Metrica: interrogazione
984 endecasillabi (recitativo) in Costantino (Pariati) Venezia, Rossetti, 1711 
Col tuo Leon tanto disdegno, Emilia?
Tu mio? Menti, fellon. Dacché tradisti
la fé di sposa a me giurata in Roma,
o spietato mi uccidi o ingrato mori.
(Ahi! Manca al braccio il core, al cor l’ardire).
(D’una fiera beltà queste son l’ire).
ma impunito non già. Cesare, Fausta
con gli dei spergiurati avrò in soccorso;
chiamerò terra e cielo in mia vendetta.
(Può turbarmi costei gli alti disegni.
Si lusinghi e si plachi). Emilia, è vero,
dacché servo in Marsiglia a’ cenni augusti
meno fedel ti son. Più nobil fiamma
vinse quel che m’ardea foco amoroso.
(L’iniquo!) E qual rival n’ha la vittoria?
Non hai, fuorché la gloria, altra rivale.
                       Non temer. Lascia ch’io giunga
ove aspira il desio. Di te più degno
tutto, o bella, il mio core alora avrai.
Teco irati gli dei sfido a’ miei danni.
Crudel, so che m’inganni e pur ti credo.
E ben mi credi. Or sol la gloria adoro.
(Fingo con lei quando per Flavia io moro).
Tua sarà Flavia. Io tornerò sul soglio
che già fu mio possesso, or mio cordoglio.
Non si tema, o signor, che il solo indugio.
Massimo, Saturnin, Pompilio e gli altri
complici de l’arcano affrettan l’opra.
                            Il sono. E quando ancora
tra lor vi fosse alma codarda e iniqua,
nulla si tema. Al sol Leone è noto
che tu sei capo e guida. A tutti ’l tacqui;
e non abbiam nemico altro che il tempo.
Sol si attenda Licinio. Egli a noi riede
Ma che speriam da lui? Cesare il vuole
a l’impero compagno e sposo a Flavia.
Né a Flavia né a regnar Licinio aspira;
Fausta è ’l suo amore, ei quel di Fausta; e al loro
vicendevole affetto applausi anch’io.
Ma perché poi tradirne i dolci voti?
E unir l’illustre figlia a Costantino?
meno è sospetto ed è più forte. Il trono,
avrò dal valor nostro e da Licinio
che odierà in Costantino il suo rivale.
Io più l’irriterò. Se non compagno,
lascia di lui. Gli altri tu tieni in fede.
Me debitor del gran successo avrai.
Flavia mi basta. Essa è la mia mercede.
Non basta a Massimian. Puote l’impero
                                Servo a te sono.
                                   (Avrò con Flavia il trono).
da me che vuoi? Che chiedi? Alor dovevi
empiermi del tuo gel, quando il diadema
mi strappai da la fronte. Ora qual vissi
Tutto è virtù ciò che mi rende al soglio.
onde spargi la fronte, io vengo a parte,
                              Mal favellasti. Augusta
Fausta io non son? Tu Massimian non sei?
Né Massimian né son di Fausta il padre.
padre è di Fausta. A lui sul crin risplende
cuopre gli omeri eccelsi il regio ammanto.
tal di Fausta era il padre. In me nol vedi
qual lo vedi nel sasso. Ah! Venga il giorno
ch’ei torni a ricalcar porpora e trono;
che Massimiano e che suo padre io sono.
né veggo Massimian né trovo il padre.
Taci, che un tal rifiuto è ’l mio rimorso.
Meno cesare or sei di quel che fosti?
Non è per te di Costantin l’amore?
Fuorch’il titolo augusto, e che ti manca?
Né questo manca. Ove tu ’l voglia, questo
                              No no, solo a me stesso,
per ben regnar, voglio dover l’impero.
quando ti diedi a Costantino e quando
a l’amor di Licinio e forse al tuo.
                                  Al nome di Licinio
tu a cesare mi desti. Era tua figlia
un sospiro innocente al nostro amore;
Io t’ho pietà più che non pensi, o figlia.
vuol che Flavia sia sposa. Io son tuo padre.
Voglio... Più dir non posso. A figlia amante,
se tace il genitor, parli il dovere.
figlia, sposo ed augusta unir potrai.
Pensa. Io son padre; e ’l tuo dover tu sai.
Qual dover? Quai consigli? Infausto giorno,
per me t’accendi? A quante pene esposto,
povero cor, tu sei? S’arma a’ tuoi danni
Ma tutto s’armi. E Flavia e sposo e padre
e l’impero e Licinio e fasto e amore,
tutto mi sia crudel, tutto funesto.
Che pro? Son moglie. Il mio dovere è questo.
Ubbidienza cerco e non consiglio. (A Flavia)
Sinch’è giusto il fratel, Flavia ubbidisce.
da noi si attende il vincitor Licinio.
Vinse per te. Tu qui l’onora. Io parto.
No, l’onori anche augusta e sapia e vegga
qual mercede preparo a sì gran duce.
Compagno a me regga l’impero; e Flavia
sia consorte al suo trono ed al suo letto.
Nel trono che gli dai, premio ha che basta.
A me dar premi, a me dar legi aspetta.
Taci. Lo scettro io gli offrirò. Da Fausta
la consorte ei riceva e l’abbia a grado.
de l’eccelso imeneo recar le faci.
                           Che? Ti confondi e taci?
Troppo esigon da noi l’aspre tue leggi.
(Ma con sua pena). A noi vicino è ’l duce.
