
e se tuoi, sempre cari. Io segno il foglio. (Lo sottoscrive senza leggerlo)
                                               Eccolo, o madre, (Levandosi lo porge a Giulia)
                                            (Temo d’inganno).
sento un dolor più non inteso ancora. (Ad Alessandro)
Parti. Breve sarà la mia dimora.
io cesare non son; non son che figlio.
Tu augusta sei, tu madre. E questa e quella...
Sì, la madre e l’augusta a te favella.
ciò che mi devi. Cesare. Anche questo
titolo è mio favor. Tal non saresti,
cesare ti creò, perché mio figlio.
del tiranno crudel, sai quante volte
ti preservai. Laccio, veleno e ferro
minacciavan tua vita. Io la difesi.
Questa è pur opra mia. S’ama il tuo nome;
il tuo impero si esalta; e tutto, o figlio,
fu di Giulia finor legge e consiglio.
de’ benefizi tuoi; la cara sposa...
Io te la diedi, il so; ma sol la diedi
non al regio mio trono; e lei mi piacque
tua consorte veder, non mia sovrana.
                  Taci. Mi ascolta e ti confondi.
Parli prima la madre e poi rispondi.
ombra di ciò che fui? Giulia il Senato,
Giulia vedean la curia, il foro, il circo.
ciò che Giulia era pria. Tutto si regge
il monarca e l’impero. Ah, figlio, figlio!...
Se vuoi solo regnar, regna; io ne godo.
Ma che un’altra mi usurpi ’l grado mio,
cedo al figlio il poter; nol cedo a lei.
e le viscere mie, figlio, tu sei.
Ma di errar non credei, nella mia sposa
e per essa e per me chiedo perdono.
                                       Amabil pianto! O figlio,
Orgoglio altrui mi ti avea tolto. Io trovo
ancora il mio Alessandro. Ancor l’abbraccio;
bacio ancora l’idee di quell’affetto,
con cui tenera madre ognor mi amasti.
O bontà che mi rende e trono e vita!
Ma la rea seduttrice io vo’ punita.
L’amasti col mio cor, l’odia col mio.
Sposa più non la dir. Ripudi ’l figlio
                                              O madre! O sposa!
O la sposa o la madre abbia l’esiglio.
O sii tutto marito o tutto figlio.
sentenza di ripudio. Io tel comando.
e più illustri e più belle al regio letto.
Sal... lus... tia... più... non... sei... (Scrive)
                                                            Moglie né augusta.
               Eh, lacero vanne, o foglio reo. (Squarcia la carta impetuosamente)
son cesare di Roma e sono augusto.
ma non mai la viltà di esser ingiusto.
ciò che nega il tuo cor già mi concesse.
Ripudiata è Sallustia; e tu la carta
                                       Io?... Quando?... O dei!
Qui tu scrivesti. Or fremi e fremi invano. (Mostrando il memoriale sottoscritto)
Più non mi turba il tuo mal nato amore
Questo è il ripudio e tu segnasti ’l foglio.
Destra rubella al cor, che mai facesti?
Sol pur ti trovo, o caro. Io questo attesi
per poterti abbracciar... Ma che! Tu sfuggi
il casto abbracciamento? E taci? E piangi?
Forse non m’ami più? Parla. Rispondi.
E mi lascia? E non parla? E si confonde?
Qual turbamento! Ah, mio Alessandro, intendo;
Giulia è cagion del tuo, del mio tormento.
che tu più della madre ami la sposa.
                                                Beltà, che amasti,
vivono nel mio cor; ma tu non l’hai.
che, se non l’ha trasfigurato il duolo,
l’orme ancor ci vedrai de’ tuoi sospiri.
Altre chiome, altre luci avea la bella,
altro aspetto, altro senno... Eh, non sei quella.
Te, incostante amator, stringe altro laccio.
ritrova l’infedel beltà maggiore.
S’io la prima non fossi, or la più bella,
perfido, mi diresti; e sarei quella.
