Non più. Così risolvo. Oggi in Clearco,
è pubblica salvezza, è mio riposo,
abbia Tiro un regnante, Elisa un sposo.
L’abbia ma un breve indugio...
fu senza capo. Or l’ha in Astarto.
sogna fama bugiarda e cieco sdegno
l’aure a la vita e le ragioni al regno.
Un nome vano è tuo terror.
ei dà pretesto a l’armi. Un re, ch’io scelga,
rompe le trame ed in Clearco io ’l voglio.
(Misero cor, sposa tu perdi e soglio).
Temo ne’ tuoi favori il suo periglio.
Sposo di Elisa e possessor del trono,
mille rivali avrà, mille nemici.
Gli avrà ma suoi vassalli. Invan contrasti.
Abbia l’amor di Elisa e quel gli basti.
Regina eccelsa, il vincitor Clearco
riede a’ tuoi lidi. Empiono l’aure amiche
le trionfanti vele; e intorno al fianco
o sola o prima ad afferrar la sponda.
Il duolo affrena e soffri. (Piano ad Agenore)
Venga, Geronzio, il sommo duce; e primo
col lieto avviso. Ei gli dirà qual merto
lo porti al trono e per qual man lo innalzi.
la sua grandezza, i doni tuoi; ma insieme
a lui dirò che ambizion nol tragga
le sue ruine ad accettar, che al fasto
ponga confin, moderi i voti e sappia
ben ravvisar la donatrice e ’l dono.
Ma non parla il buon padre. Eh! Ti sfavilli
men guardingo dagli occhi il cor festoso.
(Non mai tuo sposo). (Parte)
Agenore, si applauda e si rispetti.
Rispettare un rival? Può consigliarlo
non quel di Elisa. Altri pensieri io volgo.
su l’amor di Sidonia, a te germana.
Nino, l’avrai, bel guiderdon di fede.
E di tenero amor dolce mercede.
la fama sia, vive di Astarto il nome
ne ha tema e pena. Offre, minaccia, ascolta
Grandezza e gelosia van sempre unite.
Ma in che ti serve il suo timor?
finsi un foglio a Clearco, ove di Elisa
si decreta l’eccidio. A’ piè vi è scritto
di Astarto il nome e regio impronto il chiude;
l’avrà ben tosto la regina; e in lei
spenti gli affetti, accenderà lo sdegno.
non vil frutto trarrò da la mia frode.
Reo, che al giudice piace, è già innocente.
Cesserà di piacer, s’è traditore.
ragion di stato a tirannia di amore.
(Gioite, o mie speranze... Ecco la bella).
Ben mi arride il destin...
A quella fronte, onde il real diadema
di vassallo rispetto i primi omaggi.
A quella man nata agli scettri,
il destino de’ popoli e de’ regni,
ossequioso labbro i primi voti
reca del fausto impero e i primi baci
de l’umile servaggio in essa imprime.
(Resto confuso). In me tu vedi ancora
Egli è ’l mio re. Lo aspetta il trono.
(Anch’io lo so). Tu quel non sei? Si asconde
la tua sorte a Sidonia? Hai forse tema
ch’io vegga con dolor le tue fortune?
Che far si può? Cedo al destin. Sidonia
non piagne con invidia il ben di Elisa
un amore infedele al suo regnante.
(Godi, o mio cor. Beltà gelosa è amante).
È però ver ch’io mi aspettava almeno
qualche discolpa udir di Nino infido.
(Di sue lusinghe io rido).
Sol vorrei che talor dal seggio augusto
se non amante, almen pietoso un guardo.
Lo mertan queste luci, onde si accese
Lo merta questo labbro e questo seno
che tua gloria chiamasti e tuo conforto.
Lo merta... Ah! Dove andate, o voti miei?
Quella che fui per Nino ancor son io.
Quel che fosti per me, tu più non sei.
Io diverso da me? Perché? Rispondi.
Io spergiuro a quel volto esser potea?
Semplicetta che sono! Io mel credea.
No, mia delizia. Al sol Clearco è data
E un rifiuto di Elisa in te mi porti?
Rifiuto non soffrì chi non pretese.
Si concorre ad un ben senza bramarlo?
ma l’amistà di Agenore e ’l tuo amore
fece che in me fosse innocente il core.
La sventura di lui non è mia colpa.
Potria la sua grandezza esser tuo merto.
Va’, pende da la sua la tua speranza.
Sempre ha ingegno l’amor. Dissi abbastanza.
Intendo. E qual mercede a me prometti?
Qual mercede prometto? Ancor nol sai?
Brami di più? Tu mio sarai.
Chi ben ama ben finge; e chi ben finge
si fa strada al piacer. Nino deluso
servir pensa al suo affetto e serve al mio.
La sorella di Agenore in me trova,
l’amante di Clearco in me non vede;
la mia speme lusingo e la mia fede.
son la base fatal di tue ruine.
ti si tramano insidie. Intera fede
non sia amor, non sia fasto il tuo consiglio.
Ad un padre che parla e ad un tal padre
tutti impegna Clearco i suoi rispetti.
pria di abborrir dono che uccide. Il tosco
offerto in tazza d’oro è ancor letale.
Giuro. Ma Elisa... (Il cor sta in pena).
ti vuole... Ah! Senza orror dirlo non oso.