Fausta mi siegua al trono e Flavia attenda. (Costantino e Fausta ascendono sul trono)
(Fausta anche qui? Soffri, o Licinio). Eccelso,
felice Costantino, a’ tuoi vessili
gloria serve e fortuna. A’ fasti tuoi
nuovi titoli aggiunga e in ferma pace
per te i popoli fidi e tu per loro.
Quando de l’armi nostre il sommo impero
al valor di Licinio abbiam commesso,
al trionfo ei volgea, più che al cimento.
che bramar io potea, per me è perduto.
Tu me l’hai tolto e non men dolgo. Io debbo
Pur se premio dar cerchi a l’opre mie,
perdona, io stesso il chiederò; ma prima
questa d’alto comando illustre insegna
ch’ora in mia mano è inutil peso e grave. (Porta lo scettro a’ piedi di Costantino che lo riceve da le mani di Licinio)
tutto di mie fatiche il guiderdone,
a terminar gli ultimi e pochi avanzi
nel più barbaro lido e più rimoto,
a te, a la terra ed a me stesso ignoto.
Con noi rimanti al nuovo sol. Dimani
in te un altro regnante abbia l’impero.
Questa anch’è poca. Un maggior ben ti serbo.
più illustre il renda e più gradito. Fausta,
se m’ami pur, se mi sei moglie, il dono
Flavia ancor resti. Opri qual dee ciascuno;
sia il fratello, il monarca ed il marito. (Discendono dal trono)
Licinio, (o fati rei!) d’augusto al cenno
                                                              Perdona,
puote a’ sensi del duce, a’ sensi tuoi
forse la mia presenza esser tiranna.
voglion ch’io parta. Ov’egli accetti il dono,
provvedo al mio decoro. Ove il rifiuti,
il suo piacere o ’l suo dolor nasconda.
Mi assisti, o mia virtù. Duce, è tuo affanno
che intrepida io ti parli e Fausta (o dio!)
di Flavia agl’imenei Licinio affretti?
ma ch’io risponder debba a Fausta augusta,
questa è gran pena mia, questa è mia morte.
Sono augusta, egli è ver; ma questo nome
non costa all’alma mia quel d’infedele.
Rimproverar la mia sovrana? Al trono
la mia ragion non giugne. Anche infelice,
tradito ancor, so che vassallo io sono.
Tradito ma dai fati. Odi, o Licinio.
si tolgan per momenti agli occhi tuoi.
Teco qui Fausta è sola. A lei rinfaccia
i tradimenti suoi. Dimmi che il soglio
ti perdei senza duol. Chiamami ingrata.
Accusami sleal. Dimmi, se ’l puoi,
di’ che non ho pietà de’ mali tuoi.
ma il povero mio cor Fausta condanna.
Di’, che potea mia fé contro la forza
di Costantin? Contro il voler di un padre,
l’amor mio che potea? Da te lontano
che mai sperar? Come sottrarmi a un nodo
santi numi del ciel, se a l’are vostre
fasto mi trasse o dura legge. Questa,
Licinio, è la mia colpa. Or di’ s’io sono
sia la prova maggior di Fausta amante.
Nulla, nulla mai più. Ti basti, o duce,
saper che ci perdiam con duolo eguale.
Tu me sul trono, io te di Flavia in seno.
Grande necessità vuol gran virtude.
Perder con la tua mano anche il tuo core?
Siegue il mio cor di Costantin la moglie.
Poco? La gloria mia costar potrebbe.
                                  Ahi! Legge ingiusta!
Fausta non è più sola. Or parla augusta.
guidi la man di Flavia. A lei la fede,
a lei reca il tuo amore. Augusto il vuole.
il pregarti non giovi, io tel comando.
Soffri almen che infelice, abbandonato...
Non più, duce, non più. Quanto ti lagni
tanto mi fai pietà della tua sorte;
e più che son pietosa, io son men forte.
non puoi che il suo rigore. Ogn’altro affetto
è fellonia. La speme è tradimento.
Partiam da questo ciel. Flavia, l’impero,
senza Fausta che adoro, è mio tormento.
Non incolpar di tua sciagura, o duce,
Ei fatto tuo rival, strappò la figlia
E al tuo valor Flavia si deve e ’l trono.
e per Fausta che amai, morir sol voglio.
A colpo sì crudel virtù che giova?
abbiam ambi un tiranno. Io del suo giogo
stanco già son. Tu di soffrir sii stanco.
                                    Uscirne. Un colpo tronchi
a Costantin la vita e i ceppi a noi.
Core, o prode campion. Soli nell’opra
non sarem noi. Risolvi. Ti consiglia
col mio cor, col mio esempio e tua è la figlia.
A Fausta mi offrirò tinto del sangue
Tanto non chieggo. L’amor tuo ne assolvo
sol custodir l’arcano; in fé sicura
tener il campo e a me lasciare e al cielo
                            Dei che il mio cor vedete,
                                              Tu ti confondi?
diventa traditor. Parla. Di’ tutto.
col periglio d’un padre. Ovunque infine
o mio sarà l’impero o mia la morte.
Signor, mi turba, è ver, d’augusto il fato;
ma ch’io possa tradirti? Io voler morto
di Fausta il genitor? Meglio ravvisa
Tutto per me tu ardisci; e tutto io deggio.
saprai della congiura. Amico, addio.
(Se Licinio è fedel, l’impero è mio).
Vadasi a Fausta. A lei si sveli... A tempo...
Qual vista, o dio! Parti, Licinio, o parto.
ch’anche al vedermi innoridisci e temi?