Albina il solo amor fu di quest’alma.
E s’io dovessi amar, fuori di lei
Perché dunque sprezzar chi sì ti piacque?
Chi vuol gloria ottener, scuota di amore
il tirannico giogo. Io gloria cerco.
mancar di fé? Di semplici donzelle
sedur gli affetti e poi schernirli? Questi
Son queste le tue glorie, i fasti tuoi?
vincer i bassi affetti. Ho sciolto il nodo
per vedermi tradita e per soffrirlo.
lascio all’empio tuo cor, pria di punirlo.
Misera Albina!... Augusta, io son tradita.
                                              D’altra invaghito?
tornerà il prigionier. Facile acquisto
alla pura tua fede, al tuo bel volto.
abbia ne’ casi avversi anima forte.
                   Il cor disponi al grave colpo
                              Te ne abusasti, ingrata,
che né sposa più sei né imperatrice.
più Sallustia non sia. Già la ripudio.
tragga miseri giorni in duro esiglio.
                             Sì, a te, femmina altera,
dà ripudio Alessandro; a te dà esiglio,
a te non più marito, a me ancor figlio.
La sua destra il segnò. (Le leva la sentenza di mano)
                                           Non il suo core,
ch’ei deluso da te soscrisse il foglio.
E con la frode io castigai l’orgoglio.
Tormi giù da quel trono, ov’io ti posi?
più ferma stabilir la tua fortuna?
le mie insegne, i miei titoli, il mio trono?
non che i fulmini tuoi, quelli di Giove,
se mai punse quest’alma amor d’impero.
L’unico voto mio, tutto il mio fasto
lasciami ’l mio Alessandro; altro non chiedo.
Ciò che appunto più temo, è quel che chiedi.
Con qual’armi potresti a me far guerra
No no, più nol vedrai. Vanne in esiglio.
                             Già la sentenza è scritta.
sol di mostri feconde. Ivi al mio core
di Sallustia non fia mostro peggiore.
Qual torrente, qual turbine di mali
m’inonda e mi rapisce? Io che poc’anzi...
Figlia, qual ti lasciai? Qual ti ritrovo?
Di mia sfortuna a te sì tosto il grido
                                        D’alto non cade
grave mole giammai senza rimbombo.
Ubbidir con virtù, soffrir con senno.
Ne’ lievi mali, e senno e tolleranza
Tu con ossequio lusinghier procura
                                        Corri allo sposo.
                                   Il dì prescritto è questo
                                    Questo anche basta.
Nol perderò. Lasciami, o figlia, e spera.
La sorte mia troppo è spietata e fiera.
Sante leggi di fede e di servaggio,
morirà il padre o regnerà la figlia.
così al destin, così alla madre; quasi
piacesse a te, per non lasciarti in pianto.
Tu parti! Ah, quest’annunzio è la mia morte.
chiusa è la voce e s’apre il varco al pianto.
E a me, la più dolente e la più afflitta,
che non ho chi mi aiti e mi consoli,
amici e patria e padre e regno e sposo,
di consolarti? Sì, caro Alessandro,
lieto rimanti e fortunato; e quando
a turbar la tua gioia e il tuo riposo,
perdine la memoria e vivi in pace.
nell’impero del mondo. Ama la madre,
né mai le rinfacciar la mia sventura.
né posso, senza te, se non morire.
Eccomi in tuo soccorso, eccomi, o figlio.
o ti rende infelice o ti vuol reo.
Degna di te, già l’Affrica ti attende.
Solo pria di partir lascia ch’io baci
                                          Or la corona
                                        Ella sul trono
                                  Io ne discendo;
che più darti potea dopo il mio figlio?
che in perderlo mi costa e pianto e sangue.
Vedilo, eccelsa madre. Io te lo rendo;
che di aver troppo amata un’infelice.
Tu lo consola. Al vedovo suo letto
scegli sposa più degna e più gentile.
Questo il puoi far, ma più fedel non mai,
che troppo, idolo mio, troppo t’amai.