Padre, io sposo di Elisa!
ti fann’ira e spavento. Il cor ti leggo
per tirannico cenno a te ne reco
l’infausto avviso... Ove, o Clearco.
è ’l magnanimo cor di un atto illustre.
Vanne e col gran rifiuto un nuovo lume
non è facil rifiuto a saggio amante.
(Me sventurato). Ascolta.
gratitudine e amor. Troppo le deggio.
Meno forse le dei di quel che pensi.
Che più dar può dopo sé stessa e ’l regno?
Non prevalga a la gloria un cieco amore.
non v’ha che l’imeneo di una regina.
colpevole, tiranna, empia, odiosa,
che de’ nostri monarchi entro le vene
colorì ’l manto e che sul trono asceso
che i domestici esempi e i suoi delitti.
non ha che il suo natal. Sicheo suo padre
fu che uccise Abdastarto. Ella è innocente.
La figlia di un tiranno è sempre rea,
al disonor ti tragga e a la ruina.
Non tragge al disonor man di regina.
Qualunque siasi il mio destino, amici,
vi ricevo e vi abbraccio.
ha tutto il suo piacer nel suo servaggio.
E di un tal re l’alma si pregia e gode.
Maschera del livor, figlio, è la lode.
Donna real, de’ perfidi Fenici
da quel destin che ti vuol lieta e grande,
Vincesti, il so; qui a noi precorse
e al degno oprar degna mercede scelta.
l’onor ne intesi. In bacio umil concedi...
sì grati uffici. Un tuo consiglio or chiedo.
E qual deggio lo avrai fido e sincero.
(Andò lo strale al segno).
(Più che di amor, que’ lumi ardon di sdegno).
vedresti un disleal che de’ miei doni
empio abusò, sino a voler tradirmi?
Chi ad Elisa poté mancar di fede
non attenda da me ch’odio ed orrore.
Ma qual pena imporresti al traditore?
Complice è de l’error chi nol condanna.
Lodo il consiglio e in testimon di assenso
è di pena per lui, non di discolpa.
Mi è legge il cenno. Ecco l’acciar.
di carcere la reggia. A voi, miei fidi,
consegno il reo, te al tuo rimorso.
in che, dimmi, ti offesi? In che peccai?
non son io di miseria e di dolore?
Chi ad Elisa poté mancar di fede
non attenda da me ch’odio ed orrore. (Parte)
Sempre s’insulta a l’infelice. Io Nino
spero più giusto in sorte sì tiranna.
Complice è de l’error chi nol condanna. (Parte)
Fortuna mi ti diede e mi ti toglie.
Ma non mi tolga il genitor.
al tuo carcer ti affretta.
Ivi il soglio, ivi il letto a te destina;
né tragge al disonor man di regina.
ond’Elisa cadrà, più non si tardi.
stimoli aggiunga a l’opra.
che il tuo cenno a compirla.
vado a raccor; tu pur raccogli i tuoi;
e pria che giunga al nero occaso il giorno,
disporremo a le insidie il tempo e i mezzi.
la tua regina e la tua fede... Ah! Taci.
non è la tua regina; e la tua fede
ad Astarto tu devi, il regio erede.
vuol la grand’opra in pari onor divisa.
Sì, per noi regni Astarto e pera Elisa.
o si plachi o si mora. In voi depongo,
fide note di amor, l’anima mia). (Clearco scrive)
che può Elisa tradir, non è suo amante;
e s’ei non ama Elisa, a questo volto
sarà facil trionfo un cor disciolto).
(Io perfido? Io sleale? Amor, tu ’l sai).
(La sfera del mio foco arde in que’ rai).
non inutile giugne al mio pensiero).
(Tacendo io peno e non tacendo io spero).
Qual bontà, o principessa? A reo infelice
Negli acerbi tuoi casi ho tutto il senso;
ma più di quel ch’esprimo, è quel ch’io penso.
La tua bella pietà mi fa coraggio;
e ’l timor di abusarne...
(Egli ama; e s’io son quella, o me felice!)
Su questo foglio (Sidonia prende la lettera e la guarda)
che sul mio labbro ei tanto cor non ha.
avido corre il guardo e nol ravvisa.
Più nol tacer. Dimmi, chi adori?
hai pietà del mio duol, dalle in quel foglio
un testimon di mia innocenza e dille
che reo de l’ira sua languisco e moro
ma che sono innocente e che l’adoro.
(Mie deluse speranze!) Io questo foglio
darò ad Elisa? Io le dirò che l’ami?
E che? Di tua pietà già se’ pentita?
Vien la regina; e da te stesso or puoi
dir tua ragion, giustificar tua fede.
Dille il tuo amor ma non parlar del foglio.
al suo giudice solo il reo favelli.
Intendo il cenno e ad ubbidir mi accingo.
(La mia speranza in questo foglio io stringo). (Si ritira)
la tua sciagura e la vendetta mia.
Che fia? Le ziffre ignota mano impresse.
Ma ignoto non ti fia di Astarto il nome.
Di Astarto? Io potrei forse?...
il regno avrem. Tu la Fenicia, io Tiro.
Tu hai la mia fede ed io la tua». La mia?
che per te cada in mia possanza Elisa.
Tanto giurasti a me. Tanto a te chiede
Tu impallidisci e taci e ti confondi?
O inganno! O scelleraggine!
sì immatura abortir. Più ti addolora
del commesso delitto il non commesso.
