Metrica: interrogazione
761 endecasillabi (recitativo) in Pirro Venezia, Pasquali, 1744 
Lucido dio, sola del giorno e prima
fonte e cagion, dal cui splendore e moto
beltà prendono gli astri, ordine i fati,
spirto degli elementi, alma del mondo,
riverente ti adoro; e al tuo gran nume
queste del fier Macedone, già vinto,
spoglie guerriere, alti trofei di gloria,
il figliuolo di Eacide, divoto
fra il sangue e l’armi a te consacra in voto.
Questi, che a te sen viene, è de’ custodi
del fier Cassandro il primo duce; è Ciro.
della sorte un favor. Cassandro, il grande
regnator de’ Macedoni, mio sire,
sicure ha le vendette; e fede allora
le sue perdite istesse a te faranno.
né al vincitor chiede la pace; t’offre
solo il venturo dì per tregua all’armi.
ch’empiono il suolo e fan la guerra a’ vivi
l’urna si debbe e il rogo. A’ tuoi pur anche
dei quest’ultimo onor. Tumidi al pari
vanno i fiumi oltre l’uso al mar vicino;
de’ tuoi ’nfausti trofei piangi ’l destino.
Alla parte miglior nella men forte,
cesse al Caspio l’Egeo, Cassandro a Pirro.
gloria ho, non fasto; e grazie rendo a’ numi
di un loro dono e non de’ mali altrui;
Diasi pur tregua e, se Cassandro il vuole,
tra noi si è sparso; e le nostr’ire han fatto
molti infelici. Anziché cada il giorno,
verrà Demetrio a stabilirne i mezzi.
cauta ragione. Al mio signor men riedo;
e a lui dirò che nella tregua offerta
che tuo rischio sarà ciò ch’è tua gloria
e comincia a temer la tua vittoria.
la non sua reggia, andrai, Demetrio; e in questi
sensi esporrai del regio core i voti.
desio mi mosse a guerreggiar. Cassandro
stenda il nome e lo scettro; ed al suo fasto
sien ristretto confine Africa ed Asia.
rival della sua gloria, o del suo trono.
che seco io possa in moderato impero
piccioli regni, ov’ei di sangue e d’armi
non ha diritto e che una colpa ha resi
oggi ’l maltolto o crudel guerra attenda.
del suo regno gli lasci è sol tuo dono.
Alle leggi che dai, Cassandro appena
Fido esporrò quanto m’imponi.
                                                           Io teco,
segreto e ignoto, in sul piegar del giorno
                                Fra’ tuoi nimici?
                                         Ove gli giovi,
scorda il tiranno e giuramenti e patti.
l’amor, l’ardir, l’amico Glaucia, Ismene,
l’esercito vicin, gli dei che han presa
con sì chiari trofei la mia difesa.
figlia a Cassandro e pur fedele al nostro
inviterò con un mio foglio Ismene.
Recherallo un mio servo.
                                               Il ciel ti assista.
meco a goder nel sospirato oggetto
e sia pari alla brama anche il diletto.
Ah, Demetrio, che pensi? E quale interna
Nella reggia nimica andrai messaggio
del tuo re, del tuo duce? Obbligo e fede
Ma, ti sovvenga e libertade e vita
colà tu dei. Non è men forte il nodo
di un grato amore e la memoria io lodo.
ed Arideo benefattore. Ad ambi
nel loro amor giurai la fede; e un solo
può nel caro possesso esser beato.
esser deggio fellone o all’altro ingrato.
Necessità già mi vuol reo. Qual parte
Dove sfuggo l’error, trovo il periglio;
dove cerco ragion, manca il consiglio.
nell’Illirio, ove regno a te vassallo,
mi giunse il grido; e dal paterno cielo
duci e guerrieri in tuo soccorso ho tratti.
E ben sei giunto al maggior uopo, o sempre
                                Il so con pena; è Pirro.
Vassallaggio e amistà, fra te, fra lui,
tien diviso il mio cor. Pur, qui tel giuro,
sol suo amico sarò quanto permetta
un amico ed un re più non richiede.
dovrebbe, è in te virtù. Glaucia può solo
amar senza irritarmi il fier nimico.