Se la virtù, che hai nel tuo fato avverso,
tra le prosperità serbata avessi,
Io ti ho qualche pietà; ma a te più fasto,
Vattene. Al tuo destino io ti abbandono.
Addio, augusta; addio, sposo. Ah, mi perdona
se ancor mi uscì dal labbro il dolce nome,
nome che mai non mi uscirà dal core.
che il posso dir. Vado al mio duro esiglio.
e per Roma e per Giulia e per il figlio.
dal fianco di costei ti uso pietade.
In che peccò la misera innocente?
La giudichi col tuo, non col mio core.
Ora è comando mio che più non l’ami.
                                                   Temo il suo fasto.
Mi tolse il grado mio. Può tormi ’l figlio.
Madre, ognor ti amerò. Troppo ti deggio.
Dovea molto alla madre anche Nerone;
                                                 Quell’empio
ma un amor da Poppea temo in costei.
Il Senato lo approva. Io lo comando.
                                             Io tal ti feci.
                                               Su via,
si ritratti ’l ripudio e la sentenza.
Torni la sposa e vi anderà la madre.
(O implacabile cor!) Lacrime e preghi...
giovi dunque a placarti. Io corro al lido;
e colà, sciolto il fatal legno appena,
o questo ferro immergerò nel petto
o me ancor rapiran l’onde frementi.
si è trovata la via). Ferma, o spietato.
Non si può tor la morte a un disperato.
Torni... Che fo! Qual debolezza è questa?
Qual disonore? Io rivocar l’esiglio?
dal suo furore... Eh, perdita di moglie
non mai guida a morir. Parta la rea
Né questo dì dall’ire mie si perda.
ove augusta imperò, starsene ancella.
Avvilita beltà non è più quella.
Augusta, onor del Tebro, amor di Roma...
Duce, non sei nel campo? In Roma forse
Non è più figlia mia chi a te fu ingrata.
la sua benefattrice e la sua augusta.
La man, che la punisce, è sempre giusta.
O degno genitor di miglior figlia!
chi sa di esser vassallo. A pro del trono
                                          Giulia in te onora
la difesa miglior del nostro impero.
del mio cesare al voto aggiunga il suo.
                                  Ambo mi siete amici,
che, a chi serve con fede al figlio mio
e di Roma all’onor, grata son io.
                                              E ne stupii.
                              Per più celar le trame
tradii natura e condannai la figlia.
Giulia trovò l’eroe ma non il padre.
La vendetta più cauta è la più certa.
E la meno temuta è la più fiera.
                                          (Io tutto ascolto).
Sul tramontar del giorno entro la reggia,
per via segreta introdurrò. Le stanze
Tu, cui commessa è la custodia interna,
                                   E il puoi sperar. Mi unisce
Dal favor di Sallustia ottenni ’l grado.
donna odiosa al popolo e al Senato.
                                  E pria che cada il giorno,
ella forse morrà, senza che n’abbia
                                      Come?
                                                      Valerio,
della mensa real, da me già vinto,
le porgerà ne’ primi sorsi il tosco.
Sarà vano il velen? V’è la mia spada.
                                           Claudio.
                                                             (Importuna!)
Il tradito amor mio viene a cercarti.
Fuor di tempo ei ti guida. Albina, parti.
Cerca ognor l’infedel tempo e pretesto.
Vo’ che qui tu risolva. Il tempo è questo.
Sei perduto, se parlo; e parlar deggio,
Giulia il saprà. Ma qual trofeo, qual gloria
sarà la mia, veder per altra colpa
che svenar deggio al mio tradito amore?
e, se cade per me, mio n’è l’onore.
Io di Sallustia il padre esporre a morte?
col sangue reo di un’innocente il pianto?
a Sallustia si sveli ’l reo disegno.
Poi l’ira mia farà perir l’indegno.
Servi, alla ricca mensa in vasi d’oro
Coronate le tazze; e ardete intorno
Eccomi a voi compagna, ove poc’anzi
sedea sovrana; e pur lo soffro in pace,
stupida m’abbian resa e non li senta
o mio dolce signor, sarò contenta.