Su, parla; e fa’ ch’io vegga in quel pallore,
se non la tua innocenza, il tuo dolore.
perché s’abbia a pentir, rea non si sente.
Sa d’esser innocente; o d’altro errore
fosse sol la tua colpa. Io l’amerei
né accusarti saprei senza rimorso.
ahi duol! se anch’io ti amai. Ma quando vedi
te mio re, te mio sposo acclamo e scelgo,
quando a me non riman che più donarti,
a te che più bramar, co’ miei nemici
e divisa con lui la mia corona
a la perfidia tua che a l’amor mio.
Or di’ le tue discolpe. Ingrato, parla.
A che cercar discolpe, ove tu stessa
mi accusi e reo mi vuoi? Temo scolparmi
per timor di spiacerti o di accusarti.
il mostrarmi innocente è un dirti ingiusta.
Amerò l’error mio ch’è tua discolpa.
Innocente ti voglio; altro non bramo.
(Ma sia innocente o reo, sento che l’amo).
Tutte de’ miei nemici in questo foglio
riconosci le insidie. Essi l’han finto,
dacché tu m’innalzasti. E avran più fede
quest’empie note dal livore impresse
che l’opre mie, che le mie piaghe istesse?
i tuoi nemici, i tuoi ribelli ho domi,
a te sarò nemico? A te rubello?
E ’l sarò alor che più mi onori ed ami?
sensi sì ingiusti, alma sì vil? Ma dove
i mezzi sono? I complici? Ombra ignota,
questo Astarto dov’è? Come piacermi
meritato con gloria? Ah! Sol mi accusi
che non sai quant’io t’ami, o mio bel nume.
t’amo e tu scorgi il più fedel vassallo
de l’innocenza mia. Che se da questo
spento è ’l furor. Dove l’amore è forte,
e reo che sa piacer, sempre è innocente.
sien del perdono e de l’amor le prove.
l’illustre acciar. Tu a l’imeneo reale
le pompe affretta. Oggi sarai mio sposo.
che doni al tuo piacer, rubi al mio bene.
come potea covar vil tradimento?
e sì cara e sì fida, or tutta intendi
Innocente è Clearco e pochi istanti
Oggi re lo avrà Tiro, io l’avrò sposo.
Qual turbamento, amica? E qual pallore?
Perdonami, regina... Entro del seno...
Non inteso dolor... Convien ch’io parta. (Mostra partire e si lascia cadere la lettera di Clearco)
il perduto vigor... Le cadde un foglio.
Sarà di amor, che a giovenil beltade,
come non manca amor, non manca amante.
rendimi il foglio e non l’aprir, se m’ami.
Il mal non è mai mal, sinch’egli è ignoto.
Siasi; ma leggerò. (Aprendola)
de la mia fiamma in onta e del mio soglio
il destin mi saria senza il tuo sdegno.
«Deh! Se giusta sei tu come sei bella,
pensa al mio amor, non condannarmi a torto.
La tua giusta pietà sia mio conforto».
Che? L’infedel t’ama cotanto? O dio!
Presaga del tuo duol, non tel diss’io?
Io quell’ingrato amar che può tradirti?
Tu ’l soffri; e questo foglio...
ma sol per suo rossore e per sua pena.
che a sì bella regina è tanto ingrato.
A l’amor mio perché celar l’arcano?
Le angosce rispettai di un cor tradito.
Tradito? E ’l crederò? Sì. Troppo è chiaro
in queste note il tradimento enorme.
or del primo fa fede; e scorgo omai
ne l’amante infedele il reo vassallo.
(Più bell’inganno ove s’intese mai?)
cada il mio ben dal soglio. Io lo tradisco
per troppa fé; ma, o dio! forse con esso
tradisco la mia speme. Esser crudele
colei che fu pietosa al reo vassallo.
Di Clearco in difesa amor mi chiama;
e gl’indugi non fa cor che ben ama.
(Simulerò, perch’ei mi lasci). E Nino
qui ferma i passi miei. Da me che brami?
Mi chiedi ancor che bramo? Il tuo bel volto
Sempre parla di amor chi è sempre amante.
(Finger mi giovi). Ascolta.
Non son crudel qual tu mi credi. In petto
sento anch’io le mie vampe. Anch’io sospiro
quanto può sospirar tenero core.
Quello che brami tu, bramo ancor io;
né minor del tuo foco è ’l foco mio.
(Me felice!) E fia ver che da que’ lumi?...
Infiammò di amor la face.
l’alma sul labbro e a Nino il giura. Eterne
saran le mie catene; e tanto piace
la cara prigionia che per uscirne
né saprei né vorrei trovarne il varco.
Sì, quel bel core intendo; ed è mia sorte
anch’esso intenda il favellar del mio.
Amici, Astarto vive, Astarto, il figlio
di chi già sovra noi, sovra di Tiro
Voi lo sapete. Il regnator suo padre
dal tiranno Sicheo cadde tradito.
passò ad Elisa in su la fronte, Elisa,
del fellone uccisore il sangue iniquo.
Fora impietà, non che viltà, sul trono
soffrirla ancor. Per noi si renda, o fidi,
al legittimo re la sua corona.
a la vostra virtù coraggio e fede.
Fede e coraggio avrem, Fenicio. Avremo
braccio a punir de l’altrui fallo Elisa,
zelo a ripor sovra il suo trono Astarto.
