Nostro, amici, è ’l trionfo. Ingo, il ribello,
cadde e la pace al nostro impero è resa.
i miei stami vitali invida parca;
l’ultimo è de’ miei dì. Più nobil fine
non poteami dal cielo esser prescritto.
S’applauda. Vissi assai, se moro invitto.
Lascia, o signor, che su le regie piume,
posta a l’esame la ferita...
morire in piedi un re sol dee. Già sento
che intorno al cor stretto è l’assedio; e appena
un avanzo d’ardir vivo il sostiene.
Pensisi al regno e non più a noi.
ti perdo, o dio! vedova pria che sposa?
Zidiana, a che ti affliggi? Amasti il frale,
se questo or piangi. L’amor nostro vive;
cangerà di soggiorno e non di oggetto.
non soggetto a vicende, eterno e puro.
Piega il capo al destino e vanne in pace.
Saprò unirmi al tuo rogo, ombra seguace.
del mio figlio Teuzzon l’anima invitta.
un buon nome, un buon re. Due ne avrò meco,
la vostra fede ed il comun riposo.
del voler nostro interpetre e custode,
chiamo l’erede a la corona; accresco
titoli al sangue e a la natura applaudo. (Gli dà il testamento sigillato)
Bacio la man che a tant’onor m’inalza.
duce del campo, al cui valor tenute
di non lievi trofei son le nostr’armi,
ne la tua man depongo; e tu lo rendi
a chi dovrà le leggi impor dal trono. (Gli dà il regio sigillo)
Chino a terra la fronte e bacio il dono.
Ma già vien meno il cor... Perpetua notte
mi toglie il giorno... Il favellar... mi è rotto...
chiedo... in ultimo don... la vostra fede. (Muore)
Regina, egli è ben giusto il tuo dolore.
Un momento ti toglie e regno e sposo.
Fabbro è ognun di sua sorte. Io, che già seppi
il diadema acquistar, saprò serbarlo.
te, che da’ miei verd’anni e fede e sangue
al mio fianco già unì, te chiamo a parte
sai che per me avvampar Sivenio e Cino.
Di questo cielo i fermi poli.
cercò sfera maggior. Nel re mio sposo
alzò la fiamma e dilatò la vampa.
vergine, sposa, vedova già sono.
asceso appena e mal gustato il trono.
mi si strappi dal sen l’alma e la vita.
se t’insidio l’onor de la corona.
Qual pietà? Quale affetto?
tutto il mio core. Amo Teuzzone e ’l cielo,
che ben vedea quant’io l’amassi, intatta
mi toglie al padre e mi preserva al figlio.
Vo’ regnar per regnar seco.
da me, non dal suo sangue. A me frattanto
servan le fiamme altrui. Cino s’inganni.
e per goder, tutto si tenti alfine,
l’amante in braccio e la corona al crine.
legger ben puoi la comun sorte e ’l danno.
(Cominci da costui l’opra e l’inganno).
molto perdei. Pur se convien ne’ mali
temprar la pena e raddolcire il pianto,
sol col mio re, non mio consorte ancora,
che illustre mi rendea ma non contenta.
Ahimè! Che più non lice a l’amor mio
a quel d’una regina alzar sé stesso.
Perdonatemi, o ceneri reali,
e tu, bell’alma, a la tua sfera eccelsa
non giunta ancor, tu mi perdona e ’l soffri.
l’altrui memoria e la mia fama; e sento
salirmi al volto un vivo sangue, in foco
d’amore insieme e di vergogna acceso.
e ’l labbro mio da un maggior fallo assolvi.
Dunque egli è ver che del mio fermo affetto
E che colpa non sia la mia speranza?
Merto ella sia, se il mio desir secondi.
Odi a qual prezzo io tua mi giuro.
che il ciel mi diede; e non soffrir, se m’ami,
che abbietta io serva, ove regnai sovrana.
tu m’abbi sposa. A che tacer? Che pensi?
giugner non puoi che per la via del soglio.
Non ascriver, s’io tacqui, il tacer mio
a rimorso o a viltà. Facile impresa
m’è una guerra svegliar dubbia e feroce.
tentar vie più sicure o men crudeli.
Cino anche trar ne le tue parti.
E l’amor si lusinghi, o mia regina.
gl’affetti simular l’anima mia.
La prim’arte in chi regna il finger sia.
Fingasi, poiché ’l vuoi. Tu ormai con Cino
primo l’opra disponi; offri, prometti.
comporrò sguardi; mentirò lusinghe;
seguirò l’arti tue. Ma te, mio caro,
sposo e re abbraccerò, regina e sposa.
Signor, te appunto io qui attendea.
Poss’io scoprirmi a la tua fede?
nel segreto il mio onor. Parla; io t’ascolto.
è periglio comun. Molti e molt’anni
noi regnammo con lui. Teuzzon, suo figlio,
ci riguardò come nemici e in noi
a gran colpa imputò l’amor del padre.
È ver; ma già impotente è l’odio nostro.
la nascita e la sorte. E a noi fia d’uopo
sentir la piaga e rispettarne il ferro.