Impietosito è di tue pene il fato;
Faccian gli dii; ma non lo spero, Albina.
dispera di conforto, allora il trova.
Ah, qual poter v’è mai che sia più forte
                                                   Amore e morte.
                                               Quello del padre
che tutto porrà in opra e tosco e ferro.
Ferro e velen! Di’ tosto. In sen si scuote
l’alma, s’agita il sangue; e gelo e sudo.
turba servile allontaniamci alquanto,
                                               O stelle! O dei!
Crescer possono ancora i mali miei? (Si ritirano in disparte e parlano sottovoce. Poi Albina parte)
Molto del giorno ancor rimane; e ancora
                                          E se costante
ti accheta col mio esempio. Anch’io son padre;
e del voler di lei pur mi fo legge.
abbiam tu più virtude ed io più amore.
Alla mensa, alla mensa. I gravi affetti
stien lungi e ilarità condisca i cibi.
Al grande onor sol tua bontà m’innalza.
al ministero imposto? Io non la veggo.
                                                     Il gioco e il riso
alla mensa real scherzino intorno;
e si disciolga in liete danze il piede. (Siedono a mensa Giulia, Alessandro e Marziano e poi segue il ballo)
certa ne sgombri incognita amarezza.
(Or punita vedrò la tua fierezza).
(Eccomi al gran cimento. Alma, sta’ forte).
nella tazza letal berrai la morte.
                           È di mortal veleno
misto il dolce liquor che ti si porge.
chi più colpevol sia dentro il tuo core,
finirò con la morte il mio dolore.
(O troppo incauta figlia! E come il seppe?)
devi a tanta virtù. Deh, placa l’ire.
Dal caso atroce istupidita io sono.
A me tosco? A me morte? Ah, da qual mano,
svelami ’l traditor. Da un’altra morte,
che mi dà un rio timor, Giulia difendi.
Se il reo mi occulti, il benefizio offendi.
(Giulia è difesa. Or non si accusi ’l padre).
dal mio grato dover ciò che più brami.
Ciò che più bramo è che nel cor sepolto
parlai non chiesta; tacerò costretta;
sarà dovere e tu il dirai vendetta.
dopo un comando, alla viltà de’ preghi.
e puoi molto temer, se dura il neghi.
Vane son le lusinghe e le minacce.
Parlai per zelo e taccio per virtude.
Sarà virtù celarmi un traditore?
Già dissi ’l tradimento e ti salvai.
Chi asconde il reo, l’altrui delitto approva.
Ciò che già oprai, di mia innocenza è prova.
Deh, salvami la madre e parla, o cara.
La madre ti salvai. Più dir non posso.
Tutto per te si fa mio rischio. Io temo
e Marziano e quanto veggio e penso.
mi è oggetto di spavento insino il figlio.
stupidezze e ribrezzi. È tempo alfine
favelli ’l padre. Guardami e ravvisa
Da me forse col sangue e con la vita
purga il mio sangue e l’onor mio. Che tardi?
Ma prima di parlar guardami ancora.
Padre, che dir poss’io? Sono innocente;
e rio destin vuol che colpevol sembri.
È delitto il silenzio; è colpa il dire.
Altro non resta a me, se non morire.
E ben, morrai, superba. Alle mie stanze
guidatela, o custodi. Ivi dal seno
a forza ti trarrò l’alma o l’arcano.
Quella il puoi far. Questo lo speri invano.
Chi ’l veleno tentò, tentar può il ferro.
Per Giulia è mal sicura anche la reggia,
figlio, se l’amor tuo non la difende.
Raddoppiale gli armati e le difese.
Signore, a man più forte e più fedele
non puoi lasciarla. In me riposa e spera.
Tema, in alma real quanto sei fiera!
ecco aperta la via. Parli Sallustia
e placata è la madre e lieto il figlio.