Ma questo Astarto, questo illustre erede
dov’è? Perché si asconde a l’amor nostro?
Pria compiscasi l’opra e poi si sveli.
Offendi col tacer la nostra fede.
Non si teme di voi ma de la sorte.
Se sicura è l’impresa, invan si teme.
Lo scoprirlo che giova innanzi al tempo?
Chi ci assicura poi che non sia frode?
Giove, ch’è qui presente, e ’l ciel che m’ode. (Ristrignendosi i rami delle palme, danno luogo alla vista di una grand’ara con la statua di Giove fulminatore e quelle d’altre deità)
del punitore acciar. L’ara si cinga;
e per mia bocca oda chi tutto intende,
impegno al zelo e sprone a l’ardimento,
anche del vostro core il giuramento. (Geronzio si accosta a l’ara, snudando la spada e facendo lo stesso gli altri congiurati)
già salì ’l voto e solo manca al colpo
il momento opportuno. Infin ch’ei giunga,
v’offro ne’ tetti miei fido soggiorno;
e tu in breve qui attendi ’l mio ritorno.
eccomi fuor di ceppi e più che mai
formidabile oggetto a’ miei nemici.
Vieni e unisci, signor, l’invitto brando
(Aimè! Per troppo zelo ove trascorsi?)
Più non giova il tacer. Tutti mi svela
i complici, l’autor, l’ordine, i mezzi.
Tu troppo udisti; io troppo dissi. Invano
Rispetta in me chi ancora
tuo giudice esser puote e tuo sovrano.
la costanza de l’alma emendi e taccia.
sarà pena la morte al nobil core.
da questo acciar. Sotto la scure infame
da’ tormenti più orribili e spietati.
Ad Elisa già corro. Ella in udirlo
de la fatal congiura apri la scena.
Per te sangue civile e sangue amico
del carnefice vil gemano tronche
le comuni speranze e i giusti voti
de’ mariti, de’ padri e de’ nipoti.
Ad ogni costo, amato padre, Elisa
merito alla tua fé, grido al tuo zelo.
concepì l’empie trame e qual le mosse.
Sì, me lo addita. Ov’è l’iniquo? L’empio
ad Elisa la vita, a me il suo trono.
Riconoscilo e trema. Io quello sono.
di vendicare il mio buon re trafitto,
de l’empia usurpatrice armo in ruina
il popolo e ’l Senato. Io quel che a l’ire
tolsi in Astarto il regal figlio e ’l solo
de la tiria corona illustre erede.
Perdi ’l tuo re, perdi gli amici, perdi
del cittadino sangue il miglior fiore.
Che più? Vattene e perdi il genitore.
Ma se non parlo, la regina io perdo.
la natura, l’amore e la ragione.
E tu resta a te stesso e siegui il giusto.
Se il dover ti consiglia, è tuo re Astarto.
Se l’amor ti fa forza, io ti son padre.
Addio. Prova sarà del tuo consiglio
s’abbia in te più poter l’amante o ’l figlio.
Fronda a due venti esposta, onda a due nembi
è meno combattuta, è men percossa.
ti tragge, ti rispigne. Ove salvarti,
temasi il più vicin. Dal rio periglio
Al padre poi sarà difesa il figlio.
ti presenti a’ miei lumi e la mia tenti
diventino per te lugubri faci.
Sì, traditor. Vattene e taci.
lontan da gli occhi miei, lontan da queste
troppo da’ tuoi malefici respiri
falso, spergiuro ed infedel mi fu.
Vattene, iniquo, e non parlarmi più.
(Cieli!) Il silenzio mio saria tuo rischio.
il piacer d’ingannarmi. Ah! Troppo ancora
m’hanno sedotto i tuoi perversi accenti.
non vo’ per mia discolpa.
finger potresti, ove convinto sei
dal testimon de le mie luci istesse?
da questo ciel tu vada e dal mio core.
Il peggior de’ nemici è ’l traditore.
(O dei! Chi udì giammai sciagura eguale?)
Ora il disubbidirti è per me fede.
E l’ascoltarti, iniquo, è per me pena.
Sì, che tu parta e non parlarmi più.
O d’invidia e di amor figlia perversa,
gelosia dispietata, e qual nel seno
e di gelo e d’incendio e di veleno?
non goda la rival. Perda Sidonia
la speranza del ben che a me s’invola.
ella non vegga più la mia sciagura;
l’altrui fasto, il suo inganno, i torti miei.
Eh! Di Clearco è troppo amante Elisa.
altro la maestà. Sinché rubello
amor, che ’l difendea, lo fe’ innocente.
e s’ella il lascia reo, suo re tu sei.
Senta il cielo i miei voti.
l’odio di Elisa. Essa infedel mi crede
e col suo core i doni suoi mi toglie.
(L’arte giovò). (Ad Agenore) De’ tuoi disastri ho pena. (A Clearco)
ma que’ di Elisa orror mi fanno.
E taci a la sovrana il suo periglio?
L’espormi al real ciglio è suo divieto.
Ecco de l’opra il frutto.
ch’ella chiama sleale, ingrato, infido,
dille che si minaccia in questa notte
la sua grandezza e ’l viver suo, che d’armi
e in un di foco empier dovrà la reggia
che di Astarto... Non più, l’indugio è colpa
Vanne e ’l mio amor da l’opra mia ravvisa.