Siegui i miei voti e preveniamo i mali.
alorch’è vuoto il soglio,
sai che non basta al più vicino erede
che lo confermi, in chiare note espresso,
il real testamento e che deporsi
deggia in sua mano il regio impronto. Or d’ambi
dispor possiamo e tor con arte il regno
a chi per noi tutto è livore e sdegno.
Ma come il foglio aprir? Come il reale
Consenti a l’opra e ne assicuro i mezzi.
Difficile è l’impegno e più l’evento.
Tal non parrà, quando saprai l’arcano.
Error che giova è necessario errore.
Ma in chi cadranno i nostri voti?
ch’era già del tuo amor meta e del mio.
Poi farò sì che del favor eccelso
ella il premio ti renda in farti sposo.
Quale assalto, o mio cor?
nel tuo illustre destin l’odio e l’amore.
Innocenza, ragion, vorrei che ancora
Ma se ora deggio in sacrificio offrirvi
l’ambizion, l’amore e la vendetta,
perdonatemi pur; vi sono a core
più che i vostri trofei le mie ruine
e mi siete tiranne e non regine.
Barbari, iniqui mostri, ove il traete?
dal nero sen di Flegetonte uscite,
ma non dal cor, non da la mente, o dio!
Dove sei, caro sposo, idolo mio?
deliri de l’idea, ti lasci in preda?
Che arrechi, Argonte? Ov’è ’l mio prence?
con l’ostro al fianco e col diadema in fronte
quando livida serpe, ahi fiera vista!,
gli straccia intorno e la corona e ’l manto;
e ad un fischio crudel serpi minori
di pianto il volto e di sudore il seno;
e di quel mostro odo ancor vivo il fischio.
Meglio apri gl’occhi; e dal pensier la tema
È possibile, o cara, o mia Zelinda,
che nel maggior de’ miei dolori io stringa
il miglior de’ miei voti?
di quest’alma fedele unica speme!
che dilegui il mio affanno e ’l mio spavento!
Tacito duol v’è che non lascia intero
Ma che? Sei lune e sei corser dal giorno
che nel tartaro ciel restai dolente,
priva di te, mio sol conforto; ed ora
ad ogn’altro pensier quel d’abbracciarti.
Negar nol posso. Il genitor mi tolse
qualche pianto al piacer, per darlo al duolo,
e se divide i suoi tributi il ciglio
tra gl’uffici di amante e quei di figlio.
Del tuo duol degno è ’l padre.
festa verrà qui a la sua tomba il regno,
per onorarne il funeral primiero.
Io, se v’assenti, ad ogni sguardo ignota,
ne osserverò la strana pompa e ’l rito.
col pubblico voler quello del padre,
del fausto dì col tuo bel volto i rai.
Da l’illustre splendor de la corona
e in offrirti le porpore...
è regnar sul tuo cor, non sul tuo soglio.
Perché l’ora più fausta al tuo riposo
splenda, o mio genitor, arda e consumi
figlie di puro sol, candide perle.
tributo de’ miei lumi, urna ben colma
l’amor mio ti consacra, ombra adorata.
spoglie de’ tuoi trionfi.
D’arte e d’inganno ecco, regina, il tempo. (Piano a Zidiana)
un geloso timor. Già sai ch’io fingo. (Piano a Sivenio)
se l’aureo scettro e quella mano io stringo). (Tra sé)
Cino, l’amor, con cui mi è gloria alfine
io non vorrei che interpretassi a fasto.
Ragion mi muove ad accettar la destra
che mi ferma sul trono; e ’l ricco ammanto
sugl’occhi miei, perché ’l tuo amor mel dona.
per esser tua. Da quel poter, cui piacque
cader, senza tua colpa, io non potrei.
Per lasciar qualche gloria alla mia fede
tutto mostrarmi il guiderdon de l’opra.
Pur, poiché tua bontà col darmi il grado
m’offre una sorte, onde m’invidi il cielo,
la vendetta, la strage e la ruina.
O cadrò esangue o tu sarai regina.
O dio! Troppo amorosa (Piano a Zidiana)
È tutto inganno; il sai. (Piano a Sivenio)
(Miglior sorte in amor chi provò mai?)
Più non s’indugi. Andiamo, o prence, e svelto
cada di mano al fier Teuzzon lo scettro.
a la comun nostra fortuna.
che de l’opra tu sei non poca parte.
(E due cori così prendo ad un laccio).
Vista ho la serpe e non lontano è ’l fischio.
Donna? Sola? Straniera? In tal periglio?
Suggeritemi, o dei, forza e consiglio.
Per non solite vie tentar conviene
la sorte mia. Voi ne la reggia il passo
cauti e occulti vi aprite. Ove sia d’uopo,
al vostro braccio avrò ricorso. Argonte
solo mi siegua, ove m’inspiri il cielo. (Partono i Tartari)
E verran meco ardir, costanza e zelo.
nel tuo gran parte anche il real mio sposo,
una parte di lui che in te suo figlio?
Misera me, se co’ suoi giorni ancora
Zidiana, in te del genitor rispetto
Qualunque siasi il mio destino, ognora
ti onorerò come regina e madre.
prima grandezza i fasti nomi obblia.