Non parlerà. Sallustia è più che scoglio
dal mar battuto e più che rupe al vento.
Chi sa? Forse il mio amor ne avrà il trionfo.
È nota al genitor l’alma ostinata;
e indegna del tuo amor sarà l’ingrata.
                                Lo schermì la figlia.
                                 Io son confuso, o duce.
Non si perda l’ardir. Mancato il primo,
Né cadrà a voto. In poter nostro abbiamo
                                  E di ogni parte a lei
sarà chiuso lo scampo e la difesa.
Regga il destin la ben guidata impresa.
Da qual labbro scoperte almen sapessi
                                 Il sol vedere Albina
n’empie il mio seno e me ne sparge il volto.
so che non guardi Albina. Alfin non sono
donna odiosa al popolo e al Senato;
né col tosco m’insidi e non col ferro.
del mio amor più non parlo. Al degno amante
opre grandi rammento e illustri imprese.
(Ah, purtroppo a costei tutto è palese!)
                           Brami saperlo?
                                                         Albina,
                                       Or quell’amore implori
che tu tradisti? E quell’Albina or preghi
che ti colma di orror solo in vederla?
I rimproveri tuoi son giusti e atroci;
                                         Di Giulia al trono
ei trar volea l’accusa. Io lo rattenni.
                                  Or più farò. Al tuo aspetto
guiderò l’infedele e alla sua pena.
vedi che il volto suo non ti confonda.
il mio core e il mio braccio allor risponda.
Vanne alle auguste terme e là mi aspetta.
E spettator ti avrà la mia vendetta.
«Albina, tu mi salvi e deggio amarti».
Ei sol pensa all’offesa e alla vendetta;
si trascura il dover; si obblia l’amore.
sono preghi e minacce arme impotenti.
                                             Teme il mio amore. (Piano a Giulia)
indivisa compagna al regio fianco.
                                    Dilla timore. (A Giulia)
E seco allor favellerai di amore. (Ad Alessandro)
A lei parlerà il figlio e non lo sposo.
questo diasi al silenzio ultimo assalto
dall’amor tuo; ma se non cede a questo,
Non la difenderà l’amor del figlio;
troverà nel ripudio e nell’esiglio.
forz’è ch’io segua augusta e ch’io ti lasci.
puoi me far lieto e te felice; e il neghi?
Di te indegna sarei, se ti ubbidissi.
ma più del mio dover non posso amarlo.
                                      Fin nel tuo seno
Tanto ti è caro il traditor che taci?
Dissi quanto dovea. Lascia ch’io parta.
Se per lui temi, agli alti numi ’l giuro,
sua difesa sarò, sarò suo scudo.
(Tutto lo tradiria, s’io lo tradissi).
Prega Alessandro e ancor Sallustia tace?
Tacer deggio e penar. Soffrilo in pace.
                                     Ah! Sì infelice io sono
che il più dolce mio voto è mia sventura.
e può farsi tua colpa; o vanne o parto.
Crudel! Se mi sei tolta e s’io ti perdo,
non accusar la madre. O dio! Tu sei
cagion de’ mali tuoi, cagion de’ miei.
(Padre, quanto mi costi!) Ah, cara Albina.
È favore del ciel ch’io qui t’incontri.
                                       No. A mia difesa
                                     Scaccia ogni tema.
Dolente sì, non disperata il chiedo.
Non mel ritardi più la tua amistade.
Con più pace ti lascio, o dolce amica.
Ben sollecita fosti. Eccomi, Albina.
                                   Vaghe di sangue,
Qui ’l traditore alla sua pena io trassi.
Altri che te non veggio. Ov’è l’iniquo? (Dà di mano alla spada)
                                         Abbia anche ceffo
di Medusa e di furia, io nol pavento.
Non vi sarà per lui scampo o perdono.
              L’hai già presente; e quello io sono.
                            Spietato, in questo seno
cerchi, se il può, quel ferro il grande arcano
non son le stanze. Ivi ti attende il duce,
ivi i custodi tuoi. L’ora è vicina.
che tardi più? Giulia dal tosco illesa
or or per te cadrà vittima al ferro.
