Metrica: interrogazione
956 endecasillabi (recitativo) in Astarto (Zeno e Pariati) Venezia, Rossetti, 1708 
Non più. Così risolvo. Oggi in Clearco,
è pubblica salvezza, è mio riposo,
abbia Tiro un regnante, Elisa un sposo.
                                                          È un gran periglio.
fu senza capo. Or l’ha in Astarto.
                                                            Astarto
                                           E pure in lui
l’aure a la vita e le ragioni al regno.
                                                   Degli empi
ei dà pretesto a l’armi. Un re, ch’io scelga,
rompe le trame ed in Clearco io ’l voglio.
(Misero cor, sposa tu perdi e soglio).
Temo ne’ tuoi favori il suo periglio.
Sposo di Elisa e possessor del trono,
Gli avrà ma suoi vassalli. Invan contrasti.
Abbia l’amor di Elisa e quel gli basti.
riede a’ tuoi lidi. Empiono l’aure amiche
le trionfanti vele; e intorno al fianco
o sola o prima ad afferrar la sponda.
                               Il duolo affrena e soffri. (Piano ad Agenore)
Venga, Geronzio, il sommo duce; e primo
col lieto avviso. Ei gli dirà qual merto
lo porti al trono e per qual man lo innalzi.
la sua grandezza, i doni tuoi; ma insieme
le sue ruine ad accettar, che al fasto
ben ravvisar la donatrice e ’l dono.
Ma non parla il buon padre. Eh! Ti sfavilli
men guardingo dagli occhi il cor festoso.
                                       (Non mai tuo sposo). (Parte)
Rispettare un rival? Può consigliarlo
non quel di Elisa. Altri pensieri io volgo.
                                Te ne assicuro
su l’amor di Sidonia, a te germana.
Nino, l’avrai, bel guiderdon di fede.
ne ha tema e pena. Offre, minaccia, ascolta
Grandezza e gelosia van sempre unite.
                                                          Diretto
finsi un foglio a Clearco, ove di Elisa
si decreta l’eccidio. A’ piè vi è scritto
di Astarto il nome e regio impronto il chiude;
l’avrà ben tosto la regina; e in lei
spenti gli affetti, accenderà lo sdegno.
non vil frutto trarrò da la mia frode.
Reo, che al giudice piace, è già innocente.
Cesserà di piacer, s’è traditore.
(Gioite, o mie speranze... Ecco la bella).
                                               (Giovi schernirlo).
A quella fronte, onde il real diadema
                    A quella man nata agli scettri,
il destino de’ popoli e de’ regni,
reca del fausto impero e i primi baci
de l’umile servaggio in essa imprime.
(Resto confuso). In me tu vedi ancora
                        Egli è ’l mio re. Lo aspetta il trono.
                                   Eh! Quel non sono.
(Anch’io lo so). Tu quel non sei? Si asconde
la tua sorte a Sidonia? Hai forse tema
ch’io vegga con dolor le tue fortune?
Che far si può? Cedo al destin. Sidonia
non piagne con invidia il ben di Elisa
(Godi, o mio cor. Beltà gelosa è amante).
È però ver ch’io mi aspettava almeno
                               (Di sue lusinghe io rido).
Sol vorrei che talor dal seggio augusto
se non amante, almen pietoso un guardo.
che tua gloria chiamasti e tuo conforto.
Lo merta... Ah! Dove andate, o voti miei?
Quel che fosti per me, tu più non sei.
               Non la bramo.
                                           E sei suo sposo?
Io spergiuro a quel volto esser potea?
No, mia delizia. Al sol Clearco è data
                                  O Elisa ingrata!
ma l’amistà di Agenore e ’l tuo amore
fece che in me fosse innocente il core.
Potria la sua grandezza esser tuo merto.
Va’, pende da la sua la tua speranza.
Sempre ha ingegno l’amor. Dissi abbastanza.
Intendo. E qual mercede a me prometti?
                   Brami di più? Tu mio sarai.
Chi ben ama ben finge; e chi ben finge
servir pensa al suo affetto e serve al mio.
non sia amor, non sia fasto il tuo consiglio.