Questo incontro innocente, ove siam soli,
Non ti arresta il mio amor. So che sei moglie,
Più grande affar vuol ch’io ti vegga e parli.
V’è chi cerca di torgli impero e vita.
Qual è ’l fellon? Tu ’l sai? Vi assenti? O sei
Basta ch’io taccia e che dal colpo attenda
la mia vendetta e in un la mia fortuna;
perder anzi ’l tuo amor che la tua stima.
Scuopri dunque fedel l’empia congiura.
Quai sono i rei? Chi n’è l’autor? Ma augusto
da te lo sappia e non da Fausta. Andiamo.
tua disgrazia saria, saria tua pena.
Mia sola pena è de lo sposo il rischio.
Al par di lui t’è caro il traditore.
Caro a me il traditor? Vorrei del petto
lacerarlo, sbranarlo e nel mio sdegno
punirlo di più morti. Invan mel taci
e pietade per lui m’inspiri invano.
                    Parla.
                                 Egli è...
                                                 Chi?
                                                             Massimiano.
                           Tuo padre.
                                                 A tal delitto
                                        Desio d’impero.
Innocente il depose e reo v’aspira.
                                  Ei mi affidò poc’anzi
parte del suo pensier. Parte mel tacque;
                                       Numi! Che intendo?
quale, o Fausta, abbracciar tu mi consiglia.
Pendo dal voler tuo. Sei moglie e figlia.
Aimè! Che far degg’io? Qual da me cerchi
consiglio o cenno? Il mio dover mi sgrida,
e se salvo lo sposo, io perdo il padre.
son perfida, son rea. Fuggo un delitto
e in me sin l’innocenza è scellerata.
Licinio, va’, ten prego. Osserva, intendi
tutta la trama e a me la scuopri. Il cielo
m’insegnerà come accordar io possa
più sicuro esser teco? Ove parlarti?
Scrivimi; e fugga un innocente affetto
al pari de la colpa anche il sospetto.
                                        Eccelsa augusta,
E spaventi e tumulti empion la reggia.
con Massimo si chiuse. Indi sdegnoso
fu commesso l’arresto; e fu eseguito.
Dubbio non v’ha. Misero padre e cieco!
Donde il tuo duol? Ciò che per altri è pena
cesare da l’insidie a lui già note.
tutto saper, tutto ridirmi. Io debbo
La mia vita è per te. Per te, se ’l brami,
Vien Costantin. (Salvate il padre, o dei!)
                      Un traditore, un parricida
              Qual empio?
                                        E lo soffrite, o dei?
Si congiura al mio capo e vuol l’iniquo
(Scoperto è ’l genitor. Misera io sono).
Era del colpo un reo. Fosse pietade,
fosse timor, me ne scoprì l’arcano.
                           Questo è ’l mio duol più crudo;
e sul nome di lui l’alma più freme.
Son cento i rei. Molti ho fra’ ceppi e molti
                                                       (O dio!)
                   Ancor si asconde al braccio mio.
Ma il troverò. Vendicherò su l’empio,
Foss’egli cinto ancor di mille allori,
                      Si punisca.
                                             (Ahi! Qual tormento!)
vegli Leon. Tu a le mie stanze, Albino.
Ma Fausta, la consorte, al mio periglio
Non si sfoga in lamenti un duolo estremo.
il colpo che mancò forse t’affanna;
forse più de l’autor, chi lo palesa.
de l’innocenza mia nulla rispondo.
per esser innocente, esser tua moglie.
                                     Il rischio mio più acerbo,
germana, è ’l mio timor. Perché non veggo
de la congiura il capo, in tutti io ’l temo.
Lontan nol temerò. Tu, sposa, il siegui.
                                Sì, con questo dono
si renda o a sé più giusto o a me più grato.
A chi non m’ama io darò fé di sposa?
Repliche al voto mio? Sempre è felice
chi serve a’ cenni augusti. Albin, Leone,
Flavia, addio. Di Licinio è quella mano.
Se non ami il fratel, temi il sovrano.
                            Principessa... (O dio!
Presente Emilia, e che mai dir poss’io?)
Taci né ti scoprir. M’ama la bella (Ad Emilia sottovoce)
ma senza pro. Finger convien d’amarla.
So ’l crudo cenno e so ch’io stesso al nodo (A Flavia)
                                             (Attenta ascolto).
Giova al tuo fasto il suo consiglio, o bella. (A Flavia)
Deh, taccia Albino, ove Leon favella. (Ad Emilia)
lo, Flavia, consigliar le mie sciagure?
Leon, tradisci Emilia e inganni augusto.
Fingo un duol che non ho. (Ad Emilia)
                                                  (Dubbia son io).
Flavia, Flavia è ’l suo nome e non cor mio.
Ubbidir al german, seguir la sorte, (A Leone)
                                        E darmi morte.
Di te ti lagna e non di me. Vantasti
ch’il titolo di cesare e ’l diadema
                                      (O traditore!)
Or di’, cesare sei? Di’, m’offri un trono?
(Egli è deluso e vendicata io sono).
Dunque più del mio core ami l’impero.
Deessi men d’un diadema a quella fronte? (A Leone)
Per me rispose Albino e ben rispose.
Tutto ciò ch’io direi ti disse Albino.
                         No no, Flavia or risponde.
ceder farei quel d’ogni capo. Il giuro.
Soffri che il fato in Costantino io tenti?
Anzi te lo comando. Affretta il corso
del tuo sperar. Va’. Regna e tua son io.
(Tanto soffrir non può lo sdegno mio).
                             Non più. Flavia propone...
