Quanto festoso a rivederti io torno,
o del Lazio, o del mondo alta regina,
fan guerra agli astri e fan terrore al guardo!
Ma quanto più giulivo a te ritorno,
o del romano impero alto ornamento,
sola de’ voti miei gloria e speranza,
si sente a’ tuoi begli occhi, or lieto attende
da un solo de’ tuoi sguardi il suo destino.
ivi desio mi chiama e amor mi guida.
sventure a te mi guida astro benigno?
impaziente il tuo ritorno attende
e nuncio de’ suoi mali a te m’invia.
temo che la vedrà preda infelice
è ’l nemico più fier, da cui siam vinti.
De l’afflitta città crudel espugna
la fame i difensori. O quante volte
cader io vidi il feritor sul colpo
e, da la rabbia del digiun sospinte,
non risparmiar le stesse madri i figli.
si move guerra; e più non lascia esenti
la sacrilega destra i monumenti.
e di esempio a’ più fiacchi. Ella a misura
de la plebe minor nutre sé stessa.
Ella ne’ rischi arma la destra.
Roma cadrà. Forse ora cade.
al lascivo amator... Massimo, rompi
con questi miei che tra’ più cari io scielsi,
a l’esercito incontro e seco a Roma
sollecito l’affretta. Io co’ tuoi fidi
andrò a Placidia e le sarò in difesa.
e a Placidia, onde parti, aprirmi il calle.
Sieguo il mio core. Ogni consiglio è vano.
Roma ci attende. Andiam, Fedele.
a chi amore ed ardir servon di guida.
Sieguasi un tanto eroe. La sua salvezza,
un’idea di virtude in cor sì degno.
Ferma, o vandalo cor. Da’ tuoi furori
di popolo crudel re più feroce,
poco orribile oggetto agli occhi miei,
col ferro in mano e con la morte al fianco,
Su, del sangue roman non ben satollo,
bevi nel mio. T’offro già ’l petto e ’l ferro.
Giusto, Placidia, è ’l tuo furor. Ma alfine
da le lunghe vigilie e dal contrasto,
chi può frenar ne la vittoria il fasto?
Non incolpar di tante stragi e tante
Ministra de’ tuoi sdegni? Io son che struggo
de la patria infelice i muri e i templi?
i mali miei. Se vincitor tu pensi
stender sovra il mio cor la tua vittoria,
motivo di costanza anche gli affanni.
fra le stragi, gl’incendi e le rapine,
pur ti stringo al mio sen.
tu che per grado e per virtù fra’ Goti
vanne a frenar l’ire guerriere. Imponi
l’esercito feroce. Assai beuto
han del sangue romano il fuoco e l’armi.
Pronto men vado. A esercitar sul vinto
pietà sì giusta, o principessa, apprendi.
Va’, Olderico, a frenar l’ire e gl’incendi.
vincitor, trionfante, a la cui gloria
avvelena il piacer de’ miei trionfi.
Mi abborrisce Placidia; e più che Roma,
mi è difficile acquisto il suo gran core.
Può temer la sua preda un vincitore?
rigida teco. Il padre, il genio, il grado
facean plauso a’ suoi voti, inciampo a’ tuoi.
Tutto or cangia di aspetto. Ella è tuo acquisto.
Ah! Che lontano ei me la usurpa ancora
celebrar si dovean gli alti sponsali.
Ben ne giunse a me ’l grido; e ’l mio timore
l’ire lente svegliò, diè moto a l’armi.
che restava a temer. L’ami Placidia,
che può sperar, se a le tue leggi è serva?
Cadrà, se ’l tenti; e ti amerà, se ’l chiedi.
usa la sorte tua; che più paventi?
dà coraggio al timor, bando a’ tormenti.
a’ miei lumi sfavilla! Oggi più illustre
mi si rende il germano; e mi si rende
Il goto è vincitor, Roma in catene;
l’altrui vittoria a la rival temuta
Olibrio toglie e ne interrompe il nodo.
Mio diletto, or chi sa che nel tuo core
non dia luogo Placidia a Teodelinda?
alimenta quest’alma e la consola!
Pur posso a’ piedi tuoi...