Sugli occhi miei? (A Clearco)
No, regina, ei rimanga; e qui palesi
la congiura ben nota al suo rimorso.
dille che si minaccia in questa notte
la sua grandezza e ’l viver suo.
e in un di foco empier dovrà la reggia
(Il sospetto di lei fa ’l mio contento).
col suo cader, con la sua morte.
Ma dille ancor che del misfatto enorme
sei complice e ministro e che in Clearco
conosce Elisa il suo maggior nemico.
Ah! Lo dice il tuo volto e più del volto
il perfido tuo core a me lo dice.
(Ho pietà del suo duolo e pur mi giova).
Scuopra l’autor. (Ad Elisa)
Ignoto? Quel tu sei, se nol confessi.
chi tutto a lei non scuopre il suo periglio.
(In me pena l’amante e pena il figlio).
Regina, empie ed inonda il ferro e ’l foco
la reggia mal difesa. Ivi i nemici
e rea di tirannia, si cerca Elisa.
Resta. Chi del tumulto è legge e guida?
L’autor ti è ignoto ed è Fenicio? Or veggo
del tuo silenzio e le ragioni e l’arti.
E da l’onte la salvi il mio valore.
Non si affidan regine a un traditore.
ch’io vada contra il padre e che il mio ferro
provi contro di lui la gloria mia.
Finge zelo di gloria e cerca scampo. (Ad Elisa)
(Fra la tema e l’amor, gelo ed avvampo).
Per Fenicio qui resta. Io molto deggio,
Agenore, al tuo zelo. Uguale al merto
Sì, avrà mercede; (A Clearco)
per chi serba ad Elisa e vita e regno,
(Il suo stesso dolor serve al mio foco).
Vanne a Fenicio. Il contumace intenda (Ad Agenore, guardando di quando in quando Clearco)
ch’è in mio poter Clearco, io fuor di rischio.
Cadano a lui di man l’armi superbe
o di Clearco... (o dio!) in quest’ora, in questa
di Clearco al mio piè cada la testa.
abbia da gelosia). Va’, servi e spera.
Giura adesso che Astarto è nome ignoto
e ziffre de la frode i fogli suoi.
Che dir poss’io, se reo mi fan gli dei?
Menti. Un ingrato, un traditor tu sei.
Di certa reità scusa non s’ode. (Ad Elisa)
E de le pene sue fia la più giusta
Come! A te qui non venni?... (A Sidonia)
Non ti parlai?... (A Sidonia)
(Nel suo furor la gelosia si vede).
Di mia bontà mi pento. Al letto, al trono,
senti, sleal, sceglier saprò ben io
Regina... (Elisa non ascolta Clearco) Il ciel m’ascolti. Io son tradito.
Agenore, Sidonia, Nino, il padre,
tutti son mie sciagure e sembran tutti
miei falli e accuse mie. L’unico errore
è che tu la condanni. E pur Clearco
di sì enorme viltà reo non si sente;
e ’l suo povero cor supplice chiede
di poter dire al tuo ch’egli è innocente.
Sedotto è ’l tuo rigor da la clemenza.
E questa è cieca, ove la regga amore.
Vattene. Ingrato sei. Sei traditore.
Due delitti ha Clearco. Egli di Elisa
la vita insidiò, tradì l’amore;
Non abbia in te rival la tua regina.
lo gradirei di un traditor l’affetto?
Per la fé di Sidonia offro la mia.
a lei si tolga). E a Nino anch’io la giuro.
È l’amor mio quel volto, è la mia spene.
Nino è la gloria mia; Nino è ’l mio bene.
Amatevi e sperate. Il vostro amore
piace ad Elisa. Essa il farà contento.
Nel tuo favore il mio piacer già sento.
Alma, in amor di più bramar non puoi.
Ah! Potessi esser lieta al par di voi.
Pria che tu siegua, ascolta. A la tua fede
chieder deggio un favore. A me lo giura.
Lo giuro a la mia speme ed al tuo amore.
E quando ei non si offenda, anche al mio onore.
Come tuo traditor, tu mi odierai.
su quella man ch’è mia...
Nino, talor de la beltà sul labbro
la cortesia ragiona e pare affetto.
Un’amica pietà genio si crede.
Parla l’ingegno e par che parli il core.
Politica risponde e sembra amore.
non ti dicesti unita a’ voti miei?
E s’ella or fosse qui, tal mi direi.
Il tacer è ’l favor... Sarai costante?
Odi. Sidonia è d’altro volto amante.
Ferma. Il silenzio è del tuo onore un voto.
Promettesti il favor. Lo voglio e taci.
chi amar mi vuol? Gloria del sesso è questa.
D’infedeltà ti vanti e ti compiaci?
Promettesti il favor. Lo voglio e taci.
Tradirò col silenzio il mio dolore?
Se parli, t’odierò qual traditore.
(Legge crudel!) Dimmi chi adori almeno.
Mal si cerca il rival, quand’egli è caro.
Vedi quanto ti stimo. Io t’apro il varco
al più chiuso del core. Egli è Clearco.
(Stima funesta!) Un traditor ti piace?
Mi piace e ’l suo piacermi è sua discolpa.
Il condannar chi adoro è scortesia.
Ma l’amore di un vil viltà non chiami?
Per far ch’ei non sia vil, basta ch’io l’ami.