T’inganna il traditore. Ad altro volto
                                           Leon spergiuro?
Siasi. La sua incostanza è gloria mia.
Chi una volta lo fu, sempre è incostante.
non si manca di fede a Flavia amante.
Or di’ che la tua gloria è mia rivale,
di’ che fingi d’amar Flavia che t’ama.
Né vuol dal suo Leon che un picciol dono,
un cesare, un diadema, un regno, un trono.
Qual Flavia mi delude, io lei lusingo.
                           Il tuo braccio e la tua fede.
(Forse a Fausta convien). Di’, come? E dove?
non sei custode? (A mio favor la traggo).
N’ebbi l’onor. (Credula ancor mi fingo).
Nol so. Sei troppo ingrato. Or su, Leone,
qui del nobile impegno io mi assicuro.
Nol merti. Non ti credo; e pur tel giuro.
sempre s’ode con tema e con sospetto.
sappia ciò ch’io promisi e quanto ei disse.
Essa, che mi protegge e che mi affida,
sia de’ miei passi e del mio cor la guida.
s’ha la viltà de’ congiurati. Fuggi.
No, signor. Qui si resti. A Massimiano
la mia fuga nol può. Lasciami a fronte
Il suo spavento accrescerò, se parlo;
il suo furor confonderò, se taccio.
giurami l’odio tuo. Stimola l’ire;
più fedele ti creda il mio tiranno.
Facciasi. Quel poter ch’ho sul regnante
Ella m’è certa. Io vado a Costantino,
onde tutto ei mi affidi il suo destino.
D’armi cinto e custodi a me ten vieni?
A te che, qual tradisti un fido amore,
Eh! Vantati innocente, anima infida,
e non a me. Mi vuol ministro il cielo
e de l’altrui vendetta e de la mia.
Per le offese di Emilia a te non parlo.
Tratto quelle d’augusto. Il suo comando
in Albino rispetta e dammi ’l brando.
Io prigionier? Per qual delitto? Ah! Sire, (Vedendo Costantino)
in che, dimmi, t’offesi? In che peccai?
Tu, traditor, tu, scellerato, il sai.
                                         Egli n’è ’l braccio.
ma se nulla potrà l’ira d’augusto,
tutto confesserà l’empio fellone.
(D’Emilia è indegno il traditor Leone).
La spada. (Leone dà la spada ad una guardia) Or parla; e dal tuo nume offeso
Chi ti mosse a tradirmi? E su qual fronte
                                                      Indarno
                                   (Perfidi e vili!)
                                      (Oh core iniquo!)
arma la tua vendetta. Io già la miro,
senza ch’ella mi costi un sol sospiro.
Premio saria la morte al tuo fallire,
di tua vita troncasse il corso infame.
Sì, preceduta ella verrà da quante
pene e terrori ha la giustizia e l’ira.
Vivrà noto a me solo il tuo nemico.
Vivrà per vendicarmi. A lui giurata
Fa’ quanto puoi. Non troverai tormento
ma vivrà la sua gloria e ’l tuo spavento.
(Fosse stato ad Emilia almen sì fido).
sopra il capo d’augusto il primo colpo,
scopo del tuo furor? Più non si pensi,
la tua, la tua dee vendicarsi. Il trono,
ma in te perdeva il suo maggior sostegno.
Che ti fec’io? Che Costantino, o indegno?
                                                  Compisci e svela
Quanto dir io dovea tutto già dissi.
gli si strappi dal sen tutta la colpa.
Mi si strappi anche il core ov’è sepolta;
né men per questo il tuo timor fia pago.
                T’acheta. Io, da molti anni avvezzo
a l’arte del regnar, saprò le vie,
per cui trar da l’iniquo il chiuso arcano.
La sua pena mi affida e la tua pace.
il periglio è comun; di quell’infame
a te lascio il destin. Vanne, o fellone;
e a lui de’ falli tuoi rendi ragione.
Né Costantin né Massimiano io temo.
Vieni al cimento e ’l tuo valor vedremo.
Vi son più congiurati? Albin, tu ancora
al mio fianco trarresti il tradimento?
                                   Le auguste stanze
dal più fiero de’ mali i miei spaventi.
Il so. Fausta ha virtù. Fausta è consorte;
ma la consorte, o dio! non è l’amante.
l’agita e può sedurla. Un chiuso foco,
può, se l’esca è vicina, alzar la vampa.
                Leon de la congiura è reo.
Questo è ’l merto di lui, questo il valore.
                                Sì, traditore.
                                      Creder nol posso.
può Leone mentir. Perché innocente,
L’error sia certo e lascerò di amarlo.
Opportuno è qui Albin... Ma Flavia è seco.
Io son giusta, tu amante. Un tuo rifiuto,
me, che amarti non posso, amar non sai.
(Un più concorde amor non vidi mai).
Liberi amiam. Se l’amor mio non sei,
tu la tua ne condanna, io la mia stella.
Come, signor? La man di Flavia e ’l trono
non succede altro amore a quel di Fausta.
Mostra eterno l’amor. Sinché al ciel piacque,
esca al mio foco eran di Fausta i rai.
servo a la gloria, a l’innocenza; e fuggo,
tiranno del mio core, anche i suoi guardi.
                           Tu servi, Albino, a questa
non da Licinio amante, in questo foglio
l’alto riposo e la comun salvezza. (Le dà una lettera)
non di Licinio amante i sensi intendi.
                                   A me lo porgi. (O fido). (Legge piano)
vegliate, o dei. Ma... (Al veder Costantino)
                                       Che? Fausta si turba
de lo sposo a la vista e cela il foglio?