S’egli è scoperto... E se il tiranno... Vanne,
ch’egli possa partir senza vederti?
dopo un anno crudel di lontananza?
vederlo è pena (e non vederlo è morte).
l’armi di Ricimero; e a me d’intorno
Fedele egli è; ma con Placidia? È forse
vicino Olibrio? Inosservata ascolto). (Si ritira)
Entro quel bosco impaziente attende.
solingo orror, cauto lo attendo e solo.
Col lieto avviso a consolarlo io volo.
Palpita l’alma; il piè mal regge; il sangue
mi sparge il volto e mi ripiomba al core.
Seco ti lascio; io farò sì che alcuno
bella Placidia, a’ piedi tuoi pur torna,
torna il misero Olibrio...
ben sospirava un sì felice istante;
per mio riposo o più tardarlo almeno,
tu fuori di periglio, io fuor di pianto.
La serie de’ miei casi a te ben nota
accelerai sul primo avviso i passi;
e se a tempo non fui di ripararli,
solo il tuo arrivo i miei timori accresce.
Sol noto a te, chi può tradirmi?
Io già ne fremo, io ne sospiro... Ah! Parti.
pietà non più di te ma di me stessa.
Placidia, io morirò pria che lasciarti.
Digli romano ed a te servo.
Tu colà attendi. (A Fedele)
E starò pronto a l’uopo. (Si ritira)
Condona, o principessa. Impaziente
desio di favellarti a te mi trasse.
Pria ch’io le brame esponga,
qui fu sinor de’ miei custodi il duce.
(In nobil volto ha portamento altero).
(Traspar dal regal volto un cor ch’è fiero).
Siedo; (Siede alla fontana)
vicina a Ricimero alcun riposo.
l’ire e mi ascolta. Un vincitor ten priega.
E ad un re vincitor nulla si niega. (Ricimero lo guarda ed egli sta ritirato alquanto indietro di lui)
ho un gran diletto e un gran dolor vicino).
(Da quel labbro dipende il mio destino). (Siede)
fiero oggetto a te vengo. In me tu trovi
Ma perché plachi alfin l’ire feroci,
leggi il tuo labro. Ubbidirò. Di Roma
E di tanto favor grata a te sono.
Ma perde il merto chi rinfaccia il dono.
Dove parla il sovran, taccia il vassallo. (Ad Olibrio)
usa tu stessa a tuo piacer. L’Italia,
ed abbia libertà Roma, se ’l chiedi.
(Simulata virtù). Figli non sono
i doni tuoi di un generoso instinto;
ma partono da un cor che troppo è fiero,
perché si abbassi a chieder leggi al vinto.
ne può dispor. Ben sai...
so qual tu sii, so qual io sono. I ceppi
nulla avvilir pon di quest’alma il fregio;
né più grande ti fa la tua vittoria.
Di te stesso trionfa e avrai più gloria.
Rispondi, ov’io ti chieda, e taci.
Ancorché t’ami (A Placidia)
un vincitor, non paventarne oltraggi.
liberarmi la destra; e se mai speri
de la costanza mia, vedi il tuo inganno.
lusinghier Ricimero o sia tiranno.
(Questo è troppo soffrir). Placidia, intendo.
degno è ch’io l’ami. A’ nostri voti arrise
Valentiniano, il merto, il genio e Roma.
Placidia è in rischio; ed ei non vien? Né ancora
perché a fronte non l’hai. Verrà e più tosto
verrà di quel che vuoi, di quel che pensi.
(Dove il trasporta un troppo ardir?)
Ma fa’ ch’ei taccia o le mie furie e’ provi.
S’ei col mio cor risponde, in che ti offende?
Mi offende e col suo labbro e col tuo core.
L’odio, ch’è nel mio cor, non è altrui colpa.
Se’ troppo ingiusta. Addio. Pensa. Ti lascio
non ostinarti a’ danni tuoi.
Parlai da vinto ed oprerò da amante.
E t’odo e non ti sveno, empio regnante?
Se sol per me l’arme impugnasti,
a vincer ti rimane e nulla oprasti.
Quanto deggio a tuo amor!
Pavento i tuoi. Deh! Parti.
vittima inerme a l’amator tiranno?
E udisti ancor la mia costanza. Ho petto
per morire, o mio ben, non per mancarti.
E anch’io l’ho per morir, non per lasciarti.
Sin qui pregai. Già tel comando. Vanne.
E se a Roma ti chiama il tuo gran core,
torna da eroe, da vincitor.
sì dolce a noi. Vanne, ritorna e vinci.