Ad un padre che parla e ad un tal padre
tutti impegna Clearco i suoi rispetti.
pria di abborrir dono che uccide. Il tosco
offerto in tazza d’oro è ancor letale.
Giuro. Ma Elisa... (Il cor sta in pena).
                                                                     Elisa
ti vuole... Ah! Senza orror dirlo non oso.
                                  Suo re ti vuole e sposo.
                                             Ah! L’empie nozze
ti fann’ira e spavento. Il cor ti leggo
                             E creder posso?
                                                            Io stesso
l’infausto avviso... Ove, o Clearco.
                                                              A’ piedi
                            Intendo. Impaziente
è ’l magnanimo cor di un atto illustre.
Vanne e col gran rifiuto un nuovo lume
                                    E che?
                                                   Beltà regnante
                                               A lei mi affretta
Che più dar può dopo sé stessa e ’l regno?
Non prevalga a la gloria un cieco amore.
non v’ha che l’imeneo di una regina.
che de’ nostri monarchi entro le vene
colorì ’l manto e che sul trono asceso
che i domestici esempi e i suoi delitti.
non ha che il suo natal. Sicheo suo padre
fu che uccise Abdastarto. Ella è innocente.
La figlia di un tiranno è sempre rea,
                              A la tua sorte io deggio
Qualunque siasi il mio destino, amici,
                                             Umil vassallo
ha tutto il suo piacer nel suo servaggio.
E di un tal re l’alma si pregia e gode.
Maschera del livor, figlio, è la lode.
da quel destin che ti vuol lieta e grande,
               Vincesti, il so; qui a noi precorse
e al degno oprar degna mercede scelta.
l’onor ne intesi. In bacio umil concedi...
sì grati uffici. Un tuo consiglio or chiedo.
E qual deggio lo avrai fido e sincero.
                                           (Oh menzognero!)
                                    (Andò lo strale al segno).
(Più che di amor, que’ lumi ardon di sdegno).
vedresti un disleal che de’ miei doni
non attenda da me ch’odio ed orrore.
Complice è de l’error chi nol condanna.
Lodo il consiglio e in testimon di assenso
                             Sì, disleal.
                                                  Qual colpa?...
Mi è legge il cenno. Ecco l’acciar.
                                                            Ti serva
di carcere la reggia. A voi, miei fidi,
                                                             Almeno
in che, dimmi, ti offesi? In che peccai?
non attenda da me ch’odio ed orrore. (Parte)
Sempre s’insulta a l’infelice. Io Nino
spero più giusto in sorte sì tiranna.
Complice è de l’error chi nol condanna. (Parte)
                                                  Clearco,
                                           Elisa, o dio!...
Ivi il soglio, ivi il letto a te destina;
ond’Elisa cadrà, più non si tardi.
                                                Altro non manca
                                                   Il fido stuolo
vado a raccor; tu pur raccogli i tuoi;
e pria che giunga al nero occaso il giorno,
                                    Ivi mi attendi; ed ivi
disporremo a le insidie il tempo e i mezzi.
la tua regina e la tua fede... Ah! Taci.
vuol la grand’opra in pari onor divisa.
Sì, per noi regni Astarto e pera Elisa.
o si plachi o si mora. In voi depongo,
fide note di amor, l’anima mia). (Clearco scrive)
che può Elisa tradir, non è suo amante;
e s’ei non ama Elisa, a questo volto
sarà facil trionfo un cor disciolto).
(Io perfido? Io sleale? Amor, tu ’l sai).
(La sfera del mio foco arde in que’ rai).
(Tacendo io peno e non tacendo io spero).
Qual bontà, o principessa? A reo infelice
Negli acerbi tuoi casi ho tutto il senso;
ma più di quel ch’esprimo, è quel ch’io penso.
                                            A me fa oltraggio.
                        (O sospiro).
                                                Io peno ed amo.
(Egli ama; e s’io son quella, o me felice!)
                     Amo.
                                  Ma chi?
                                                   Su questo foglio (Sidonia prende la lettera e la guarda)
che sul mio labbro ei tanto cor non ha.