Ma questo amor non saprà farmi infido.
E l’odio mio non dee volerti ingiusto.
Così sei regnator; così sei giusto.
che oprai per te, dai troppo prezzo.
                                                                 In breve
di Ellenia andrai, mia regal figlia.
                                                               Ah, sire.
Ella ti sarà sposa. Alla tua fede
trovar non posso un guiderdon maggiore.
(Gioie di amor, non mi opprimete il core).
le genti in fede, in sicurtà le mura.
Padre e signor, dall’ostil campo a voi
accettata è la tregua e si vuol pace.
nunzio verrà che teco stringa il nodo.
Pace si dia, purché sia onesta e giovi.
                                            Ismene, o figlio,
diasi; il prezzo non val guerra e periglio.
                                   Taccia, se nuoce. Il regno
sia il primo amor; poi si compiaccia al senso.
non è del re, del minor volgo è il bene.
(Vita mi si può tor ma non Ismene).
Pria moverò tutto sossopra. Amici,
meco trarrò. Dell’imeneo su l’ara,
cadrà il rival; cadrà pria seco Ismene.
Io stesso ancor sul loro busto esangue,
pria spargerò, fiero anche in morte, il sangue.
Ciro, chiamisi Ismene; io qui l’attendo.
son re, son padre; e non obblio natura
Fra il regno e te, tengo in bilancia il core.
Vanne; so il mio dover; scuso il tuo amore.
che sé stesso a sé stesso. Invano attende
da noi l’iniquo Pirro e sposa e pace.
Col dargli Ismene, ogni ragion gli cedo
giusta è la forza, ove il rispetto è vano.
è tempo omai che sul tuo crin risplenda
il paterno diadema. Io, sino ad ora,
più che suo possessor, ne fui custode.
nell’imeneo del figlio anche il mio trono.
e l’amor tuo dia maggior prezzo al dono.
se non qual vissi, al tuo parlar rispondo.
il mio scettro, il tuo figlio. In una adempi
il tuo dover; cerchi ’l tuo pro nell’altra.
Vuoi che le accetti? Io te ne addito i mezzi;
separa i doni tuoi. Libera innanzi
poi nell’uso del regno e del comando
non ricever lo sposo; e vo’ che il nodo
custodi, anziché servi i tuoi mi stanno,
e in te vedo che parlo al mio tiranno.
dell’amor, che ti serbo, il mio soffrire.
Sin da’ primi anni tuoi t’amo qual figlia;
all’onor del mio sangue; e allor che t’offro
grandezza, libertà, marito e soglio,
hai troppa sconoscenza o troppo orgoglio.
Se un tal nome t’irrita e se più stima
che Ismene io sono e che d’Ircano io nacqui,
con venefico umore, empio togliesti.
ci tolse il re tuo padre. Il volgo avvezzo
di ogni nostro destino a far mistero,
sparse voce bugiarda; e questa or trova
perché sembri giustizia il tuo furore.
con chi men ti conosce e più ti teme.
D’altra tempra son io. Reo ti ha convinto
gl’impeti di quest’alma. Anzi sovente
suo carnefice iniquo a me ti giura
Serbarlo in me, dopo il misfatto enorme,
tua politica fu, non tua pietade.
vittima del tuo fasto. Era mal fermo
Tu il rendi a me ma sol per darlo al figlio;
per tema di cader, vuoi ch’io l’ascenda.
Intendo. Il folle amor, che t’arde in seno
da’ suoi trofei, ti fa superba e ingrata.
in lui punir la sorte, in te l’orgoglio;
posso ne’ mali suoi farti infelice,
Tutto, sì, vincer puoi, non l’odio mio.
                               Ogni altra man mel renda
                   Un che ti è figlio?
                                                     Un che t’innalza
all’impero dell’Asia.
                                      Impero nato
da veleni, da inganni e da rapine,
ha per base i tracolli e le rovine.
sinor li meritai. Ma senti, Ismene.
sgrida, opponti, minaccia; abbi ogni fede
nel valor di un nimico; entro al tuo core
ma scegli al dì venturo o nozze o morte.
né pur costa il rossor di un primo istante.
questo foglio di Pirro i tuoi be’ lumi.
giungi opportuna! Oh care note! Oh foglio!