Dimmi, sleal. Da te tradita e offesa
vendicarmi potea? Trar la tua colpa
poteano l’ire mie? Tacqui, o infedele,
non per pietà di te che non la merti;
dall’amor mio punito e dal tuo fallo,
spergiuro amante e perfido vassallo.
                                      Mirarti estinto
non era gloria mia, non mio riposo.
Offeso amor la chiede e fé negletta.
Difenditi, se puoi. Voglio vendetta.
Nulla mi devi. Io te ne assolvo. Stringi,
e a chi vita mi diè, morte non rendo.
È questo il tuo valor? Tal la tua gloria?
mi dà morte il dolor di averti offesa.
Ah, parlassi da vero, ingrato core.
Ma non merta più fede un traditore.
O bella, e il dirò ancora, o cara Albina,
viver non seppi tuo; tuo saprò almeno
morir; piaga; trafiggi; eccoti ’l seno.
Pena, che basta, è il tuo dolor. Sol questa,
la morte no, ma pentimento e amore.
Rendimi l’amor tuo dopo il perdono.
L’amor? Risolverò. L’alma sì tosto
Voglio prova maggior della tua fede.
Qual amor, qual costanza e qual beltade
tradiste, affetti miei! Rinascer sento
più forte il foco estinto. Ah, per mia pace
lagrime da me chiede; e vinta è l’ira.
svegliò pietà; sveglierà l’altra amore.
se vi entrano a turbarmi ombre e terrori?
Parmi veder d’intorno e tosco e ferro.
Pavento. Mi fo cor. M’agito. Fremo;
e in un sol traditor mille ne temo.
Piume, voi foste almeno... Ecco Sallustia.
da grave sonno oppresse; e forse l’alma
da un bugiardo riposo avrà la calma. (Finge dormire)
Sollecita qui trassi ’l piè tremante;
tien chiusi i lumi e dorme. Ah, come puoi,
pace goder col tradimento al fianco?
Mille spade a momenti... O padre, o padre,
(Oimè! Labbro infedel tu mi hai tradita).
Più non giova tacer. Sei rea col padre.
Tacerlo era tuo voto e tua vendetta.
sia trafitta la figlia e al piè mi cada.
Sì, per farmi perir con più fierezza;
Chiuso è ogni scampo. Ah, perfida, trionfa.
di vendetta e di morte. E che? Pensavi
i miei torti soffrir? Tale è il mio sangue
tu l’innalzasti, ei n’era degno e appena
n’era un grado lontano. Or che l’ascese,
non è più in tuo poter far che ne cada
rende sacra la fronte ov’ella splende.
al par di te, da che ne ottenne il fregio;
Pari a te in grado, a te anche pari in sorte,
ella esiglio e ripudio e tu avrai morte.
più di quello che pensi, ardita e forte.
pria di vederla. Or che la miro in volto
a iniquo genitor d’indegna figlia,
ella in me non risveglia altro dolore
fuor del tuo sangue e fuor di te. La mia
fa la mia pena ed arma il tuo delitto.
chiamerà alle vendette un figlio augusto;
alla figlia lo sposo ed il comando,
orgoglio e fellonia mal ti consiglia.
morte a te, morte a’ tuoi, morte alla figlia.
Marziano, Sallustia e Roma e il mondo,
ma Giulia ci preceda, ombra non vile.
                                                    Ah, padre,
chi più offesa di me? Chi più oltraggiata?
è la mia sofferenza. Anche a me un ferro,
perché teco compagna io venga all’opra.
Figlia, abbastanza rea sei del mio sdegno.
                                       E la salvai,
per aver parte anch’io nella vendetta.
A me le offese mie punir si aspetta.
Tanto si dura a dar la morte a un solo?
                                          Prenditi il mio, (Dà la spada a Sallustia e ne prende un’altra di mano dalle guardie)
di che armar questo braccio. Altro ne impugno;
                                                        Aspetta.