                                                            Elisa.
hai pietà del mio duol, dalle in quel foglio
che reo de l’ira sua languisco e moro
ma che sono innocente e che l’adoro.
(Mie deluse speranze!) Io questo foglio
darò ad Elisa? Io le dirò che l’ami?
E che? Di tua pietà già se’ pentita?
Vien la regina; e da te stesso or puoi
Dille il tuo amor ma non parlar del foglio.
Intendo il cenno e ad ubbidir mi accingo.
(La mia speranza in questo foglio io stringo). (Si ritira)
Che fia? Le ziffre ignota mano impresse.
Ma ignoto non ti fia di Astarto il nome.
                                                      Eh! Tempo avranno
                                         (Io son confuso).
il regno avrem. Tu la Fenicia, io Tiro.
Tu hai la mia fede ed io la tua». La mia?
che per te cada in mia possanza Elisa.
Tanto giurasti a me. Tanto a te chiede
                                                    Rispondi.
sì immatura abortir. Più ti addolora
Su, parla; e fa’ ch’io vegga in quel pallore,
se non la tua innocenza, il tuo dolore.
perché s’abbia a pentir, rea non si sente.
Sa d’esser innocente; o d’altro errore
ahi duol! se anch’io ti amai. Ma quando vedi
te mio re, te mio sposo acclamo e scelgo,
quando a me non riman che più donarti,
a te che più bramar, co’ miei nemici
Or di’ le tue discolpe. Ingrato, parla.
mi accusi e reo mi vuoi? Temo scolparmi
per timor di spiacerti o di accusarti.
il mostrarmi innocente è un dirti ingiusta.
Amerò l’error mio ch’è tua discolpa.
(Ma sia innocente o reo, sento che l’amo).
Tutte de’ miei nemici in questo foglio
riconosci le insidie. Essi l’han finto,
dacché tu m’innalzasti. E avran più fede
quest’empie note dal livore impresse
che l’opre mie, che le mie piaghe istesse?
i tuoi nemici, i tuoi ribelli ho domi,
E ’l sarò alor che più mi onori ed ami?
sensi sì ingiusti, alma sì vil? Ma dove
i mezzi sono? I complici? Ombra ignota,
questo Astarto dov’è? Come piacermi
meritato con gloria? Ah! Sol mi accusi
che non sai quant’io t’ami, o mio bel nume.
t’amo e tu scorgi il più fedel vassallo
de l’innocenza mia. Che se da questo
                           Basta, Clearco, basta.
spento è ’l furor. Dove l’amore è forte,
e reo che sa piacer, sempre è innocente.
sien del perdono e de l’amor le prove.
l’illustre acciar. Tu a l’imeneo reale
le pompe affretta. Oggi sarai mio sposo.
che doni al tuo piacer, rubi al mio bene.
                                        Teco il mio viene.
                              Tu, che mi fosti ognora
e sì cara e sì fida, or tutta intendi
                            Che fia, regina?
Oggi re lo avrà Tiro, io l’avrò sposo.
Qual turbamento, amica? E qual pallore?
Perdonami, regina... Entro del seno...
Non inteso dolor... Convien ch’io parta. (Mostra partire e si lascia cadere la lettera di Clearco)
il perduto vigor... Le cadde un foglio.
Sarà di amor, che a giovenil beltade,
come non manca amor, non manca amante.
rendimi il foglio e non l’aprir, se m’ami.
                             Ti pentirai, se leggi.
Il mal non è mai mal, sinch’egli è ignoto.
                                    (Questo è ’l mio voto).
de la mia fiamma in onta e del mio soglio
                                    Tel dica il foglio.
il destin mi saria senza il tuo sdegno.
                                 Così Clearco.
«Deh! Se giusta sei tu come sei bella,
pensa al mio amor, non condannarmi a torto.
La tua giusta pietà sia mio conforto».
Che? L’infedel t’ama cotanto? O dio!
Presaga del tuo duol, non tel diss’io?
Io quell’ingrato amar che può tradirti?
                                                    È vero; il serbo
ma sol per suo rossore e per sua pena.
                                   A rinfacciar l’iniquo
che a sì bella regina è tanto ingrato.