                                Signor...
                                                  Qual carta? E donde?
                                         Ad un marito
E ben li vanta, ove il silenzio è giusto.
(Si avvalora il sospetto). A Costantino
tacer Fausta potrà, non ad augusto.
né a quel di Costantino insidia il foglio.
Dunque più t’assicura e a me lo porgi.
Se ’l nieghi, il foglio è reo, tu rea con esso.
                                                Onde l’avesti?
                                        È ver, signore.
                               (Dei, che rispondo?)
Taci? Questa è innocenza? Questa è fede?
Parla. Di’ che Licinio a te lo diede.
Licinio a Fausta? E con l’autore il foglio
a me si cela? Ah! Donna ingrata. Ah! Mostro
                                La mia innocenza
questi nomi non soffre. A tuo talento
se perfida son io, s’io sono ingrata.
«Quanto sa Costantin del suo periglio
non l’assicura ancor. L’ombre vicine
a te potrian toglier lo sposo. In questo
io adempio al dover mio. Tu adempi al resto».
Io col chiamarti rea tanto ti offendo?
Cieca è la gelosia ch’il cor mi rode?
                        O tradimento! O colpa! O frode!
di cui profani il grado e offendi il dono.
                  Che dir potrai?
                                                Che rea non sono.
                                                           Scrisse.
                     A Fausta scrisse.
                                                     E rei non siete
di scellerato amor? D’empie congiure?
L’onor di Costantin, l’onor d’augusto
non insidia la carta? Empia, spergiura,
si tradisce il mio letto e l’onor mio?
                         Che può dir?
                                                   Se rea son io.
Questo lo dice. Il traditor Licinio,
del mio vicin cader, già teco adempie
il suo dover. Tu adempi al resto. Affretta
a’ danni miei la fatal notte, o iniqua.
Vieni. Co’ primi colpi in questo petto
a’ colpi del fellon la strada insegna.
Che pensi più? Che tardi più? Non resta
altra perfidia a l’empia idea che questa.
toglier potrian l’ombre vicine? Al colpo
qual braccio? Di Licinio. Il niegherai?
                  Sì, di Licinio; e tu lo sai.
                                   No no, l’antico amante
tu solleciti al colpo. Esso t’invita
a compirlo col resto. Esso consiglia
                                          (O padre! O figlia!)
Vedi se rea tu sei. Sien le tue stanze
confine a’ passi tuoi. Di lei rispondi (Ad Emilia)
tu più cauto e più fido a l’ire mie.
(E soccorso da me la sua innocenza).
Tu rea mi vuoi? Pazienza. Almen più giusto...
Mira se giusto io sono. In Massimiano
Vanne. Da lui la sua, la mia vendetta,
sposa nemica e indegna figlia, aspetta.
e seco augusto il sia. Pietà non cerco.
Non ricorro a l’amor. De’ falli miei
siate giudici entrambi, entrambi irati;
e di Fausta nel cor, degna e amorosa,
ei troverà la figlia e tu la sposa.
Miei pensieri, a vendetta. In Massimiano
Leon, Licinio, Fausta... O dio! Qual nome
deggio punir. Sì, Fausta e quanti rei
vollero il mio morir, tutti morranno.
L’esercito m’è fido. Ancor sul trono
Non si regge col tempo un cor audace.
sarà l’onor del colpo e nostro il frutto.
Di Leon manca e di tant’altri il braccio.
Non manchi a me l’ardir né a te la fede.
vo’ tentar la mia sorte. È assai men fiero
per me un presto morir che un tardo impero.
De l’infame congiura è alfin palese
da qual man l’empio colpo uscir dovea.
Spesso la men sospetta è la più rea.
                Ah! Nol fosse. Io son da lei tradito;
ed un perfido amor chiede a l’iniqua
il sangue d’un augusto e d’un marito.
risparmia Massimiano. Ella è mia figlia.
prova di sua innocenza è ’l sangue mio.
                                           Ciechi sospetti
         Sì, t’infingi invano. Ecco un tuo foglio.
Leggi, signor. Vedi s’io mento e vedi (Dà la lettera a Massimiano)
se ugualmente son rei Licinio e Fausta.
                           (O perfidia!)
                                                     (O gelosia!)
                                       Chiami dovere
mancar di fede? Assassinar spergiuro
chi in te l’avea? Trar del tuo fallo a parte
io adempio al mio dover? Tu adempi al resto?
E ben Fausta il compia. Perché nascosto
fosse con l’empia carta il mio periglio,
che non fe’? Che non disse? Usai la forza
e non cedé che a le minacce e a l’onte.
O figlia scellerata! O iniqua donna!
L’ha sedotta il tuo amor. Complice teco
ragion tutto il mio sangue. Ella è innocente.
Taci; la tua difesa è sua condanna.
                                 Taci, o fellon. Mal chiami
quando contro di lei parla un tuo foglio.
Non forzarmi a parlar. Fausta mi è cara.
Tu le sei padre. O più mi temi o taci.
giudicata ella sia. Siedi. Tu stesso
qui in breve le sarai giudice e padre.
Siedi tu meco, o Costantino, e giusto
sostieni l’ira mia col tuo furore! (Siede Costantino)
Pera chi a te, chi a me fu traditore.
Vieni, Fausta. Or è tempo, ora è dovere
tuo difensor, tuo amante. Or via, difendi
pensa che parli a un padre e ad un marito
Padre e signor, che d’ira grave accesi
sedete a giudicarmi e figlia e sposa,
Quel foglio è nostra accusa. Ei de la nostra
ma l’averla commessa è nostra gloria.
e chiamandosi rea, sa ch’è innocente.