Servi insieme a Placidia e la tua gloria.
lasciar potrei senza viltà chi adoro?
Le sarò scudo. In barbaro regnante
temo il furor di un vilipeso amante.
Placidia offendi con l’indugio; e sei...
Misero son. Ch’altro far posso? O dei!
Affetti miei, che risolvete? Olibrio
godrà furtivo e tacerò? Se parlo,
con la rival felice? O che tu sveni
il german vincitor? No no, si parli.
E ’l tuo periglio? Io ti sarò ne’ mali
Ti tradirò ma per salvarti, o caro.
vengo a cercar ne’ tuoi begli occhi un raggio
o una scintilla di quel primo ardore...
E in me più fermo il rese
Il mio destin ne incolpa.
che feci mai? Tu pur mi amasti.
esser di lungo amor, di lunga fede.
Sia legge il tuo voler. S’ami e si soffra.
fia la mercé, tanto verrà più grata.
Monarca invitto, il cui valor dà leggi
di un vincitor sì illustre. In te risorta
di que’ suo’ primi eroi, che fur del mondo
tema e stupor, vede la fama e ’l grido.
ad un braccio sì forte e sì guerriero;
e per cesare suo vuol Ricimero. (Profonda il ponte e n’esce la reggia del Tevere)
ma di lauri e di spoglie alto tributo
recano i mari, le provincie e i regni,
re de’ fiumi del Lazio, anzi del mondo,
chi ’l crederebbe? ora il maggior mio vanto
confin de l’Orse a stabilir venisti,
su le mie sponde un più felice impero.
l’aureo diadema. Oggi il tuo crin vi rechi
nuovi ornamenti; e Ricimero il grande,
regni sul soglio, in cui regnò Quirino.
Romani, udite. Anche fra’ Goti ha regno
generosa virtù; né sempre in essi
fiero è l’instinto, ambizioso il core.
Ecco de’ miei trionfi e de’ miei voti
la vostra augusta. A lei si deve, a lei
l’aureo diadema. Or di mia man tu ’l prendi,
e ne corona il crin. Più lieti intanto
i tuoi popoli e i miei l’alma giuliva;
e ti acclamino augusta i loro viva.
Invitto re, del tuo gran cor mi è forza
ammirar la virtù; ma non ti aggravi
Io nudrirei brame superbe? Io augusta
il suo antico splendor Roma cattiva?
tal fasto o tal viltà mai non si ascriva.
Magnanimo rifiuto! A miglior tempo
a novelli trofei. Da l’oriente
Olibrio a noi ritorna e seco guida
numerose falangi. Omai da lunge
Ritorna Olibrio? Ad incontrar si vada,
come chiede il suo grado e l’amor mio,
ad oggetto sì caro. Omai dagli occhi
Pende dal cielo ogni opra.
Andiam; ma a cieca speme invan ti affidi.
Il dubbio evento è a maturar vicino.
(Misera! Non sa ancora il suo destino).
Marte m’invita e non li teme il core.
forze per non temer quelli di amore.
al lieto palpitar, teneri sensi.
La mia Placidia a me qui volge il passo.
Ma più l’unisce a Ricimero il sangue
Cauto rifletti. In quella
stanza più chiusa agli occhi altrui mi celo.
Avrem propizio il cielo. (Si ritirano nel gabinetto)
Ho vicino il mio Olibrio e ne ho contento.
E perché l’hai vicino, io ne ho spavento.
Intendo, ei vien nemico; e Teodelinda
Temo per te. Può ’l mio real germano
punir nel suo rivale i tuoi disprezzi.
Non è un facil trionfo Olibrio armato.
Ma un facile trionfo è Olibrio amante.
Amando un cor più ardisce.
Amore in lui la gloria sua difende.
Così speri anche il tuo. (Ma non m’intende).
da’ suoi guerrieri a le tue stanze ei viene?
Non partir, Teodelinda. (È in pena il core).
Son qui (ma non per te; mi ferma amore).
(A che tal cenno?) Amica,
a te vien l’amor mio. L’ami? O ’l rifiuti?
il promesso rispetto? Armato vieni
Ove a’ miei danni ha tese
ho meco le vendette e le difese.
Qui tradimenti? Eh! Che a Placidia basta
punir gli affetti tuoi col disprezzarli.