Io son perduto. Un gran favor si chiama
E disperar convien. Beltà, che vanta
altre piaghe, altre fiamme, altri legami,
vuol dir ch’ei più non viva o più non ami.
Costanza, amici. A’ giusti voti arride
propizio il cielo. Arda la reggia e seco
si perda Elisa. Al funeral di un’empia
rogo minore o men crudel non dessi.
Parte di voi porti l’eccidio altrove.
Astarto regni e ’l regno ei deggia a noi.
La grand’opra si adempia. Io son con voi.
Qual virtù? Qual giustizia? Elisa è salva.
Su dunque, ardito porta il foco e ’l ferro
fin sugli occhi di Elisa. Ivi vedrai
fra catene Clearco. (Geronzio ascolta in disparte)
Aspetta il suo destin. La legge è questa.
Vuol Elisa il tuo brando o la sua testa.
Chi è traditor di Elisa ha l’odio mio.
Cedi quel ferro e prigionier mi siegui
a’ lacci. (Col tradirlo io l’assicuro).
Perfido amico e cavalier spergiuro!
il capo di Clearco. Infame acciaro,
E ’l tuo furor l’uccide. (Mostra di partire)
Pensa, o fellon, che padre sei.
Se più fossi costante, empio sarei.
Cedo a l’amor, non a la tema. Andiamo.
Essa un fido vassallo in me condanna;
ed io detesto in lei la mia tiranna.
A chi ti dee punir, tanto nemico?
Spergiuro cavalier! Perfido amico!
Elisa salva e prigionier Clearco,
non mi resta a sperar che pena e morte.
dissipi e sciolga un tuo comando. Elisa,
che a te nemico, a sé leal mi crede,
ed ecco del mio inganno il primo frutto.
O illustre inganno! O dolce amico! O fido!
Perdona al mio timor, se concepire
Taci. Ecco Elisa. Io torno a l’ire.
(Udir mi giovi inosservata).
(Che nobil cor!) Geronzio, in te si onori
del sangue più fellon spruzzato e tinto.
È pietà con gl’iniqui esser crudele.
pria di espor quell’iniquo al mio sembiante.
miglior zelo imparar, ch’or non saresti
del mio offeso poter scopo infelice.
Ma tu cieco al dover, spergiuro, ingrato,
chieggo e rispetto. Hai preso l’armi. Hai mosse
quelle de’ miei. Plebe, Senato, amici,
tutto hai sedotto. Hai sin sedotto il figlio,
quel figlio, o dio! vedi perfidia! quello
ch’esser dovea mio sposo e mio signore.
Anch’egli, qual sei tu, sì, è un traditore.
Ma padre, figlio, complici, voi tutti,
tutti morrete. Un solo ferro, un solo
vite reciderà, sudditi infami.
Ira, che non si teme, è già impotente.
Eh! Non finger costanza. Il so. Paventi
qual regina offendesti. A te, a Clearco
in egual sorte il mio perdono imparto.
il tuo giudice vive e ’l mio sovrano?
Siasi; e tu a l’ire mie scuopri l’arcano.
quell’Astarto che temi. A me sol noto,
sappilo, in questa reggia. Ad ogni instante
e lo vedi e gli parli. Or va’. Su lui
temi ’l nemico tuo. Morrò contento,
purché meco non mora il tuo spavento.
Dacché giunsi a regnar, suddito ingrato,
Chi più del figlio tuo? Ma invano, invano
co’ rimproveri tento il cor ribello.
qual di noi vincerà. Tu quanto puoi
custodisci ’l segreto. Io quanto posso
userò per saperlo. Al gran cimento
venga col mio poter la tua baldanza.
Per non temerti ho fede ed ho costanza.
col tacermi costui ciò che non deve,
vuol la sua morte e vuol la tua. In Astarto
che il suddito fellon tace al sovrano,
l’amante genitor non taccia al figlio.
Seco ti lascio. Io tornerò ma in brieve;
ne la vostra perfidia ancor sarete,
sul mio capo vel giuro, ambi morrete.
Io ti perdo, io ti uccido, o parli o taccia.
Come! Sia noto Astarto e salvo io sono.
Quando noto egli fia, non se’ più salvo.
In Astarto sol vive il suo nemico.
E nel rischio di lui tema Clearco.
Qual favellar? Nulla comprendo, o padre.
e sinché nol comprendi, io ti son padre.
non ci abusiam. Dammi il tuo arcano in dono.
Salvami, o genitor. Tuo figlio io sono.
(Dura necessità!) Parlo e in udirmi
Amar la sua regina è sì gran colpa
No, ma in quel di Abdastarto amar Elisa
è ’l sommo de’ misfatti e de’ più rei.
Sì, di Abdastarto; e tu lo sei.
tolse al tuo genitor vita e corona,
io ti serbai che ancor vagivi in fasce.
Ti allevai qual mia prole e ’l ciel vi arrise,
mi avea rapito in pari etade un figlio.
Chi teco alor fu de l’inganno a parte?
chi non vuol che si sveli un grande arcano.
E a te si crederà che Astarto io sia?
Un che ricusa un figlio, e un sì gran figlio,
quando figlio il ricusa e re lo acquista.
Io re ti acquisterei col dirti Astarto?
in lui teme, in lui cerca il suo nemico?
E se fossi mio figlio e re ti amassi,
condannato in te avrei l’amor di Elisa?