A l’amor mio perché celar l’arcano?
Le angosce rispettai di un cor tradito.
Tradito? E ’l crederò? Sì. Troppo è chiaro
ne l’amante infedele il reo vassallo.
(Più bell’inganno ove s’intese mai?)
cada il mio ben dal soglio. Io lo tradisco
per troppa fé; ma, o dio! forse con esso
(Simulerò, perch’ei mi lasci). E Nino
qui ferma i passi miei. Da me che brami?
Mi chiedi ancor che bramo? Il tuo bel volto
                               Io lo sapea. Di amore
Sempre parla di amor chi è sempre amante.
                                     (Finger mi giovi). Ascolta.
Non son crudel qual tu mi credi. In petto
sento anch’io le mie vampe. Anch’io sospiro
né minor del tuo foco è ’l foco mio.
(Me felice!) E fia ver che da que’ lumi?...
                                  Infiammò di amor la face.
                                       Amor ferì con l’arco.
                                               (Ma per Clearco).
                                   A Nino il dice
l’alma sul labbro e a Nino il giura. Eterne
né saprei né vorrei trovarne il varco.
                             (O destin!)
                                                    (Ma il mio Clearco).
Sì, quel bel core intendo; ed è mia sorte
anch’esso intenda il favellar del mio.
Amici, Astarto vive, Astarto, il figlio
passò ad Elisa in su la fronte, Elisa,
del fellone uccisore il sangue iniquo.
Fora impietà, non che viltà, sul trono
soffrirla ancor. Per noi si renda, o fidi,
Fede e coraggio avrem, Fenicio. Avremo
braccio a punir de l’altrui fallo Elisa,
zelo a ripor sovra il suo trono Astarto.
Ma questo Astarto, questo illustre erede
dov’è? Perché si asconde a l’amor nostro?
Pria compiscasi l’opra e poi si sveli.
Se sicura è l’impresa, invan si teme.
Lo scoprirlo che giova innanzi al tempo?
Chi ci assicura poi che non sia frode?
Giove, ch’è qui presente, e ’l ciel che m’ode. (Ristrignendosi i rami delle palme, danno luogo alla vista di una grand’ara con la statua di Giove fulminatore e quelle d’altre deità)
del punitore acciar. L’ara si cinga;
e per mia bocca oda chi tutto intende,
impegno al zelo e sprone a l’ardimento,
anche del vostro core il giuramento. (Geronzio si accosta a l’ara, snudando la spada e facendo lo stesso gli altri congiurati)
già salì ’l voto e solo manca al colpo
il momento opportuno. Infin ch’ei giunga,
v’offro ne’ tetti miei fido soggiorno;
e tu in breve qui attendi ’l mio ritorno.
Vieni e unisci, signor, l’invitto brando
(Aimè! Per troppo zelo ove trascorsi?)
Più non giova il tacer. Tutti mi svela
i complici, l’autor, l’ordine, i mezzi.
Tu troppo udisti; io troppo dissi. Invano
                           Rispetta in me chi ancora
tuo giudice esser puote e tuo sovrano.
la costanza de l’alma emendi e taccia.
                                    D’incauto errore
da questo acciar. Sotto la scure infame
da’ tormenti più orribili e spietati.
                                       Fermati, o figlio.
de’ mariti, de’ padri e de’ nipoti.
                              E con l’arcano accresci
merito alla tua fé, grido al tuo zelo.
concepì l’empie trame e qual le mosse.
Sì, me lo addita. Ov’è l’iniquo? L’empio
de l’empia usurpatrice armo in ruina
il popolo e ’l Senato. Io quel che a l’ire
tolsi in Astarto il regal figlio e ’l solo
Perdi ’l tuo re, perdi gli amici, perdi
del cittadino sangue il miglior fiore.
Che più? Vattene e perdi il genitore.
                                  Taci, Geronzio, e lascia
E tu resta a te stesso e siegui il giusto.
Se il dover ti consiglia, è tuo re Astarto.
Se l’amor ti fa forza, io ti son padre.
s’abbia in te più poter l’amante o ’l figlio.