Deh! Tempra l’ire. Al vincitor tu parli. (Piano a Placidia)
Nel tuo Olibrio vicin temer dovresti.
vagli nel campo; ivi il combatti, il vinci.
Assai più che nel campo, io qui lo temo.
E ’l teme nel tuo cor. (A Placidia)
disperata è l’impresa; e vinto sei. (A Ricimero)
Vinto? Dirai così, quando tu stessa
Vanne. La tua possanza Olibrio senta.
E d’essermi rival tema o si penta.
l’odio le occulta ed il furor le regge.
E capace son io di tradimento?
Ma permetti ch’io possa...
V’entrino i tuoi. Le più riposte parti
s’aprano al loro sguardo.
purghi la gloria mia. Per abborrirti
aver core poss’io, non per tradirti.
Indietro, anime vili, o morirete.
il rintuzzar di questo braccio i colpi.
Io l’uscio sosterrò. (Su l’uscio)
qual difesa avrai tu da un mio comando?
a torti a l’ire mie. Fidi, ubbidite.
sugli occhi di Placidia...
prigionier più che estinto.
dunque il superbo o qui la morte attenda.
E ’l renderti prigion ne sia la pena.
Io tal viltà? Morrò pria forte.
frena il nobile ardir. Cedi, se m’ami.
Lascia guidarti al tuo destino.
Cedi quel ferro e ne’ miei ceppi, indegno,
conto mi renderai del tuo disegno.
cedo, o mio ben; ma ne’ tuoi ceppi ancora
tutta sfido, o crudel, la tua possanza. (A Ricimero)
del ferro mio né per timore il rendo;
ne la tua man, ch’è l’arbitra sovrana
del mio fato, il depongo. E tu, che or solo
sai non temermi o forse ancor mi temi,
sfoga pure il tuo duol. Fingi costanza.
Da prigionier tu parli; ed io ti ascolto
da vincitor. Ben custodito omai
ne la prigion col suo Fedel si guidi.
Prence infelice... O dio! Mi è tolto ancora
troppa forza al tuo cor. Lascia ch’ei rompa
e inondi in libertà le gote e ’l seno.
(Spunta da l’altrui fosco il mio sereno).
la tua vendetta. Anche Placidia attende
S’ami il tuo Olibrio, il cieco duol correggi.
del suo destin tu recherai le leggi.
Placidia voglio mia. L’empia mi sprezza.
con la morte di lui la sua fierezza.
Che far posso per lui, se tu lo uccidi?
Ama tu Ricimero e Olibrio è salvo.
Pria che l’iniquo, amerò ceppi e morte.
Ma da te condannato e dal tuo amore.
Scegli il minor fra due gran mali.
Perché non ami, il mio dolor non credi.
Parli così, perché tu ’l mio non vedi.
fra’ ceppi il riveder l’idolo mio.
sarà stimolo forte a la pietade.
Tutto farò; del mio real germano
vincerò le ripulse. A lui mi affretto.
(Ma parto con l’idea di un gran diletto).
Cor mio, non ti agitar. Per poco obblia
i tuoi mali presenti. Al caro bene,
questa sia la tua spene, or ora andrai
e là sugli occhi suoi risolverai.
ha ne’ miei ceppi un sì rival temuto.
Quella torre il racchiude; e da’ miei lumi
ne volle il testimon l’alma gelosa.
posta in fuga e in terror l’oste nemica.
non ci renda men cauti. Uopo è ch’il campo
me suo duce rivegga e l’arme appresti
al romano vicin. Tu qui rimanti;
e a la tua cura il prigionier consegno.
Resta; e mercede (A Teodelinda che sopravviene)
tu, germana, sarai de la sua fede.
principia i tuoi trionfi.
Pria ti richiede al prigionier l’ingresso.
No, non lo speri. Al mio rival non voglio
con l’uso d’un piacer crescer l’orgoglio.
Qual pro, se vi acconsento?
Me presente gli parli; e me presente
lo disponga a soffrir la tua fortuna.
Quanto deggio al tuo zel! Placidia venga.
Sinch’io torni dal campo e fia ben tosto,
prence, adempi il voler di Teodelinda.
servi al mio cor. Prega. Consiglia. Adopra
l’arte, il poter, l’ira, l’affetto; e quando
nulla giovi a placar beltà ostinata,
fa’ che cada il rival. La legge è questa.