Quello di amica, quel di serva o s’altri
darmi vorrai titoli abbietti e vili
(non dirò già i più dolci e i più soavi)
sul labbro tuo più mi saran graditi.
Non è di tua virtù lieve argomento
che ne la tua, mio caro prence e mio...
(Aimè! quasi mi uscì «Dolce desio»).
senza il cui braccio ogni possanza è frale,
senza il cui voto ogni consiglio è vano,
del ciel regolatore e de la sorte,
chiedasi un re saggio dal pari e forte.
Pria che del morto re l’alto si spieghi
serbar le prische leggi ognun qui giuri.
è del morto Troncon l’alto decreto.
«Noi de la Cina imperador Troncone
vogliamo, e serva di destin la legge,
che dopo noi sovra il cinese impero
passi la nostra autorità sovrana
in chi n’ha la virtù. Regni Zidiana».
leggi: «Troncone». Ei stesso scrisse.
è supremo voler ch’io porga il sacro
Ubbidisco, o regina, e adoro il cenno.
(Sono in porto i tuoi voti, alma giuliva).
scudo insieme e splendor, principi e duci,
su questo soglio, ov’io mi assido e regno,
regnò un tempo e si assise anche Lieva,
donna di spirti eccelsi e d’alma invitta.
le virtù più virili; e i re temuti
sarà ’l pubblico bene. A’ vostri sonni
del suo amor, di sua scelta il re mio sposo,
cercherò sol nel vostro il mio riposo.
meco giurate e vassallaggio e fede .
Sieguo l’invito e l’umil bacio imprimo.
e in bacio riverente il giusto adempio.
tu pur nascesti. A giurar vieni e vieni...
di quel trono usurpato almi custodi,
che voi siete ingannati ed io tradito.
l’amor paterno e le speranze vostre?
l’altrui perfidia. E ch’io lo soffra? E voi
protettor di ragione e d’innocenza,
meco sarà; meco sarà virtude,
Chi del giusto è amator, siegua il suo re. (Parte veloce, senza che veruno si muova a seguirlo)
vacilla il tuo destin, s’egli non cade.
E ’l tuo primo periglio è la pietade.
Ite veloci ed eseguite il cenno.
Fermate, iniqui, e non osate a’ danni
del vostro re volger le piaghe e l’ire.
regnar felice, or non voler che ’l regno
quel che brami versar; né ti conviene
cercar grana miglior ne le sue vene.
al tuo signor, senza volergli ancora
tor la vita innocente. Assai fallisti
qualch’ira degli dei non provocata.
non so se d’ira o da follia sospinta,
che risponder non degno ad uom sì iniquo.
il poco senno e ’l debil sesso; a forza
le deità più sacre. Ella ad Amida
Tutto sa, tutto vede e quanto ell’opra,
quasi raggio da sol, vien di là sopra.
mai non si tenti e in chi ne vanta i doni
si rispetti l’audacia anche del vanto.
tu del campo fedel conferma i voti.
egli tenta, previeni. Indi le pompe
di questo giorno a noi sì sacro, in cui
sia tua cura dispor. La comun pace
a me stessa confido, al vostro affetto.
Pria che la fé, mancherà l’alma in petto. (Parte)
giugni addentro ne’ cori e tanto vedi,
chiaro ben sai s’altro più tema il mio
che di Teuzzon la morte e la ruina.
Regna sovra i tuoi sensi e sei regina.
freme il nostro tiranno, e con tal giogo
Ragione imperi e rotto è ’l giogo o lieve.
disio di dominar regge a sua voglia.
O ’l tutto non intendi o ’l peggio taci
Quando gl’errori in parte
assolvo il volto altrui da un gran rossore.
Ah! Sii pietosa, o donna,
va’, ten priego, a Teuzzon. Digli che alfine
Regni ma per me regni e l’abbia in grado.
Amor... Zidiana... Il regno...
S’intende un cor quando sospira e tace.
Argonte, io non m’inganno. Una rivale
Non mai con pace una rival si trova.
Ma Zidiana è matrigna e tu sei sposa.
Spesso de la ragion l’util trionfa;
innocenza ed amore. In traccia andiamo
del mio Teuzzon. L’incominciata frode,
saprà renderle forse anche il suo regno.
Lieto sia, com’è giusto, il tuo disegno.
con più innocenza; e non mai dentro un core
ebbe più ingegno e più coraggio amore.
già dal vostro valor domo l’inganno;
e trofeo di virtù, veggio di fronte
cadere al fasto i mal rapiti allori.
che fa incauti il poter, vili il rimorso.
vi fo scorta al trionfo. Al vostro zelo
la ragione combatte e serve il cielo.
Ove, o prence, fra l’armi?
A vincere o a morir! Addio, mia cara.
Ferma, che se vuoi regno, io te lo arreco,
se morte, ho core anch’io per morir teco.
sì funesto presagio a’ miei trionfi.
con sì deboli forze? E contro a tanti
sì feroci nemici? Io non condanno
ed il giusto desio della vendetta.
i solleciti voti, i fiacchi mezzi. (Esce Argonte)
Non è ceder vendette il maturarle.
in sì grand’uopo onde poss’io?