Fronda a due venti esposta, onda a due nembi
temasi il più vicin. Dal rio periglio
                             Mia regina, omai le tede
                                            Perfido, ancora
ti presenti a’ miei lumi e la mia tenti
                                      Degl’imenei sien tosto
                  Sì, traditor. Vattene e taci.
lontan da gli occhi miei, lontan da queste
(Cieli!) Il silenzio mio saria tuo rischio.
                              No, più non avrai
il piacer d’ingannarmi. Ah! Troppo ancora
m’hanno sedotto i tuoi perversi accenti.
                                               E qual discolpa
                                        Vuol che lontano
da questo ciel tu vada e dal mio core.
Il peggior de’ nemici è ’l traditore.
(O dei! Chi udì giammai sciagura eguale?)
E l’ascoltarti, iniquo, è per me pena.
Sì, che tu parta e non parlarmi più.
O d’invidia e di amor figlia perversa,
la speranza del ben che a me s’invola.
l’altrui fasto, il suo inganno, i torti miei.
Eh! Di Clearco è troppo amante Elisa.
amor, che ’l difendea, lo fe’ innocente.
e s’ella il lascia reo, suo re tu sei.
                                              (E senta i miei).
l’odio di Elisa. Essa infedel mi crede
(L’arte giovò). (Ad Agenore) De’ tuoi disastri ho pena. (A Clearco)
                                                            E quali?
L’espormi al real ciglio è suo divieto.
                                           (Io già son lieto).
ch’ella chiama sleale, ingrato, infido,
la sua grandezza e ’l viver suo, che d’armi
e in un di foco empier dovrà la reggia
che di Astarto... Non più, l’indugio è colpa
Vanne e ’l mio amor da l’opra mia ravvisa.
                                      Parto.
                                                    Trattienti. (A Sidonia)
                                   Qui amor mi trasse.
                                                                          Ingrato.
                                                        Lo dico.
e in un di foco empier dovrà la reggia
                                    Il dico e ’l dissi.
(Il sospetto di lei fa ’l mio contento).
                                                         Il dico.
Ma dille ancor che del misfatto enorme
sei complice e ministro e che in Clearco
                                          Questo nol dico.
Ah! Lo dice il tuo volto e più del volto
                   Che mia? Non più.
                                                        (Sono infelice).
(Ho pietà del suo duolo e pur mi giova).
                                L’autor esponi.
                                                              (Io ’l padre?)
chi tutto a lei non scuopre il suo periglio.
(In me pena l’amante e pena il figlio).
Regina, empie ed inonda il ferro e ’l foco
Resta. Chi del tumulto è legge e guida?
L’autor ti è ignoto ed è Fenicio? Or veggo
del tuo silenzio e le ragioni e l’arti.
ch’io vada contra il padre e che il mio ferro
Finge zelo di gloria e cerca scampo. (Ad Elisa)
(Fra la tema e l’amor, gelo ed avvampo).
Per Fenicio qui resta. Io molto deggio,
                              (Destin!)
                                                  Sì, avrà mercede; (A Clearco)
per chi serba ad Elisa e vita e regno,
                               (Ciel!)
                                              Sì, un trono è poco.
(Il suo stesso dolor serve al mio foco).
Vanne a Fenicio. Il contumace intenda (Ad Agenore, guardando di quando in quando Clearco)
ch’è in mio poter Clearco, io fuor di rischio.
o di Clearco... (o dio!) in quest’ora, in questa
                                     (Pena più fiera
abbia da gelosia). Va’, servi e spera.
Giura adesso che Astarto è nome ignoto
Che dir poss’io, se reo mi fan gli dei?
Di certa reità scusa non s’ode. (Ad Elisa)
Come! A te qui non venni?... (A Sidonia)
                                                       E questa è colpa.
                                Lo so, di amor, di fede.
Di mia bontà mi pento. Al letto, al trono,
                                      (Clearco è mio).
Regina... (Elisa non ascolta Clearco) Il ciel m’ascolti. Io son tradito.
miei falli e accuse mie. L’unico errore
di poter dire al tuo ch’egli è innocente.
Sedotto è ’l tuo rigor da la clemenza.
lo gradirei di un traditor l’affetto?