Olibrio o senza amante o senza testa.
guidisi il prigionier. Piacciagli un’ombra
il pianto di Placidia i ceppi suoi.
da’ cenni tuoi. Tutto è disposto. Ei dunque (Una barchetta sul Tevere si ferma appiè della torre)
viva, si salvi; a me si salvi; e m’ami.
Ti sento; del tuo foco a che mi spargi,
vergogna intempestiva, il core e ’l volto?
Parti. A tempo non sai. Più non ti ascolto.
n’è lontano il piacer. Ma pria qui attendi.
pietà d’alma reale il piè discioglie.
Ti rende al giorno e a la prigion ti toglie.
ei pur concede il sospirato oggetto.
Tanto per te fa un re sprezzato.
O la tua mano (A Placidia) o la tua testa. (Ad Olibrio. Teodelinda si ritira alquanto)
Questa è pietà? (Verso Teodelinda)
Va’, Teodelinda, a Ricimero e digli...
No, mio tesoro. (A Placidia)
(Ecco il momento, o core).
Viva il tuo eroe. Rieda al suo campo ed abbia
e vita e libertà da Teodelinda.
Vanne, ti affretta e fuggi.
giura adempir di Teodelinda un voto.
Vo’ la sua fede e poi lo sappia.
Resti ella pure in libertà di amarti.
Più non temer. Tutto prometti e parti.
Salvo il mio onore e l’amor mio sicuro,
su la mia fede e per Placidia il giuro.
Or non è tempo. In questo
foglio espresse vedrai le oneste brame.
ma solo alor che sarai giunto al campo.
A me Olderico. (Verso le guardie)
per cenno mio colà ti attende e teco
Fa’ che Placidia ancora...
L’amor di Ricimero in te già offeso
Torgli Olibrio è pietà, lei è perfidia.
Pronto mi trova un tuo comando.
mi avrà pur la tua fé. Prendi. Al germano,
reca il foglio ben chiuso.
la cura a me del prigionier.
opportuno a la fuga or non si perda.
la libertà, se a me non manco.
poi di un lieto imeneo splender la face.
Non più. (Ma la tua speme andrà fallace).
Ei parte ed io rimango? Ah! Del germano
fuggansi l’ire; e non si perda il frutto
Che non ti deggio, amica?
Nulla mi dei. Chi per amor ben opra,
trova in amore anche mercede a l’opra.
Forza è seguir le tue vestigie, amore.
solo a farti penar serve il rossore.
tempo migliore. A Ricimero, amico,
va’ mio nuncio di guerra. In questo nome,
sacro a le genti, hai tua salvezza. Ad esso
di’ che armato lo attendo e che nol chiama
la mia vendetta, no. Solo il dovere
di Olibrio cittadin, di Olibrio amante
la romana virtù non è mai doma;
guerriero in campo e non tiranno in Roma.
niega di espor d’incerta sorte a’ casi?
andranno a spaventarlo. Un’ira estrema
egli non voglia o, se la vuol, la tema.
ella è ’l voto miglior de’ miei pensieri,
ch’io spero e l’amo; essa pur m’ami e speri.
Adempio il cenno. (Parte)
Or vediamo qual legge al dover nostro
prescriva il foglio... Principessa, e come?
Che? Ti è grave il mio aspetto?
La tua pietà di Ricimero a l’ire
troppo ti espose e qui lo scampo or cerchi.
Temo Olibrio infedel, più che il germano
sdegnato, e qui, più che lo scampo, io cerco
(Già lesse e son felice). Il foglio adunque...
delizie del mio sen!) Né si risente
al grande impegno il cor?
ciò che si rende a un benefizio illustre.
Chiuso è per anche il foglio.
Te ne rinnovo il giuramento.
(Dalla sua fé pende il mio fato).
(Ei si turba. Ah ch’io lo temo ingrato).
Qual duol? Qual turbamento?
Leggi. (Sta in quella fronte il mio spavento).
(Anche la sua pietade è mia sciagura).
anche nel suo favor tanto è crudele?
Tuo amante e buon romano esser potrei?
e ’l permettesti, in libertà di amarmi?
Amarmi non può suo traditore;
e s’io son traditor, manco a l’onore.
non reca infamia. Intendo, intendo, in questa
larva di onor tutto il tuo amor ravviso.