Il tempo anzi più serve a’ miei nemici.
assalire un tiranno? A lui, che teme,
la più forte difesa è ’l suo timore.
Egli è più da temer, che a la vittoria,
se non giova la forza, usa l’inganno.
la parte, ch’è più giusta, è la più forte.
Ma una ignobile vita è sol mia morte.
Le vostre vene, o barbari nemici,
ti rimuove da l’armi, almen permetti
anche i Tartari miei; pugni anche Argonte;
fida ti seguirà la tua Zelinda.
Su, mi si arrechi elmo, lorica e brando.
Per soffrir l’armi e per vibrarle in campo
o prenderlo saprò da l’amor mio.
per quel tenero sen l’armi che chiedi.
E tu, Argonte, rimanti. Il mio destino
non è ben certo e a la mia sposa troppo
Temi il suo amore; e se nel cielo è forse
la riconduci al padre e la consola.
E mi credi sì vil che a la tua tomba
sopraviver potessi? E che quand’anche
non bastasse a formarla il mio dolore?
e dammi, or che ti lascio, amato bene,
cieli, se v’è pietà, l’ultimo amplesso.
No, mio ben, nol sarà. Tu resta, io vado,
tu a combatter co’ voti ed io con l’armi.
O tornerò con la corona in fronte,
o di questa già scarco inutil soma,
verrò a prender l’addio dal tuo bel volto.
sempre affligge il timore e spesso inganna.
mi si affollano orrori. Udir già parmi
miro l’ire, le stragi e miro, o dio!...
Tutto piaghe languir l’idolo mio.
Vedi qual n’è ’l destin. Te ne la reggia
col fido avviso attenderò; e se vieni
fa’ cor con la speranza e asciuga il pianto.
su le umane vicende il vostro amore,
vi fia giustizia ed innocenza a core.
Teuzzon vuol armi ed ire, a l’ire, a l’armi.
di piacere al crudel, l’esser crudele.
Ferro se gli presenti, odio e vendetta;
gli sia pena la morte e sembri dono.
Teuzzon cercate. In lui volgete i colpi.
Piagatelo; uccidetelo; e soltanto
ch’io giunga a dirgli ingrato ed ei mi senta.
piace più del mio scettro e del mio core
com’ei ti ricevé? Che fe’? Che disse?
Non tacer ciò che serva ad irritarmi.
Vuol armi ed ire, a l’ire, a l’armi.
Non ascolta ragion sdegno ch’è cieco;
il tuo sia da regina. Odimi e poi
(Giovi il mentir). Per tuo comando in traccia
ch’era accesa la mischia e ’l vidi, ahi! tinto
non so se del suo sangue o de l’altrui.
Come potea vergine imbelle aprirsi
fra le stragi il sentier? Parlar d’amore
ove Marte fremea? Misero prence!
Cinto il lasciai da cento ferri e cento,
oggetto di pietade e di spavento.
propizio è ’l cielo. Or sei regina. Hai vinto.
Base di tua grandezza e di tua gloria.
ma volte in lui l’armi, le forze e l’ire
gli tolgon le difese e non l’ardire.
Cadrà, se tardi... Ah... Nol soffrir...
va’, riedi al campo, i cenni miei vi reca.
che prigioniero al mio poter si renda.
Tu l’arcano ne sai. Salva il mio core.
qual pietà per Teuzzon? Qual turbamento?
Ne la sua morte il tuo dolor pavento.
Fan sempre i gran favori un grande ingrato.
Non è mai sconoscente il generoso.
Ad un timido amor tu fai lusinga.
ceda l’alma orgogliosa a’ miei desiri?
Vuoi ch’io libera parli e senza inganno?
non è facil trofeo. Zelinda il tiene,
diè nel tartaro ciel fede di sposa.
E sprezzata sarò per altra amante?
Non disperar. Lo vinceranno i tuoi
favori eccelsi e ’l tuo destin presente.
Tutto può amor di vita e amor di trono.
(S’ei mi tradisce, ah! che di morte io sono).
Quanto è saggia costei! Quanto di lume
gl’astri le dier per penetrar ne’ cori!
d’un gran piacer. Non disperate, amori.
a’ tuoi guerrieri in su la man feroce
la morte di Teuzzon. L’hai prigioniero.
Ma troppo importa il far ch’ei cada estinto
È in balia del mio amore il suo destino.
e da l’odio il difendi e da la frode.
Mercé al vostro valor, che su la fronte
mi fermò la corona, oggi a la mia
felicità nulla più manca, o duci.
Mancavi ancor la miglior gemma. E questa,
Fregio de la vittoria è la clemenza.
toglier ci può de la vittoria il frutto.
Lui prigionier, temer si dee?
la sua vita temer, la sua sciagura.
Vi assento anch’io; ma si maturi il colpo.
Nuoce a l’opra talor lungo consiglio
ed il lento riguardo è un gran periglio.
mora Teuzzon; ma giusta sembri al regno
pongansi omai; legge le pesi; e dia
la sentenza fatal ragion, non odio.