E tu or vedrai qual sia Sallustia. Quella (A Giulia)
quella già imperatrice e poi vil serva,
di Roma tutta, ora vedrai qual sia.
Mori, o donna superba. Alcun non veggio
                                      Ben lo vegg’io;
ed al seno di augusta è scudo il mio. (Si volta improvvisamente verso Marziano col ferro, in atto di voler difender Giulia)
                                    Ma quello è il seno
                                         Ella mel diede.
Mi faccia anche morir. Tutte le offese
                                   (Io son di sasso!)
                                                                    Eh, mora.
passeranno al mio sen, prima che al suo.
in chi di fellonia marche ha sul volto.
                                         Ma che? D’inciampo
al mio braccio guerrier? Questo sol colpo
il mal fidato acciar mi gitti al piede. (Con un colpo gitta la spada di mano a Sallustia)
                                         Augusta, prendi
e con la mia la vita tua difendi. (Si cava uno stilo dal seno e lo porge a Giulia)
Odio di esser crudel; ma se costretta
Indietro, traditore, o qui la sveno.
Ho in mano la vendetta e la difesa.
che risolver non so. Fermarmi è rischio.
tu più padre non sei. Già vedi ’l colpo.
O voti mal perduti! O incauta figlia!
Augusta, or che a’ miei voti arrise il cielo
e che salva ti veggio, al mio destino
Vuoi che del mio tacer soffra il gastigo?
punir la colpa? In queste vene, in queste
viscere ne ricerca il sangue, il core,
che strumento per te fu di salvezza,
                                         (Il cor si spezza).
né mi cingono il sen freddi macigni.
ma in quell’atto crudel sentia che il ferro
vieni al sen, vieni al cor, vieni e m’abbraccia.
                                               Più non si parli
Ai contenti, alle glorie, al trono, al figlio.
                                      Oh me felice!
ti rivegga il Senato augusta e sposa.
fabbra già de’ tuoi mali e de’ tuoi pianti,
di tue beneficenze e de’ tuoi vanti.
Affetti miei, così non vi trasporti
che vi faccia obbliar quello di figlia;
se di un padre infelice e reo per voi
racquistar che mi giova e sposo e trono?
Ma tutto vincerò, se Giulia ho vinta,
in donna grande una grand’ira estinta.
Salva, o madre, ti abbraccio e appena il credo.
Ma se Giulia peria, dov’era il figlio?
Spinto da amor, da sdegno, al primo avviso
corsi, volai. Che pro? Di armati e d’armi
                                          Invan nel denso
lo cercai de’ soldati e de’ custodi.
Anche in lui temo e tradimenti e frodi.
Così volle il destin, perché dell’opra
                                      O generosa!
                                        Che fai?
                                                          Prostrata
starò al tuo piè, finché del padre ottenga
tu mi salvasti; io il genitor ti dono.
tutto è per te dovere. È assai maggiore
                                         Andrò nel campo,
temeranno anche i Parti il mio delitto.
                   Anima mia.
                                           Mio ben.
                                                              Mio sposo.
Più non mi turba un sì innocente amore.
Seguimi. Non temer. Sire, al tuo aspetto
un colpevole io traggo, onde ne impetri
                                   E tu pur, Claudio, allora
che in te fede più avea, tu più tradirmi?
                                                   Ma tu qual sei?
tutto a costei si ascriva. In lei ti addito
di Sulpizio la figlia. Ad altro tempo
ora il saper ch’ella il veleno e il ferro
mi scoprì amica e che in mercé ne chiede
Disponi a tuo piacer del suo destino.
Claudio, sia pena tua l’amar Albina.
Pena più cara a me di ogni mercede.
Eterno amore al tuo bel volto io giuro.
con liete pompe a celebrar gli auspizi,
non men di lui, della sua augusta sposa
date lode alle glorie, applauso a’ fasti.
Voi la vedeste invitta e voi vedeste

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