Quale innocenza? Di’, de la congiura
Noto a Fausta era il colpo e mel tacea.
D’altra man sovrastava il fatal colpo.
Ah! Perfida, da qual? Compisci e parla.
del tuo amante la vita e l’innocenza.
Parla. O tutto qui scuopri ’l grave eccesso
o reo n’è ’l duce e tu pur rea con esso.
non forzarmi a parlar. Rispetta in Fausta
                              Che dir potrai?
Lascia, lascia ch’ei parli. Udiam sin dove
giugnerà il suo furor, la sua insolenza.
Dacché Fausta macchiò dell’onor mio...
il silenzio crudel. Fausta, perdona.
Più soffrir non si dee da’ falli altrui
oppressa l’innocenza. Invan tu cerchi,
cesare, l’empio autor de la congiura.
                                              (O dei! Son morta).
Non so che dir. Non so che oppor. Licinio
Su, mio giudice ancor siediti al fianco (A Licinio)
del tuo augusto e del mio. Reo già mi rende,
signor, la gloria mia. Reo quel rifiuto
che dal crin mi strappò l’augusto alloro.
Ah! Perfido. Ah! Sacrilego. Vorresti
veder salva la figlia e morto il padre.
Vorresti... In sol pensarlo orror ne sento.
O Fausta! O nozze! O amore! O tradimento! (Ritorna a sedere)
Non più. Venga Leone. Ei qui risponda (Partono alcune guardie)
per l’innocenza e l’impietà confonda.
prova cercar de la mia colpa? Fausta,
che, malgrado a natura, amor trionfi.
scordati d’esser moglie e d’esser figlia.
più non giova tacer. Da un’empia fede
ti assolve il caso. A noi presente or vedi
l’anima vil per cui peccasti. Un foglio
tu, pria che cada la fatal sentenza,
rendi al vero giustizia e all’innocenza.
da me giurata a chi mi trasse a l’opra.
esser può del furor vittima ingiusta,
fora omai la mia fé troppo crudele,
troppo ingiusto, o Licinio, il tacer mio.
Parla. Già ti vantasti a me nemico.
Salva Licinio; e di’ che il reo son io.
                               (Aimè! Perduto è ’l padre).
Mentir non so. Licinio, il ciel, ch’è giusto,
mi fa spergiuro. A me perdona e soffri
                                         O scellerato!
                          Sì, finger non giova.
Io tant’empio! A qual fin l’empia congiura? (A Massimiano)
Dove l’iniqua trama a te proposi? (A Leone)
Un colpo così vil quando tentai? (A Costantino)
Quando? Tu lo scrivesti e non lo sai?
A qual fin? Per rapire a lui l’impero.
di Fausta, ch’il discolpa, ei non stringea.
E tu, signor, per me, per te punisci
la perfidia ad un tempo e l’impostura.
                                            (Ahi! Qual cordoglio).
Di Leon che ti accusa è prova il foglio.
                                           Sì, ma innocente.
mi fosse la tua fé ma perch’io volli
confonder quell’iniquo, a lui sul volto
                                                  Signore... (A Costantino)
Il tuo giudice è quegli. Esso ti ascolti.
                 Vo’ ancor udirla. (A Costantino) . A che mi chiami?
Padre, stancar tu vuoi col tuo furore (In disparte a Massimiano)
la mia virtù, la mia pietà. Se parlo,
                             Il so, fosti sedotta (Alzando la voce)
dal suo affetto e dal mio forse il perdono.
(Anche dal genitor tradita io sono).
già l’addita men rea. Mora l’indegno,
che l’ha sedotta, e tornerà innocente.
Io tel confesso, o Massimiano. In lei
sinora odiar non so che la sua colpa.
se qual me la prometti a me la rendi.
Tale l’avrai. Qui non udirla e mostra
per terror del suo fallo ira più forte.
Solo al tuo braccio, o Massimian, mi affido;
veglia per me. Tu me difendi; e salva
con la pena degli empi il viver mio.
Se non credi a l’amor, deh! credi al zelo
di me tua sposa. Il rischio tuo sapesti;
ma il nemico non sai. Temilo in tutti.
Veglia tu stesso in tua salvezza attento;
e cauto in ogni destra, in ogni core
sospetta il traditore e ’l tradimento.
La tua perfidia è il mio maggior spavento.
                                  E Fausta il padre accusa
ma solo a Massimian. Signor, potrai,
strascinar gl’innocenti a la tua pena?
No no, signor. Dacché tu rea mi fai,
non son più augusta. Un atto illustre imploro
di tua virtù. Togli Licinio al rischio.
o ingrata figlia o infida sposa io sia.
Fausta, vivrà Licinio e tu con esso;
il prezzo è tal. Di Costantin la morte.
Ahi! Di mio sposo a me lo salvi il nome.
Quel di cesare mio troppo il condanna.
Morto lo voglio. In questa notte, in questa
                                 E padre tuo son io.
Lo so, signor, lo so; ma queste amare
lagrime del mio cor potran ben tanto...
Voglio il sangue di lui, non il tuo pianto.
No, non l’avrai. Già dal tuo petto al mio
passan le furie. A Costantino io stessa
ti accuserò. Mi scorderò qual nacqui
per serbarmi qual sono. Empia mi vuoi?
anzi che moglie rea, figlia crudele.