(La ministra son io del mio cordoglio).
«Mia principessa, in sul cader del giorno,
tregua ed amor. Si chiederanno intanto
per me tue nozze al regnator Cassandro.
puniran l’armi nostre il suo furore;
e alfin dell’odio avrà la palma amore».
Caro e fido amator! Bei segni impressi
di un grande amor condona. Il cor non basta
tutta in seno a capir la gioia mia.
Hai ragion di andar lieta. (O gelosia!)
                                 E partì tosto?
                                                            Appunto.
stimai fermarlo, ove Cassandro impera.
                                         (Sorte severa!)
la tua fiamma a tacer, fiamma che occulta
t’arde tant’anni in seno. A te scoprirla
sol più rea ti faria, non più felice.
Dunque per Pirro a ricercar tu vieni...
                                   Ed in tal uso impieghi
ch’io ti serbai? Tal guiderdon mi rendi?
                               Tutto in mio pro.
                                                                Ma come?
In isposa di Pirro al re mio padre
Ellenia chiedi e non Ismene.
                                                      Ah, prence,
                                  Che tradimento?
Pirro è solo un mio suddito, un ribello,
e che dee la sua sorte al suo delitto.
ride a’ latrati alma che i voti innalza
io di più regni, io di più regi erede?
fieri affetti del cor). Prence, Arideo,
tutto, tutto il poter, di cui ti onori,
a debellar non basta i miei timori.
È sventura di molti un solo eccesso;
per te tutti tradisco e più me stesso.
Non è lontano il genitor. Per vano
terror non perder la tua sorte; o temi
la sconoscenza tua, gli sdegni miei.
Ne’ gravi affari, ove agitar si deggia
non parli ’l re solo a sé stesso; ei chieda
il consiglio di molti; erri con tutti.
Pirro vuol pace. Ismene e due corone,
ne saran forse il prezzo. Arideo, Glaucia,
serva d’ancora sacra un buon consiglio.
così inferma non è che a un urto solo
di nimico destin vacilli e cada.
ti son giunti soccorsi; altri ne attendi
Se rendi Ismene e due corone, il mondo
può dir viltà, non mai ragion, l’assenso.
temi una pace vergognosa. I sensi,
non mi detta il mio amor ma la tua fama.
La tua fama, o signor, sia quella appunto
due corone non tue; non le hai dal sangue;
non le hai dal ferro. A te commesse entrambe
fur, non cedute; e il ciel ten volle un tempo
Ismene è nata libera e regina.
dal tuo poter, sei regnator più augusto.
Non fan gli scettri il vero re ma il giusto.
                              Ed Arideo da amante.
Ma cieco è quel che amor geloso elegge.
dir ciò che dee di chi ubbidisce il voto,
far ciò che vuol di chi comanda il peso.
Fine alle gare. Il gran consiglio è preso. (Va a sedere sul trono)
(Vieni, Ellenia infelice; e sii tu stessa
A te, re de’ Macedoni, Cassandro,
Pirro, mio re, del cui valor ti sono
i suoi chiari trofei prova verace,
se pur la brami, invia salute e pace.
Pace t’invia ma ne prescrive i patti
resti e la Media in suo dominio; Ellenia,
sia nel regno e nel talamo consorte.
Scegli a tuo grado; è in tua balia la sorte.
                    (E il credo?)
                                             (O fortunati inganni!)
ti toglie all’ire mie. Ma nel tuo Pirro
ne avrai la pena. A lui ritorna e digli
ad un fellone un suo diadema in fronte
sdegna mischiarsi a quel di un empio. Egli altro
                                     Ed odio e guerra avrai.
Audacia di nimico! Udiste, o fidi? (Scende dal trono)
                               Anzi di danno, o sire.
Le due corone, onde la guerra avvampa,
Ma vanno a porsi in su la fronte a Pirro.
Anzi sul crin di una real tua figlia.
cui la privata utilità dia legge.
Ma cieco è quel che amor geloso elegge.