                                    (La gelosia
a lei si tolga). E a Nino anch’io la giuro.
È l’amor mio quel volto, è la mia spene.
Nino è la gloria mia; Nino è ’l mio bene.
a lui                 spergiura
            sarei                       e a me crudele.
a lei                 spergiuro
piace ad Elisa. Essa il farà contento.
Nel tuo favore il mio piacer già sento.
Pria che tu siegua, ascolta. A la tua fede
chieder deggio un favore. A me lo giura.
Lo giuro a la mia speme ed al tuo amore.
E quando ei non si offenda, anche al mio onore.
                                          Io lo prometto.
                               Egual mia fede avrai.
                                               Nino, più saggio.
                                  Sposo? Vaneggi.
                                      Mal m’intendesti.
Parla l’ingegno e par che parli il core.
Il tacer è ’l favor... Sarai costante?
Odi. Sidonia è d’altro volto amante.
Ferma. Il silenzio è del tuo onore un voto.
Promettesti il favor. Lo voglio e taci.
chi amar mi vuol? Gloria del sesso è questa.
Promettesti il favor. Lo voglio e taci.
(Legge crudel!) Dimmi chi adori almeno.
Mal si cerca il rival, quand’egli è caro.
Vedi quanto ti stimo. Io t’apro il varco
al più chiuso del core. Egli è Clearco.
Mi piace e ’l suo piacermi è sua discolpa.
Ma l’amore di un vil viltà non chiami?
Per far ch’ei non sia vil, basta ch’io l’ami.
Io son perduto. Un gran favor si chiama
altre piaghe, altre fiamme, altri legami,
vuol dir ch’ei più non viva o più non ami.
Costanza, amici. A’ giusti voti arride
propizio il cielo. Arda la reggia e seco
si perda Elisa. Al funeral di un’empia
Astarto regni e ’l regno ei deggia a noi.
La grand’opra si adempia. Io son con voi.
                                     Virtù lo muove.
                                       Giustizia il regge.
Qual virtù? Qual giustizia? Elisa è salva.
Su dunque, ardito porta il foco e ’l ferro
fra catene Clearco. (Geronzio ascolta in disparte)
                                     Oh cieli! Il figlio?
Aspetta il suo destin. La legge è questa.
Vuol Elisa il tuo brando o la sua testa.
Chi è traditor di Elisa ha l’odio mio.
a’ lacci. (Col tradirlo io l’assicuro).
                                            Questi or difenda
                             E ’l tuo furor l’uccide. (Mostra di partire)
                Pensa, o fellon, che padre sei.
Cedo a l’amor, non a la tema. Andiamo.
                                        Era più fede
dissipi e sciolga un tuo comando. Elisa,
ed ecco del mio inganno il primo frutto.
O illustre inganno! O dolce amico! O fido!
               Taci. Ecco Elisa. Io torno a l’ire.
                                                     E come,
(Che nobil cor!) Geronzio, in te si onori
del sangue più fellon spruzzato e tinto.
È pietà con gl’iniqui esser crudele.
                    Intendo, sì.
                                           (Quanto è fedele!)
                     Ma nuovi cenni attendi
pria di espor quell’iniquo al mio sembiante.
miglior zelo imparar, ch’or non saresti
Ma tu cieco al dover, spergiuro, ingrato,
chieggo e rispetto. Hai preso l’armi. Hai mosse
quelle de’ miei. Plebe, Senato, amici,
tutto hai sedotto. Hai sin sedotto il figlio,
quel figlio, o dio! vedi perfidia! quello
ch’esser dovea mio sposo e mio signore.
Anch’egli, qual sei tu, sì, è un traditore.
Ira, che non si teme, è già impotente.
                                   E qual?
                                                    Quello di Astarto.
Siasi; e tu a l’ire mie scuopri l’arcano.
                                      Parla o morrai.
quell’Astarto che temi. A me sol noto,
sappilo, in questa reggia. Ad ogni instante
Dacché giunsi a regnar, suddito ingrato,
Chi più del figlio tuo? Ma invano, invano
custodisci ’l segreto. Io quanto posso
vuol la sua morte e vuol la tua. In Astarto
l’amante genitor non taccia al figlio.