Giudici voi ne siate; e ’l gran decreto
poi la destra real segni e soscriva.
Tutto abbiam vinto, amico, e pur non posso
Dei regnar, dei goder; e hai cor sì vile?
Aver ci basti un innocente oppresso;
ricade ne l’autor. Siamo in un mezzo
che o perir ci conviene o compir l’opra.
In noi l’odio cadrà, l’infamia in noi.
come fiamma senz’esca, odio impotente;
e la colpa felice anche è innocente.
Non mancano al poter giammai pretesti.
Ogni nostro delitto è già suo fallo;
e non abbia riguardi un reo vassallo. (Vanno a sedere al tribunale)
onore al tuo natal. Siediti.
ti dia sovra di me la mia sciagura.
Sono il tuo re; tal mi rispetta; e siedo. (Preso un seggio, vi s’asside con disprezzo)
perché ti è ignoto ancor che reo ten vieni
Voi miei giudici? Voi? Due bassi e vili
vapori de la terra osan cotanto?
giudicato io sarò? Qual legge umana,
Altro giudice un re non ha che il cielo.
Chi dare il può questo poter ci diede.
giustifichi per tema un tradimento?
(Rimprovero crudele, al cor ti sento).
Contender seco è un avvilire il grado.
segnar le accuse, le difese e gl’atti
Mi accingo a l’opra. (Siede ad un tavolino minore a canto al tribunale)
sono infrante le leggi. A’ voti estremi
del genitor disubbidisti. Il sacro
giuramento a sprezzar cieca ti mosse
Ribel l’armi impugnasti e i nostri acciari
fuman per te di civil sangue ancora.
Tu ne reca, se n’hai, le tue discolpe.
render ragione a tribunal sì iniquo.
E mancan le difese a reo che tace.
il giusto irrevocabile decreto.
che orror faccia alla terra, infamia al regno.
(Giudicata così muor l’innocenza).
Duci, soldati, popoli, a voi parlo;
a voi m’appello de la legge iniqua,
spurio aborto d’inganno e di livore.
giudice lui, né ’l suo giudicio approvo,
l’anima siete e di chi l’empie il braccio,
siate il giudice mio. Ragion vi rendo
di mia innocenza e poi giustizia attendo.
Tu segna ancor l’alto decreto.
più non lice produr vane discolpe.
si riconduca a la prigion primiera.
Poco là dureran le tue ritorte,
che a disciorle verrà, verrà la morte.
a sterile virtude utile colpa.
(Voi siete, regno e amor, la mia discolpa). (Va a scrivere)
A la regina or vado, onde al decreto
si dia l’ultimo assenso e poi son lieto.
escon languidi sguardi; e un sol non viene
a farmi fé del suo giurato amore.
avrai, mio core, avrai perduto invano
innocenza, virtù, fede e riposo.
Quetati; ingiusto sei, se sei geloso.
S’egli fia l’amor mio, sarà innocente.
Senza la tua pietà morto il compiango.
Pietà si chiede? Ei me ne dia l’esempio.
che sia pubblica e grave al par del fallo.
dia la destra real l’alto consenso.
A me si rechi onde vergare il foglio.
Già stabilì ciò che far deggia il core. (A Zelinda)
v’imprimi il nome eccelso.
Imprimerollo e per Teuzzon saranno
i caratteri miei note di sangue.
ed è grandezza mia ch’egli sen mora).
Non è tempo ancora. (Depone la sentenza sul tavolino)
che ’l tempo cangi il tuo destino? Eh scrivi
che è viltà se non puoi, rischio se tardi.
Non ha ragion l’indugio e non pretesto.
Vanne, non più, pria che il dì cada,
il foglio segnerò. Chi siede in trono
questa aver puote autorità sui rei.
Va’. Già intendesti i sensi miei.
E Cino ancora è fra’ delusi amanti.
Qui mi si guida, e ne sia scorta Egaro,
per le vie più segrete il reo prigione.
arbitro di sua vita e di sua morte.
Aimè! Perduto ho ’l caro ben!
Regina. Eccoti ’l prence.
Seco mi lascia; e ad ogni passo intanto
si divieti l’ingresso... O dei! Ti arresta.
S’ami dunque e s’ardisca.
spettacolo e trionfo a’ miei nemici?
più di giustizia. A tuo sollievo io stendo
la stessa man da cui ti credi oppresso.
Né mi lascia temer salda costanza
né mi lascia sperar rigida stella.
al tuo, ch’ora è mio trono, il ciel ti chiama.
Non ti sia grave, o prence,
il linguaggio del cor negl’occhi miei.
e intenderai che d’amor peno e moro.
E che il morto tuo sposo è tuo martoro.
Morto il mio sposo? Ah no, ch’egli in te vive
e lo vedo e gli parlo e ancor l’adoro.
Sì, ancor l’adoro ma più bel, ma degno
giovane, amabil, fiero e qual tu sei.
Stelle! Numi! Che ascolto? Ah! Ti scordasti
che a me fu genitor chi a te fu sposo?