Placidia è la tua gloria, è la tua Roma.
salva la patria. I Goti uccidi. Porta
contro di Ricimero il ferro e l’ire;
del tuo furor sia Teodelinda. A questa
Esser può cor nemico un core ingrato.
chiedi per ricompensa. Empio mi brami,
per farmi traditor, rinunzio il dono.
A’ lacci miei. Pria che infedel, mi vegga
E se di Ricimero ella fia sposa?
sarà del mio destin, non del mio core.
(Ancor non sei senza speranza, o amore).
deggio me stesso. A te confido, o duce,
del suo grado il decoro. Il campo mio
fia tuo ricovro e sicurezza. Addio.
cogli da un folle amor? Con Ricimero
tolgo una preda illustre. E rea son meco,
con inutili prieghi io chiedo affetti.
Che più? Sin col mio sesso e col mio grado
pur ben si compra un raggio sol di spene.
scorger ben puoi qual sia ’l piacer de l’alma.
L’ama così che fuor di lacci il miro.
(Alfine ei me la cede). E qual ti accolse?
di una face che muor). Quale il lasciasti?
(Lui salvo, a che temer?) Fedele e amante.
me più amorosa fe’, lui più costante.
Madre di una gran speme è una gran fede.
La mia clemenza il fa superbo; e cieco
non vede il mio poter nel suo periglio.
Giusti son gli sdegni tuoi.
disarma il mio furor. Su, che rispondi?
De la salvezza sua questa è la strada.
Io sposa a Ricimero? Olibrio cada.
Ma ’l tuo rifiuto, ingrata,
pria che ’l mio acciar, lo stame suo recide.
(Nel mio sen de’ tuoi sdegni amor si ride).
Intrepida mi ascolti? Or va’. Ben tosto
Eh no, tanto crudel tu non sarai.
Io non sarò crudel? Custodi... Olibrio...
V’è per salvarlo un sol momento ancora.
Io sposa a Ricimero? Olibrio mora.
ed al mio piè... Placidia, ascolta.
Non più. T’inchina a’ cenni
«Olibrio è sciolto. Io libertà gli rendo...»
e di Olibrio al suo piè reca la testa.
Anche lo scherno? Or ben vegg’io qual forza
da una cieca pietà sino a tradirmi.
«Olibrio è sciolto. Io libertà gli rendo...»?
S’egli tema i tuoi sdegni, or ben tu vedi.
di Olibrio a’ ceppi e al fato.
per tua legge io dovea cieco rispetto
né rea mai la credea di un tradimento.
Olibrio in libertà? Ne ho pur contento. (A Ricimero)
«Del dono in ricompensa ei mi promette
Quel tuo amator costante.
«Io lo sieguo al suo campo, ov’ei mi serbi
Sì, ti tradì quel che tradir non sai.
anche al tuo cor, se tolgo in guisa tale
a Placidia l’amante, a te il rivale».
assolve l’amor mio. Sia la tua pena (Ad Olderico)
Tempo, Placidia, è di vendetta. Omai
la tradita tua fede a me si giuri.
Di un barbaro nel sen sposa romana?
Se l’odi, a noi t’invola e cedi il soglio.
No, crudel, no, superba. In Roma, in Roma
punisco il tuo rigor. Va’ e ferro e fuoco
porta, Olderico, in queste mura, in questo
popolo contumace; e ovunque corra
il torrente fatal, di’ che la mano
di Placidia negata a Ricimero
contra l’amata patria opra cotanto,
ch’ella è rea di quel sangue e di quel pianto.
Non più perdono. Il cenno mio si adempia.
(Se son fedel, son empia).
de le romane schiere ambo vi chiede.
Godi? Tosto avverrà che si confonda
di Teodelinda ei chiederammi; e in lui
un amico io vedrò, tu un infedele.
e nemico e rival ti sfida in campo.
Là Placidia e l’impero a lui contendi
o, qui racchiuso, Olibrio armato attendi.
A te, bella Placidia, eterni giura
solo che in lui tu speri e che tu l’ami.
Olibrio ingrato? (A Ricimero) In esso io spero e l’amo. (A Fedele)
ciò ch’io risponda. A Olibrio torna e digli
che nemico e rival colà mi aspetti.
parleremo col brando; e la vittoria
gli saprà dir com’io le sfide accetti.