Va’, cieca donna, va’. Non crede augusto
e ’l poter ch’ei mi presta. Ecco sicura
quella, che tu detesti, illustre idea.
morrà Licinio. Alma sì cruda avrai?
Morrà Licinio; e tu con lui morrai.
Misera, che far deggio? I tuoi furori...
Non più. Questa è la legge. O taci o mori.
il giudice e ’l nemico aver dovria,
del nemico ha il favor. Libero il vidi.
Il vidi; e in questa notte alle tue stanze
L’ingresso! (Ahi sposo! Ahi padre!) E ’l promettesti?
Per tradir, se ti giova, il traditore.
Si minaccia in quell’ore il sen d’augusto.
il tempo, il loco, il braccio, ond’è tradito.
Teco sarò a l’accusa. Io teco a l’empio
Andiam. Non soffre indugi un mal estremo.
di Costantino. Un reo più forte io veggio.
                                      Tradir nol deggio.
Tanto mai non osò quell’infelice.
Eh! Dillo. Egli è Licinio. In me confida.
Salvo ei sarà. Fausta l’imponga. Emilia
Parla. È tua questa man, tuo questo core.
non perché reo, perché innocente; ed io,
Se il colpevole accuso, iniqua sono;
son rea se il taccio. Inique stelle, avete
è una furia al mio core. Ogni dovere
fassi mio tradimento. Ogni mio scampo
ma tu, barbaro ciel, voi, stelle ingrate,
Tutto a Fausta degg’io. Le sue sventure
voglion la mia pietà. Non basta. A lei
cresci né ti spaventi il sesso mio.
Sei grande assai per non temer la sorte;
e a me basta il mio cor per esser forte.
d’Amore e d’Imeneo, per voi risplenda...
(Se vien Leon... Se il padre viene...) Augusto...
             Deh! Tosto parti; io te ne priego.
Tant’odioso a Fausta è ’l mio sembiante?
No, ma il vederti adesso è mio spavento.
(Mi teme irato). Orsù, fa’ cuor; pentita
Licinio udisti. Ei ti fe’ rea. Tu stessa
contro il tuo seduttor, chiedi al mio braccio
ira e vendetta. Ancor tuo sposo io sono.
Parli il tuo pentimento e ti perdono.
Per Licinio e per me parlin gli dei.
Or mi cale di te. Deh! Fuggi il rischio.
Qual rischio? Il tradimento ha i ceppi al piede.
Non son tutti in Licinio i traditori.
Parti, signor. Se poi la rea che credi
in me vedrai, questa che bacio adesso,
sia la destra temuta; e porga e vibri
l’acciar più crudo o ’l più mortal veleno.
Ancor ti credo e parto. (Intorno a lei
veglieran gli occhi altrui, se non i miei).
                                  Ahi! Qual cimento.
s’è traditor d’augusto, è mio nemico.
Corrò l’infame al varco; e co’ miei fidi,
              Sospiri, impallidisci e taci?
Il tacer più non giova. Ecco il mio arcano.
                                        Chi?
                                                    Massimiano.
qui vuol morto il mio sposo; e vuol ch’io sia
                                         O fellonia!
No, l’insidia a lui dissi e tacqui il reo.
Giova però ch’il padre in quelle stanze
posar lo creda, onde nol cerchi altrove.
Lo crederà. Tu il passo a lui contendi.
Tu l’affretta al partir. Di’ che a quel colpo
è bastante Leon. Lo strale è al segno,
se resta solo in mio poter l’indegno.
In lui rispetterò Fausta sua figlia.
Dolce per te mi fora anche la morte.
Vieni, mia speme, eterno amor ti giuro. (Fausta ed Emilia si abbracciano)
Ti risponde il mio core in questo amplesso.
Per te di nobil zelo arder mi sento.
(O viltade! O perfidia! O tradimento!)
per te d’un traditor, doppia vendetta. (Entra nel gabinetto)
Vieni; Fausta ci attende. Inosservato,
qui vidi entrar senza custodi augusto.
                                          Dorme il mio sposo.
Licinio è sposo tuo. Sieguimi, o prode.
                                     Trattienti, ei mora.
Mora, poiché tu ’l vuoi; ma il colpo almeno
torno alla mia virtù? Se dal riposo
sveglio il marito? Se i custodi affretto?
S’io mi pongo al suo fianco e lo difendo?
                                    Ei non morrà per questo?
Morrà ma voi con esso; e tu spietato,
al sen di Costantin giugner vorrai, (Va verso la porta del gabinetto)
Non s’irriti il suo duolo. Abbia l’onore
Massimian del comando, io quel del colpo.
Vedi la mia bontà. (A Fausta) Vanne tu solo
per l’opra illustre. Al tuo valor l’affido.
chi toglie i ceppi? A questo solo prezzo
                         Leon, nella gran piazza
Vado a Licinio. Addio. Tu più costante
riffletti al genitor, pensa all’amante.
Più lieta, o Fausta. Il gran momento è questo
                           Va’, traditor, va’ dove
un sacrilego ardir ti affretta e chiama.
Eh! Non lagnarti. Or or dal tuo tiranno
e da’ sospetti suoi libera sei. (Entra nel gabinetto)
Voi sapete i miei voti, o stelle, o dei.
Si guardin quelle soglie. (Le guardie custodiscono la porta del gabinetto)
                                               Amato sposo.
Evvi altro rischio? Ancor partir degg’io?
Tutto ancor non è spento il tuo periglio.
                                   Con quella fede
che tace il reo, tutte l’insidie espongo.