Seco ti lascio. Io tornerò ma in brieve;
Io ti perdo, io ti uccido, o parli o taccia.
Quando noto egli fia, non se’ più salvo.
                                   E la vorrà, s’io parlo.
Qual favellar? Nulla comprendo, o padre.
e sinché nol comprendi, io ti son padre.
non ci abusiam. Dammi il tuo arcano in dono.
è ’l sommo de’ misfatti e de’ più rei.
                      Sì, di Abdastarto; e tu lo sei.
                                        Non son Clearco?
                                   O dei! Ma come e quando?
Ti allevai qual mia prole e ’l ciel vi arrise,
Chi teco alor fu de l’inganno a parte?
chi non vuol che si sveli un grande arcano.
Un che ricusa un figlio, e un sì gran figlio,
quando figlio il ricusa e re lo acquista.
in lui teme, in lui cerca il suo nemico?
condannato in te avrei l’amor di Elisa?
A che in lei contrastar quel di Clearco?
riconosciti, Astarto. Odi il tuo sangue,
se al mio dir non dai fede. Odi il tuo onore.
Vendetta? E contro Elisa? Ah! Per pietade
sii mio padre, o Fenicio, e ’l sii per sempre.
rinunziare al tuo sangue, a la tua gloria.
la tua ragion, la tua virtù, il tuo onore.
                                        De’ casi miei
non ti prenda timor. Fa’ ciò che dei.
Su l’orme del furor, perfidi, io torno;
tutto il sangue di Astarto, il vostro, il vostro
                                                     Parla
tempra il furor. Mi è noto Astarto. Io deggio
di palesarlo abbia la gloria e ’l merto.
non ben saprei. Troppo il suo duol pavento.
Ti si compiaccia, ingrato. Al dono assento.
Geronzio al suo gastigo o al mio perdono.
Va’, non temer; sai quanto fido io sono.
l’opra di tua amistà. Più non s’indugi.
temo il rischio di Astarto. Ah! Si prevenga.
Prevengasi, o Fenicio. Al piè già tolgo
                                        Abbiam due cori.
serve al diletto. Ei d’amar dice e ’l giura;
Amo quel che più piace agli occhi miei.
                                        (O giuramento!)
quegli affetti otterrò che indarno or chiedo?
Vuoi che da ver risponda? Io non lo credo.
                       Vien la regina. Avverti.
di dirle ch’io non t’amo e che non sei
Basta... Te ne avvedrai... Vo’ trarti il core.
                                        Nino, Sidonia,
                            Sieguo farfalla il lume; (Ad Elisa)
Clizia al mio sol m’aggiro, ape al mio fiore.
Non è così? Dillo, mio ben, mio nume. (A Nino)
                                       Ei non risponde. (A Sidonia)
È ’l soverchio piacer che lo confonde. (Ad Elisa)
                                       Io per te...
                                                            Taci.
                                       E Nino parli;
di que’ nomi soavi, ond’io lo chiamo
                 Per lui, mia fiamma e mia catena. (Ad Elisa)
                          Dirti ch’ell’arda è poco.
                                            E voi ne siete
                               Non è mai pago (Ad Elisa)
ne l’indugio del bene un grande affetto.
che mi toglie a’ diletti, aspro e penoso.
                                (E Nino soffra e taccia).
                               Non più. Nino è contento, (A Sidonia)
sta per uscir su que’ begli occhi il pianto.
si piange ancor. Di’, non è vero? (A Nino)
                                                             È vero.
                                 (Tanto piacer dispero).
                                                   Ma l’amor mio
prenda ancor da que’ lumi il dolce addio.
Quanto amante è Sidonia! E quanto è fida!
                                            Al vostro invidio
Se ne invoglia il mio cor. Qui di Clearco
la vista attendo. A me l’affretta e torna.
                                Perché sì mesto sei?
Che strano amor! Ma sugli affetti altrui
(Vederla e non amarla, o cor, non puoi).
da speme, da timor, d’odio e d’affetto.
e rendimi il mio amante. Obblio già tutte
e l’Elisa ch’io fui per te ancor sono.
per prova di tua fé, con men di orrore.