Già nel tuo cor più non lo temo. In esso
finì di farmi guerra il suo delitto;
il mio primo trionfo ho nel tuo sdegno.
Grave perdita, sire, è un fido amico.
Risarciralla il nodo a te giurato.
misero amico ed amator beato.
Oh come lieta al mio ritorno applaude!
o bellissima Ellenia, il chiuso affetto.
la credo e mal l’intendo.
                                             A’ gran diletti
lunga pena in amor toglie la fede.
amico Glaucia, entra tu a parte ancora.
con più tenero nome a chi ti adora.
Dopo il dolor di lontananza acerba
nell’impeto primier dell’allegrezza,
romper le leggi più severe, aprirsi
con più libere voci e dire allora
quel mio, quel caro, onde si unisce insieme
alma con alma in su le labbra estreme.
Come! Cui parli? Ed a qual fonte ascrivi
                                             A quel che suole
nascere in noi nel riveder chi s’ama.
Prence, né il tuo ritorno or mi consola;
né la tua lontananza unqua mi afflisse.
Ma poc’anzi amorosa in lieti accenti
L’amor tuo t’ingannò. Non m’intendesti.
Che fatal giorno è questo, in cui tradito
son dall’amico e dall’amante al pari?
mio contento altre volte, or come siete
(Ma non è quella Ismene?)
                                                   (O dio! Nel punto
del vicino goder, di che ho timore?)
Son teco, o cara, e non tel dice il core?
speranza, vita, anima mia, confondo
gli manda l’alma innamorata al labbro,
per tema di tacerne un che ti piaccia.
se nol sento, idol mio, fra le tue braccia.
Dopo tanti trionfi, amato Pirro,
quanto mi è dolce! E de’ miei lumi è gloria
che un sì gran vincitor sia lor vittoria.
Ascrivi agli occhi tuoi, più che al mio braccio,
Io combattea per meritare Ismene
una fiamma più illustre, un cor più degno.
dove anche impera il fier Cassandro. Ah, questo,
duran le mie catene; e col tuo rischio
tu ad accrescer qui vieni i miei spaventi.
quando Pirro è lontano, allor paventi.
ti rende formidabile ed invitto,
qui non giova che a perderti. Deh, vanne,
l’anima mia dal più crudel de’ mali.
                                        Quella costanza
che forse io perderei nel tuo periglio.
risparmia la tua vita, anzi la mia.
Compisci ’l tuo trionfo, il mio riposo;
e torna a me liberatore e sposo. (Arideo sopravviene e si ritira in disparte)
(Egli è desso il rivale; io non m’inganno).
Forza è ubbidirti. Ismene, addio. Fra poco
finirà i tuoi spaventi e le mie pene.
                                  Addio, diletta Ismene. (In atto di partirsi, s’incontra in Ciro)
                                          O dei!
                                                        La spada (Impugna la spada)
fuorché nel sen de’ suoi nimici immersa.
non provocar sopra il tuo capo. O cedi
o mi cadrai, vittima d’odio, a’ piedi.
Sì poco adunque in questa reggia è sacra
la ragion della tregua e delle genti?
Fé non si serba a un traditor.
                                                      Tu menti.
con la sua morte il suo furor punite.
Ma pagheranno il mio morir più vite. (Si avanzano le guardie contro di Pirro)
Iniqui, addietro; e tu, se m’ami, o Pirro,
lascia guidarti al tuo destino.
                                                      Ismene,
ti ubbidisco con pena. Eccoti un ferro (Le depone a’ piedi la spada)
gelare il sangue al mio rivale in petto.
Fremi d’ira ma schiavo e di dispetto.
la vita, il custodisci; e avvinto il guida
                                    In me ti affida.
                                              No, Ismene,
non disperarti e non mi torre il vanto
di un intrepido ardir col tuo bel pianto.
Cessi, Ismene, il tuo duol, che troppo indegno
è di que’ pianti un traditor.
                                                    Tu solo,
e il premio che ricevo è l’odio tuo.
Pirro ti è infido e ti tradisce...
                                                       Iniquo!
La taccia di spietato a te non basta,
che l’infamia anche vuoi di mentitore?
a non saper la tua sventura in corte?