E amando in te ciò che di lui ci resta
in che, dimmi, l’offendo? È tanto eccesso
chi del padre fu sposa e non mai moglie?
usa altri sensi o a la prigion men riedo.
Sì, altri sensi userò ma quegli, ingrato,
che mi detta il dolor d’un tuo disprezzo.
Su, conosci, o crudel, dopo il mio amore,
ho ragione, ho poter su la tua vita.
qual mano irriti e qual amor disprezzi.
(L’alma i suoi mali a tollerar si avvezzi). (Si leva e va al tavolino dove legge la sentenza sottovoce. Zelinda si lascia vedere su l’uscio del gabinetto)
(Or mi sovvien, Zelinda è che mi rende
difficile trofeo quel cor che bramo;
ma di colei trionferà in quel core
ira e vendetta, ove non possa amore).
Lessi. Si vuol mia morte... (Ah! Qui Zelinda!) (Teuzzone torna a sedere ed alzando gli occhi vede Zelinda)
nome a compir la capital sentenza.
là dove pieghi il tuo voler. Risolvi.
Qui te stesso condanna o qui ti assolvi.
uscite pur di quel bel labbro e in seno
Sei pur ritroso, o dio! Perché rubella
e non è questo un dir ch’io speri, o caro?
Eh! Ch’io gli accenti alora a te volgea,
a te, cor di quest’alma, o mia Zelinda.
E parli a chi non t’ode? (Zelinda li fa cenno che taccia)
Io l’ho presente. (Rimira per la scena e Zelinda si ritira)
La bella idea mi sta nel core.
(L’idolo mio quasi tradisti, o amore).
Non giunge a tanto il tuo poter.
se nol puote il mio amor, il tuo periglio.
Mai per viltade io non sarò spergiuro.
Ne sarà prezzo il trono mio...
questo momento alla pietà si doni.
Fa’ tu la tua sentenza; o morte o soglio.
Torno a’ miei ceppi e tu soscrivi il foglio.
T’ubbidirò, spietato; e su quel foglio
Dove? E mel chiedi? L’ire
ei proverà d’una beltà schernita. (Scrive)
(Scampo non veggio più per la sua vita).
Segnato è ’l foglio. Ei morirà.
vuoi che ti ceda un cor? Nuovi ne tenta.
Espormi al disonor d’altro rifiuto?
Fa’ che a Teuzzon mi si conceda il passo;
e ’l disporrò al tuo amor.
ne la prigion diasi a costei l’ingresso.
Sieno ancor co’ suoi giorni i miei recisi.
Seguiamla, amor. Ne la prigion si vada
del suo fato e del mio gl’ultimi voti.
Oh! S’egli infine a la mia fé si rende,
chi più lieta è di me? Chi più felice?
E felice sarò; già ’l cor mel dice.
pronto verrò. Ma che far pensi?
Voler seco perir non è un salvarlo.
Peggior morte saria viver senz’esso.
la sua metà più cara e torna al padre.
Ch’io torni al padre? E mel consiglia Argonte?
Se un codardo desio di fragil vita
va’, lascia questo ciel; torna onde uscisti.
colà restò sol per seguir la sorte
Ah! Tu mi offendi a torto. Il zelo mio
è pietà che ho di te non mia viltade.
Teco sarò fino al respiro estremo
che il rischio tuo, non la mia morte io temo.
al carcere fatal, giovi usar seco
l’arte. Un credulo amor si disinganni;
e de l’evento abbia la cura il cielo. (Si ritira in disparte)
dir re e signore. In breve il regio ammanto
più illustre renderà la tua fortuna.
un sangue accrescerà chiaro e innocente
i diletti a l’amore e i fregi agl’ostri.
I detti tuoi mi fan confuso e lieto.
qual col mio labbro a te favelli il vero.
godrà un rival di tue fatiche il frutto;
sol l’infamia e ’l rimorso e l’onta e ’l lutto.
Come? O dei! Qual rival? Cino infelice!
Più non dirò. Vanne; a Sivenio il chiedi,
più de l’inganno tuo che del suo amore.
nel funeral de l’innocenza. A costo
de la tua gloria misero ti rendi.
Servi a chi ti tradisce; e un colpo affretta
che fia prima tua infamia e poi mia pena.
Tale il premio sarà, tal la mercede
di un colpevole amor, di un’empia fede.
Cieli! Ch’io ’l creda? E sarà ver... Sivenio
giunge opportuno. Or sia nel dubbio affanno
o riposo o vendetta un disinganno.
felicità. Segnò Zidiana il foglio.
Morrà Teuzzone; e in dì sì lieto ei fia
del pubblico piacer vittima illustre.
odio egli è solo? O ne ha gran parte amore?
non è ciò ch’è mio acquisto, un letto, un soglio?
Morrà Teuzzon, di che ho timor? Sì, sono
già mio possesso il talamo ed il trono.
promise al mio valor la tua regina.
Tu datti pace e a me tuo re t’inchina.
ceder solo poss’io le mie speranze;
né de’ miei scherni altero andrai.
impeti dono a un disperato affetto;
e a l’antica amistà l’ire perdono.