Ma qui la mia vendetta. Arda, Olderico,
Roma pria del cimento; e sol vi resti
un marmo sfortunato, ove si scriva:
«Placidia il rogo accese e Roma è spenta».
de la patria tradita ingrata figlia.
Ferma. (Che mai dirò?) Va’, pugna, vinci.
Prezzo sarò di tua vittoria. Questa,
che può far la virtù sopra l’amore.
(Fosse così di Teodelinda il core).
Tanta pietà per Roma? E sì crudele
al tuo Olibrio, Placidia?
prima che amante. Assolve i falli miei
la virtù ch’è comune a le nostr’alme.
Non vincerà. Di un grande amor vassalla
In Teodelinda io la provai crudele.
Ma da l’altrui rigor l’avrai fedele.
suo nemico mi vuol. Tal qui si attenda.
la tua presenza il principe Olderico.
Prenda ognun l’armi. Ognuno si raccolga
sotto il suo duce. Le divelte insegne
si lasci il fiume e ’l paludoso stagno.
La fossa e ’l vallo empian le querce e gli orni,
sotto il men nobil ferro al suol recisi.
presagi a la vittoria, ecco il mio core,
se preludi a le stragi, ecco mio seno.
Svena questo, o crudel, perché è nemico.
nemico a Ricimero; e sono anch’io
che per vittime hai scelti al tuo furore.
Su, la tua crudeltà s’armi e risolva;
e l’esempio del core il braccio assolva.
abbia da’ tuoi martiri e s’io nemico...
La risposta sospendo. Ecco Olderico.
sempre s’incontra un amator deluso).
No, non partir. La tua presenza è un voto
chi del gotico regno e chi di Roma
tien l’impero sovrano, a te sen viene.
vien ei sicuro? E lo difende il sacro
Con pari stuolo a’ miei romani ei venga.
che qui gl’impegno inviolabil fede.
(Tengono l’alma ira e dispetto oppressa).
E la real grandezza in lui si onori.
(Veggo in quel volto i miei traditi amori).
Da l’ire del germano almen difendi
la debolezza mia ch’è tua salute.
Trattone amor, da me avrai tutto, o bella.
Eh! Se spiaccio a’ tuoi lumi, io non son quella.
m’abbia teco a trattar desio di pace.
sanguinosa, implacabile ma giusta.
se hai valore nel braccio, ardir nel petto.
Sieno eguali e sien giuste ed io le accetto. (Ricimero ed Olibrio prendono due aste e le conficcano in terra)
(L’atroce pugna empie l’idea di orrore).
(Quai voti formerai, misero core!) (Ricimero ed Olibrio si pongono fra le due aste)
che in questo campo io segnerò con Roma,
mi s’immerga nel sen l’asta fatale
e sveni la perfidia in re spergiuro.
Duce, così prometto e così giuro.
che a Ricimero io giurerò per Roma,
tutti i fulmini tuoi, più di quel ferro
mi cadano sul crin, m’ardano il petto.
Re, ti giuro così, così prometto.
uscirò vincitor, libero voglio
sovra Italia l’impero e sovra Roma.
N’escano i vinti o giurino al mio piede
A me resti Placidia; e tu ritorna
ed un comando mio sia la tua sorte.
si dichiari per noi, più non rimanga
di gotico servaggio orma funesta.
Mi si renda Placidia. A Teodelinda
sii mio prigione e alora una vendetta,
più che di te, degna di Olibrio aspetta.
Vi assento. Ecco la destra.
sangue, che tinger dee l’onde del Tebro,
se’ mio dolor. Tregua agli sdegni, o duce.
fa’ che rinunzi a le tue nozze e al soglio;
e l’armi alor sospenderò.
Vanne al real german. Fa’ ch’ei mi renda
Roma e Placidia, ond’egli a l’ire è mosso;
la memoria amerò de’ doni tui.
Libera è Roma. È mia Placidia.
Tal saresti anche tu ne’ ceppi miei.
Ma se tu fossi il vincitor, qual fora
Tronco vorrei l’indegno capo e tratto
fosse oggetto di orror, non più di speme,
a Teodelinda ed a Placidia insieme.
Ricimero il faria, perch’egli è goto.
A me basta il trionfo, a me la pena
Libero esci d’Italia e in Ricimero
torni al gotico regno il suo sovrano.
Olibrio così fa, perché è romano.
Che nobil cor! (Olibrio presenta a Ricimero la sua spada)