A che in lei contrastar quel di Clearco?
riconosciti, Astarto. Odi il tuo sangue,
se al mio dir non dai fede. Odi il tuo onore.
che sanguinosa ancor, perché negletta,
di riposo ti priega e di vendetta.
Vendetta? E contro Elisa? Ah! Per pietade
sii mio padre, o Fenicio, e ’l sii per sempre.
Vergogna, Astarto, per un basso affetto
rinunziare al tuo sangue, a la tua gloria.
amar ne l’empia figlia il parricida.
né si lasci sedur da un vile amore
la tua ragion, la tua virtù, il tuo onore.
Ma che dirò di Astarto a la regina?
Prendi tempo, arte adopra e la lusinga.
non ti prenda timor. Fa’ ciò che dei.
Su l’orme del furor, perfidi, io torno;
tutto il sangue di Astarto, il vostro, il vostro
lo estinguerà. Parla, Clearco.
ma non tradir nel tuo signor te stesso.
tempra il furor. Mi è noto Astarto. Io deggio
a la pietà del genitor l’arcano.
tu lo dovrai. Donami sol che altrove
di palesarlo abbia la gloria e ’l merto.
non ben saprei. Troppo il suo duol pavento.
Ti si compiaccia, ingrato. Al dono assento.
resti a le sue catene e qui lo serbi
Geronzio al suo gastigo o al mio perdono.
Va’, non temer; sai quanto fido io sono.
l’opra di tua amistà. Più non s’indugi.
temo il rischio di Astarto. Ah! Si prevenga.
Prevengasi, o Fenicio. Al piè già tolgo
e l’arbitro ora sei de la tua sorte.
Chi fugge di sanar, pietà non merta.
Mi risani l’amor che mi ha tradito.
E chiami tradimento un disinganno?
Disinganno crudel, dopo le care
serve al diletto. Ei d’amar dice e ’l giura;
e giova il finto a mascherare il vero.
Amo quel che più piace agli occhi miei.
Amando lui, la tua regina offendi.
Come il saprà? Da chi? Da te? Rammenta
(Rimembranza spietata!) Io la rammento.
quegli affetti otterrò che indarno or chiedo?
Vuoi che da ver risponda? Io non lo credo.
Se mi manchi di fé, se ardire avrai
di dirle ch’io non t’amo e che non sei
Basta... Te ne avvedrai... Vo’ trarti il core.
Sieguo farfalla il lume; (Ad Elisa)
Clizia al mio sol m’aggiro, ape al mio fiore.
Non è così? Dillo, mio ben, mio nume. (A Nino)
che lontana da te non ho riposo,
giammai non concepì mente amorosa.
Ei non risponde. (A Sidonia)
È ’l soverchio piacer che lo confonde. (Ad Elisa)
di que’ nomi soavi, ond’io lo chiamo
caro ben, dolce ardor, luce gradita,
vezzo, gioia, speranza, anima, vita.
(E finger deggio?) Ella dicea così:
Per lui, mia fiamma e mia catena. (Ad Elisa)
Arde per te? (Sidonia minaccia Nino)
Dirti ch’ell’arda è poco.
la bellissima sfera, amati rai.
(Più fida amante io non intesi mai).
Non è mai pago (Ad Elisa)
ne l’indugio del bene un grande affetto.
che mi toglie a’ diletti, aspro e penoso.
E questo suo dolor sia tuo riposo.
(E Nino soffra e taccia).
Se più chiedi... (A Nino)
Non più. Nino è contento, (A Sidonia)
e contento per te che l’ami tanto.
sta per uscir su que’ begli occhi il pianto.
si piange ancor. Di’, non è vero? (A Nino)
qui si espresse il tuo amor.
prenda ancor da que’ lumi il dolce addio.
Quanto amante è Sidonia! E quanto è fida!
felicissimo affetto, alme costanti.
Siam felici del par, del pari amanti.
Se ne invoglia il mio cor. Qui di Clearco
la vista attendo. A me l’affretta e torna.
Tanto fedel Sidonia io non vorrei.
Che strano amor! Ma sugli affetti altrui
Troppo ti resta a ragionar su’ tuoi.
(Vederla e non amarla, o cor, non puoi).
Vieni, vieni, o Clearco, e rassicura
da speme, da timor, d’odio e d’affetto.
e rendimi il mio amante. Obblio già tutte
spergiuri, fellonie, tutto perdono;
e l’Elisa ch’io fui per te ancor sono.
Pende da la sua morte il mio riposo.
per prova di tua fé, con men di orrore.
Servasi, o mia regina, al tuo furore.
Ma svelarlo non basti. A’ piedi tuoi
questo temuto tuo rival superbo
tragasi domo. In mio poter lo serbo.
ch’io dovrò sì gran bene a man sì cara?
Sì, ma pria di un favor...
Libertà, genitor, grandezza, affetto,
tutto prometto. Abbilo in premio e in dono.
Che vuoi? Qual è ’l tuo voto?
E vi aggiungi anche il tuo amore.
Dimmi qual vuoi. Chiamami ingrato, iniquo.
scacciami dal tuo core; odiami; e resti
la memoria perduta e ’l nome spento;
ma sia Astarto tuo sposo e son contento.
Tu mi amasti? Tu mai? No, non è vero.