Che perdon? Che amistà? Su, qui decida
chi di scettro e di amor più degno sia. (Dà mano alla spada)
e sarà tuo gastigo il tuo ardimento. (Fa lo stesso. Si battono)
Principi, onde tant’ire? E qual furore
vi spigne a l’armi? (Si frappone ed essi si fermano)
La tua beltà ci fe’ rivali.
Ed or rivalità ci fa nemici.
E questo ferro... (Tornano per battersi)
Tanto sugl’occhi miei? Più di rispetto
a la vostra sovrana. (Ahi! Che far deggio?)
la mia ragion nel tuo piacer rimetto.
Or di’ con qual mercé ti piacque
ricompensar de la mia fede il zelo.
Conferma a lui che tua bontà compagno
teco mi elesse ad impor leggi al mondo.
Dirò... Cino... Sivenio... (Io mi confondo).
Cino, non lusingarti. Io son suo sposo.
Rinuncia a la tua speme. A me diè fede
La mia felicità che più sospendi?
(Mal fermo ancora è ’l mio destin. Costoro
Nessun s’irriti. Arte mi giovi e ingegno).
Sivenio, è vero, a te promisi affetti.
Datevi pace. Io qui spergiura
pari è ’l grado, la gloria, il zelo, il merto.
deggio gl’affetti miei. Del par gl’avrete.
Dite, lice ad un re, che in Cina imperi,
Or chi ha tra voi l’alto poter?
dunque la legge sia che possa ormai
una vostra regina aver più sposi
Cino, Sivenio, ambo sarete i miei.
così mi serbo indipendente il regno.
freno sarà la gelosia de l’altro.
il diviso comando e meno arditi;
non avrò il mio sovrano in due mariti.
a l’arbitrio real mi accheto e applaudo.
in sincera amistà regno ed affetto.
di un legitimo re, saprà anche meglio
un ingiusto rival toglier di vita).
(O speranze deluse! O fé schernita!)
de le tue colpe. Misero chi base
pensa di sue fortune un gran delitto!
abbattuta virtù, né più s’indugi.
Teuzzon non anche è morto. Ho forze, ho prove
e ripara l’error, torna innocente.
minacciosa ver me volge la fronte.
Ama, o prence, chi t’ama e sei felice.
Amando la mia sposa, amo chi deggio.
Politica ti grida: «Ama, se giova».
Ma ragion mi ripete: «Ama, se lice».
E non lice gradir di una regina
pria che mancar di fé, mancar di vita.
Perder questa è sciagura.
Sempre il più reo delitto
In serbar la tua fede hai troppo core.
E in volerla tentar tu hai più baldanza.
di regio tralcio, io d’alto impero erede,
in verde età, quando a’ miei voti a gara
si offrian beni, piaceri, onori e glorie,
morir deggio innocente e da’ miei stessi
Perdite illustri! Ampie sciagure! In voi
pur non degno impiegar gl’ultimi affetti.
li dono a te. Voi difendete, o numi,
ciò che vive di me nel suo bel core,
da l’altrui crudeltà, dal suo dolore.
(A che mi astringi, amor?) Teuzzone, io vengo...
Zelinda... O numi!... Ed è pur ver che ancora
e ti miri e ti abbracci, anima mia?
Tua più non mi chiamar. Questa si ceda
sospirata fortuna ad altra amante;
o si ceda più tosto a la tua vita.
la rival mi t’involi e non la morte.
Vivi e benché d’altrui, vivi felice.
d’essermi fido ne’ respiri estremi.
Ma te ne assolvo. Un gran timor tel chiede.
Nulla pavento più che la tua fede.
Caro mio ben, quanto più m’ami infido,
tanto meriti più ch’io sia fedele.
che non ha sul mio cor tutto il potere.
Perdonami un error ch’è gloria mia.
Se non son di Zelinda io vo’ morire.
Aimè! Viver potresti e non tradirmi.
Parla. Se posso, ubbidirò.
nasce il tuo rischio e ’l suo furor. Se amarla
Finger? No, s’è viltà, manco a l’onore,
Questo non posso e quel non deggio.
se non morir più tardi e con più scorno?
ma più de l’onor mio non posso amarti.
Tu me ne lascia il pregio; ed or che piace
la mia morte agli dei, soffrilo in pace.
la mia pietà. Già dal tuo esempio apprendo
com’esser forte o disperata. Addio.
ma sol non cada. A la rival feroce
una vittima accresca anche Zelinda.
arbitro resta, io lo sarò del mio.
L’onor tu ascolta; io l’amor sieguo. Addio.
il destin di Teuzzone e l’amor mio.
sugl’occhi suoi. Poi me ne accerti anch’egli.
Tu abbassi i lumi? E chiude
tronco sospir gl’accenti? Intendo, intendo.
vana è la tua pietà, vano il mio amore.
Mel dice il tuo silenzio ed il mio core.
Tempo non v’è. Qui morte o vita...
Perfido, ingrato, ciò che chiedi avrai.
tosto si guidi il reo. Dove la reggia
tronco... Ah! Teuzzon, per la tua vita ancora
salvati; il puoi. Le furie mie disarma.