Tutta? Menti, alma vil. De la mia vita
non quella del mio onor. Col reo tacesti
gli amplessi disonesti, o donna ingrata;
tacesti, o scellerata, i baci infami.
         Negarlo potrai di Flavia agli occhi?
Non bastava Licinio? Un reo peggiore,
un più vile fellon cerchi in Albino?
                                    E là si chiude.
                                                                È vero;
                             Non più. Qui la sua pena, (Parte una guardia)
la rea, che in te ritrovo, in te condanno.
Risolvi. Nel tuo labbro o nel tuo seno (Torna la guardia e porta uno stilo ed il veleno)
la punisca quel ferro o quel veleno.
A noi si tragga il traditore infame. (Le guardie entrano nel gabinetto)
che a me, perfida moglie ed impudica,
sia nella pena a me compagno ancora.
Ecco il fellon. Morir ti vegga e mora.
                           Albin, noi siam traditi. È noto
                             Noti gli amplessi e i baci.
Flavia ci accusa, ci condanna augusto;
e quel tosco e quel ferro è nostra pena.
Il suo amor per Albino è tanta colpa?
                                      Ch’io tal non sono.
La mia gloria, il mio nome, il sesso mio.
                            Emilia e non Albin son io.
                                       Attendi e lo saprai. (Va verso il gabinetto)
Questa è la mia perfidia. (A Costantino)
                                                (Io mi confondo).
                                     Barbari numi!
Leon, qual io mi sia mi chiede augusto.
vergine illustre, a cui Leone in Roma...
Giurò bugiardo amor, che per punirti
mentì col nome il sesso e che in Marsiglia
                                     (O traditore!)
Chiedilo al mio destin, non al mio labbro.
Ciò che disse l’iniquo a te palesa,
che tradirti io non so. Ciò ch’egli tace,
traditor te lo mostra. Egli qui venne
                                        (Empio consiglio!)
Quest’era il tuo periglio e ’l mio timore.
(O cara sposa!) Onde a te noto il colpo?
Esso è ’l fellone, esso è l’autor dell’opra.
E tu, lui prigionier, l’opra compisci?
Sì, Costantin. Morto ti volli. Il colpo
tentai con fasto e mi svanì con pena.
Ah" Fausta, il traditor, che tu nascondi,
                                          Egli è mio padre.
Per quel crudele ogni pietade esiglia.
                                             Io son sua figlia.
Da tutti. Assai ti dissi. Ogni momento
veggano i tuoi vassalli; e la tua vista
sia de’ giusti e de’ rei gioia e spavento.
Vadasi. Emilia, a te degg’io la vita.
A te, vile assassin, debbo la morte.
tu sarai più tiranno ed io più forte.
Custodite l’iniquo. Assolvi, o Fausta,
me da’ sospetti miei. T’offesi. Or certo
de la tua fede e del tuo amore io sono.
Se innocente mi credi, io ti perdono.
                                Va’. Trionfa. Godi.
In me col braccio mio punisce il cielo
l’empio impostore e l’assassin d’augusto.
men d’una scure. Va’; ma se il sottrarti
al colpo vergognoso ancor t’è caro,
vedi, quello è un velen, quello un acciaro.
                                      Io tua? Serba la fede
                                         Ov’è il tuo amore?
Ove il soglio promesso a le mie piante?
Tuo voto e cenno tuo fu il mio delitto.
Come? Rea farmi vuoi de la tua colpa?
                                          In Costantino
il mio cesare io veggo e ’l mio germano.
                            Qui t’apre il ciel due strade,
onde uscir da l’infamia. Empio vivesti;
Prevenga il tuo furor l’ire d’augusto.
Costantin vive e regna. Ah! Non si pera
per suo comando; e a lui si tolga almeno
Con questo ferro... No, su le mie piaghe (Prende lo stilo e lo getta)
Si mora ma con fasto; e sia mia gloria
né rimorso né duol né pentimento. (Lo beve)
Massimian, mio nemico e mio impostore,
Scordati gli odi tuoi. Per farti lieto
ti finsi reo. Vieni a salvar l’impero.
Andiam. Tu con l’esempio amore e fede
sveglia ne’ tuoi. Tu pria di tutti al trono
il tuo cesare acclama; e quello io sono.
                                     Morto è ’l tiranno.
Leon l’uccise; e piacque a Fausta un colpo
                                          Menti. Sì vile
Fausta non è; né sì fellon son io.
del mio estinto signor rendimi conto. (Gli va contro con la spada ignuda)
           (Numi! Che veggio?)
                                                    (Io son perduto).
                                   Quel traditore
trasser da la prigion l’armi rubelle;
e volea qui la mia, poi la tua morte.
ne tentai. Tu giugnesti. In mia discolpa
di Massimian seguaci e non già miei.
                 Che sarà?
                                      Che ascolto, o dei?
del colpo che mancò, perdo anche il zelo
L’impero e ’l capo tuo fu voto mio.
non tel confesso. Il traditor son io.
Intendo. A te, sua figlia, io l’abbandono.
Questo è un dir ch’io l’assolvo o ch’io tel dono.
Dona, o iniquo, ed assolvi i tuoi vassalli,
non Massimian. De le mie colpe io stesso
che fora un tuo favor. Con quest’orgoglio,
che il viver con viltà lungi dal soglio. (Parte)
L’amor di Fausta ogn’altro premio eccede.
Licinio, in Flavia hai già la sposa e ’l trono.
                  La mia virtude e ’l suo riposo
Servo al cenno d’augusta. Ecco la fede.
La man mi stringi e m’incateni ’l core.
E così ha pace il mio geloso amore.

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