Amasti più di Elisa il suo nemico
e più de l’amor mio la mia ruina.
tu fai de la mia fede e ti compiaci
del mio furor. Clearco, anima mia...
non vuol Clearco; ei vuol vendette e sdegni.
Teco sol viva Astarto e teco regni.
Viverà. Regnerà. Sol per tua pena
la grazia avrai. Gli darò letto e trono.
Vuoi più? L’amerò ancor, se vuoi ch’io l’ami.
Io morirò; ma teco viva Astarto.
né impallidisce pur). Che più? Si adempia
il tuo voto ed il mio. Guidami il prence.
Prima si appresti a l’imeneo la reggia.
E per l’atrio real tu a me lo guida
ma solo e non veduto. In lui lo sguardo
si appaghi almen, pria che la man lo elegga
Ti piacerà quanto ti piacqui anch’io.
Più ’l tuo piacer non è ragion del mio.
E s’ei simile al mio spieghi ’l sembiante?
Non m’abbia sposa e non mi speri amante.
e s’ami un grande inciampo.
Per via de l’atrio, onde a la reggia vassi,
verrà fra poco a me Clearco; e solo
spiri sugli occhi tuoi l’anima iniqua.
Gelosia di comando il colpo impone.
E il comando sovrano è mia ragione.
Nascesti servo e ti fe’ schiavo amore.
Non più. Stringi l’acciar.
Ove scorgo il rivale, odio il nemico.
Un rivale maggior fia tuo spavento.
Pensa a le mie vittorie e di’ s’io temo.
Orsù, vinci anche Agenore. Che tardi?
d’una regina in sen corra Clearco.
Abbian tue gelosie più grande oggetto.
se meco vieni, ove e qual sia saprai.
(Sul german di Sidonia il mortal colpo?)
No, Clearco non fia sposo di Elisa.
(L’amore e l’amistà mi fan rubello).
Prence, rimanti. (Ad Agenore)
Perdona. Uopo maggior mi chiama altrove.
L’uopo maggior sia l’ubbidire Elisa.
L’indugio è colpa, ove reale è ’l cenno.
Lo so, che in sen di Elisa e nel suo trono
Clearco non vedrai. (Quel più non sono).
Or si vada ad Elisa. O dio! Che fo?
Deggio temer? Deggio sperar? Nol so.
Qui prevengo il mio ben. Qui vo’ che splenda
d’imeneo per Clearco oggi la face.
Ingrato e traditore ancor ti piace?
Ragion di sua innocenza è l’amor mio.
Ti amò ma si pentì. Cor che ben ama
facilmente perdona un’incostanza.
(Povero amor, tu sei senza speranza).
Ecco il premio de l’opra. A lui la destra
il suo merto, il tuo amor, la tua regina.
Non regna altri che Astarto.
Mal si difende una ragione ingiusta.
Anche Geronzio a me ribello?
Io non son che tiranna. Ei venga e regni.
Mi punisca chi è re, non chi è vassallo.
Ei venga e regni. Ov’è? Perché si asconde?
Così lo sostenete? A me si mostri.
Cercatelo; ma udite, il troverete
squarciato il sen da cento piaghe.
Ed il cenno mortal fu cenno mio.
Il grande arcano io seppi
da chi tu lo fidasti. Astarto è morto.
Questo è ’l re che vantate e ch’io non temo.
Morì Clearco, ah! non più tale. Astarto,
Iniqua, ami Clearco e Astarto uccidi?
qual frutto aver potrei da una menzogna?
A che vantar mio re chi è senza vita?
Perché negarmi padre a un figlio estinto?
Questo è duol di vassallo e non di padre;
il figlio di Abdastarto e non il mio.
(Che intesi mai! Ma chi sarà l’ucciso?)
(Peni l’ingrata). Era di Elisa il cenno.
E se vive il mio ben, nulla si tema.
vedi, Elisa, il mio amore. Amai Clearco
e, per amarlo sola, a te lo finsi,
col foglio che credesti a me diretto,
Ah piangi meco e piangi, o cruda,
e perché maggior pena in te si desti,
pensa che tu, crudel, tu l’uccidesti.
Più non si taccia. Odi, Fenicio...
con la rea del comando anche il ministro.
a noi fu di dolore, a lei di rischio.
Tal volli Astarto. Or che tu ’l sei, se lice,
Agenore trovai sol con Clearco.
Ah crudele! Ah fellon! Di’. L’uccidesti?
No, serbai la sua vita a quel bel volto.
L’infedeltà mi è cara. Io qui l’attendo.
La mercede prepara. Or or tel rendo. (A Sidonia e parte)
Elisa, ecco l’amante, ecco il nemico.
E perché adoro l’un, l’altro mi è caro.
e ciò che pria fu dono, or fia dovere.
E tu meco il godrai. Ceda il tuo zelo,
Sinché il padre io fingea, sai ciò ch’io dissi;
orché vassallo io sono, al re m’inchino.
In Astarto si perde il mio Clearco.
Pur sarai mio, dolce mio ben.
Che miro! (Agenore sopraggiugne con Nino)
Astarto e non Clearco in sen di Elisa.
Cedo al mio re l’amore e ’l fasto. Ei regni
e ’l mio fallo perdoni. Il foglio io finsi
che traditor di Elisa a lei ti espose.
Han le colpe di amor facil perdono.
Or la mia stella intendo. A te mi dono.
E fra gli amanti il più contento io sono.