                                         Caro Clearco!
ch’io dovrò sì gran bene a man sì cara?
                                              Clearco, chiedi.
tutto prometto. Abbilo in premio e in dono.
                                                     Il suo perdono.
                         E vi aggiungi anche il tuo amore.
                                        Ah traditore!
Dimmi qual vuoi. Chiamami ingrato, iniquo.
ma sia Astarto tuo sposo e son contento.
                     Cari sdegni!
                                              Ah! Forse prova
non vuol Clearco; ei vuol vendette e sdegni.
la grazia avrai. Gli darò letto e trono.
Vuoi più? L’amerò ancor, se vuoi ch’io l’ami.
né impallidisce pur). Che più? Si adempia
il tuo voto ed il mio. Guidami il prence.
Prima si appresti a l’imeneo la reggia.
si appaghi almen, pria che la man lo elegga
Ti piacerà quanto ti piacqui anch’io.
Più ’l tuo piacer non è ragion del mio.
E s’ei simile al mio spieghi ’l sembiante?
Non m’abbia sposa e non mi speri amante.
                                                      Al regal ciglio
                            Ed opportuno. Ascolta.
Per via de l’atrio, onde a la reggia vassi,
spiri sugli occhi tuoi l’anima iniqua.
                                              Il cenno adoro.
Nascesti servo e ti fe’ schiavo amore.
                                              Per me tant’ira?
Pensa a le mie vittorie e di’ s’io temo.
(Sul german di Sidonia il mortal colpo?)
(L’amore e l’amistà mi fan rubello).
                                               Prence, rimanti. (Ad Agenore)
Perdona. Uopo maggior mi chiama altrove.
L’uopo maggior sia l’ubbidire Elisa.
L’indugio è colpa, ove reale è ’l cenno.
Lo so, che in sen di Elisa e nel suo trono
Clearco non vedrai. (Quel più non sono).
Qui prevengo il mio ben. Qui vo’ che splenda
Ragion di sua innocenza è l’amor mio.
                                          Estinto cadde?...
Ecco il premio de l’opra. A lui la destra
                             A lui?
                                           Non son io quegli,
                                       Così destina
il suo merto, il tuo amor, la tua regina.
                                                    Oh ciel! Che veggio?
                                                       Anch’esso
                                          Perfidi, andate.
Io non son che tiranna. Ei venga e regni.
Mi punisca chi è re, non chi è vassallo.
Ei venga e regni. Ov’è? Perché si asconde?
                                                              O dio!
                                 Il grande arcano io seppi
                                         Sì. (Non intendo).
Questo è ’l re che vantate e ch’io non temo.
Morì Clearco, ah! non più tale. Astarto,
                                     Morì Clearco?
                                         E ancor t’infingi?
                                          Or che ’l perdei,
qual frutto aver potrei da una menzogna?
Perché negarmi padre a un figlio estinto?
Questo è duol di vassallo e non di padre;
(Che intesi mai! Ma chi sarà l’ucciso?)
(Peni l’ingrata). Era di Elisa il cenno.
                  Ah piangi meco e piangi, o cruda,
                                                           E cada
con la rea del comando anche il ministro.
                                 È morto; e voi morrete.
                         Viva ad Astarto Elisa.
                 Re, signor.
                                       Qual’ire, o fidi,
Tal volli Astarto. Or che tu ’l sei, se lice,
                                            O me felice!
Ah crudele! Ah fellon! Di’. L’uccidesti?
No, serbai la sua vita a quel bel volto.
L’infedeltà mi è cara. Io qui l’attendo.
La mercede prepara. Or or tel rendo. (A Sidonia e parte)
E perché adoro l’un, l’altro mi è caro.
Sinché il padre io fingea, sai ciò ch’io dissi;
orché vassallo io sono, al re m’inchino.
                                                       Che miro! (Agenore sopraggiugne con Nino)
Cedo al mio re l’amore e ’l fasto. Ei regni
e ’l mio fallo perdoni. Il foglio io finsi
E fra gli amanti il più contento io sono.

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