E ten priega per me la tua Zelinda.
premio de l’amor tuo, quella ti resti
che l’altrui frode a me dal crin divelse.
tanta pietà, vanne, ten priego, vanne
con l’avviso fatal de la mia morte.
col rimembrar la pura fé che meco
viene a la tomba; ed in quel punto istesso
questo per me le arreca ultimo amplesso.
quella pietà a incontrar che ti è dovuta.
Non più pianto, non più. Sangue mi chiede
crudel regina, ed a Teuzzon Zelinda.
furor la riconosci. In me finisca,
Qui l’odio tuo sarà più giusto. Dammi,
La tua rival, la tua nemica io sono.
a qual fé si appoggiar le tue speranze.
Tu quella sei che inspira il ciel? Tu quella?...
l’empie tue frodi a l’amor mio tradito;
e nel tuo sen nol lascierò impunito.
Piacemi l’odio tuo. Sfogalo appieno,
sfogalo, e te ne assolvo, in questo seno.
Resta pur qui fra l’ombre e custodisci
Io parto a maturarle; e debitrice
parto a la mia rival di un gran diletto.
Armiam, tu d’ira, io di fermezza il petto.
che ad onta del mio affanno empion quest’alma
di un’imagine lieta e lusinghiera.
de l’idol mio qualche sembianza in voi;
e voi ne offrite a me l’idea che adoro,
per letargo del duol, non per ristoro.
sotto il manto ferin di vil giumenta
il suo immenso poter chiuse e coperse,
stien le vittime pronte e pronto il ferro.
(D’ingiustizia e d’amor fiero trofeo).
Tu leggerai la sua condanna, o Cino.
E l’empio si stordisca al suo destino.
si fissa in voi senza terrore il guardo.
Per meritar pietade, invan sei forte.
Ma con che spaventarti avrà la morte,
(L’impietà e la virtù pugnar qui denno). (Parte)
Popoli, al reo Teuzzon v’è un reo maggiore
di poter sovrumano osò poc’anzi
Il sacrilego, l’empio ecco in costei. (Additando Zelinda che sopraviene condotta da Egaro)
che di vindice Astrea cadan le pene.
Che sento?... Aimè!... Zelinda...
Amato bene. (Si abbracciano)
temasi in sì bel sangue il rischio vostro.
Questa è Zelinda; sì, Zelinda è questa,
del tartaro monarca inclita figlia.
qui errò; qui si condanna; e mora anch’essa.
la mia costanza. Io ti vedrò morire?
Ed io sarò cagion de la tua morte?
come viver potea? Così in me sola
cadesse il colpo; e tu per me vivessi.
sia di fede e di amore in quel bel seno.
Solo deh morir fammi e te ne assolvo.
Tutte in me stanca l’ire e tel perdono.
No no, morrete entrambi. È tal la legge.
Ministri, olà... (Incomincia a comparire e ad avanzarsi la macchina, sopra di cui vedesi una gran giumenta tutta d’oro, ornata di fiori)
Né v’è pietade? (A Zidiana)
sotto il taglio crudel vittima esangue.
prima l’avido acciaro entro al mio petto.
(Taci, pietà, lungi, importuno affetto).
o regina, il favor. Tu morrai primo.
E tu raccogli il mio sospiro estremo,
cara Zelinda... Aimè! Tu piangi; e ’l vanto
di morir con virtù perdo al tuo pianto.
Venga il ministro al sacrificio.
la sentenza fatal leggasi, o duce.
Or n’apro il regio impronto. Or voi
popoli qui raccolti, udite, udite.
Poi cada l’empio ed il fellon punite. (Legge)
voglion che dopo noi regni Teuzzone.
Il nostro erede ei solo fia. Troncone».
de l’estinto regnante è ’l voto estremo.
l’alta sua man le fide note. Il guardo
giudice qui ne sia. Ciascun qui legga.
Teuzzone è ’l vostro re. Base l’inganno
fu de l’altrui grandezza. Un fatal foglio
in uso del suo grado il re già diede,
quasi perir fe’ l’innocenza. A voi
(Che farò? Son perduto). (Fugge ed Egaro lo seguita)
Regni Teuzzon, mora Zidiana. (Si avventa contro Zidiana)
Fermati, Argonte; ira si affreni. A voi
basti, o fidi, ch’io viva; e non mi serva
il cadavere altrui di grado al trono.
Faccia le mie vendette il mio perdono.
Sivenio sol prigion si arresti. Il cieco
furor, che il guida, in lui temer conviene.
Più non si tema. Or ora, ed io lo vidi, (Egaro ritorna)
più disperato che pentito, il ferro
nel sen s’immerse e ritrovò a sé stesso
E la sua morte è sicurezza al regno.
la mia felicità ch’ella mi opprime;
ma tu ne sei prima e gran parte, o sposa.
Quanto ti deggio, o Cino!
Maggior premio si renda a la tua fede.
gradirne il nodo, onde ti unisco a lui.
Saran sempre mia legge i cenni tui.