Involati a’ miei sguardi, anima vile.
La so purtroppo e in te l’autor ne miro.
Vien la germana. Ella dirà qual sia
il perfido, l’iniquo, il disleale,
se Arideo, che ti adora, o il suo rivale.
Misera Ellenia! Io qui affrettava il passo,
e in periglio lo sento e fra catene.
che quei di un vano e mal gradito amore.
Sol di Pirro favella il mio dolore.
                                              E ancor t’è ignoto
che or or Demetrio, il messagger di Pirro,
chiese in suo nome al genitor mie nozze?
                                            E vivo? E sento?
Oh nodo! Oh pace! Oh Pirro! Oh tradimento!
                                           Io l’ebbi, Ismene. O male
ubbidì ’l servo o male intesi io stessa.
                      A che ne’ miei giardini?
                                                                    Ei pure
co’ più teneri sensi...
                                        Eran lusinghe.
sposa mi disse, anima, cor...
                                                     Fu inganno.
Pirro, o dio! nol vo’ dir che mi tradisce.
Facciam giustizia alla sua fede ancora;
e se per lui deggio languir fra pene,
piangasi  i rischi suoi, le sue catene.
Ecco il tempo, in cui domo a’ piè mi cada
o l’orgoglio di Pirro o la sua testa. (Siede)
Ecco il tempo in cui vegga il fier Cassandro
ch’io fra ceppi son re, più ch’ei sul trono. (Siede)
Pirro, o schiavo o colpevole o vassallo,
il tuo sire, il tuo giudice, il tuo re.
Io sol conosco il mio tiranno in te.
all’anime più basse e non a Pirro.
in onta ancor di tue rapine. Or solo
purché giovino a lui frodi e delitti.
portarsi, o Pirro, a macchinarmi inganni,
farsi ribello, essere ingrato a noi,
questi sono delitti e sono i tuoi.
non ti arreco discolpe; e se d’inganni
per vincerti abbia d’uopo, il sai, Cassandro.
i misfatti di Eacide, tuo padre.
di più soffrirlo, a me ne dier lo scettro.
Te ne fecer custode e non sovrano.
In me vivea il lor principe. D’allora
tu però riguardasti, ebbro di orgoglio,
me come schiavo e come preda il soglio.
È tempo di ubbidir. Pirro, fa’ tosto
che i tuoi depongan l’armi; e tu con essi
alle leggi temute e ti perdono.
Diasi il perdono a’ rei, diasi a’ vassalli.
Chi è vincitor, già ne prescrisse i patti.
Ti accieca il tuo furor. Questa è mia reggia,
non è tuo campo; ed altro ferro intorno
Diedi le leggi; o tu le adempi o tosto...
torniamo al nostro carcere. Io comando
il mio stesso supplizio e non lo attendo.
vendicherà la mia costanza istessa,
la morte che minacci e ch’io non temo.
Vanne pur entro al carcere, o superbo;
non ne uscirai che o vittima o vassallo.
nell’amor tuo. Glaucia ed Ellenia a noi
Prevengo i cenni e a te m’inchino, o padre.
furo inciampo fatal l’armi di Pirro,
or di Pirro l’amor serve di sprone,
oggi sarai sposa di Glaucia.
                                                   Io sposa?
Sì, dell’Illirio al prence.
                                            A Glaucia?
                                                                  A lui
ch’arde per te, non mal gradito amante.
(Ah, che il seno mi accese altro sembiante).
ricevi, o figlia, il mio comando.
                                                          (Affetti,
                             Ubbidirò. Tu il vuoi,
(Ma l’assenso fu ossequio e non amore).
ecco il premio dovuto. Ecco la figlia,
La man che giova, ov’è restia la brama?
                                     E chi di Ellenia
                          Ma non per Glaucia.
                                                                 Eh, prence,
l’arte di amar pur male intendi. Un poco
ed un disprezzo, oro alla fiamma, il prova.
è tua quest’alma; in te sol vivo e spiro.
troppo libera esposi i sensi miei.
                                              Sposa
                                                            mi sei
                                              Sposo
più non risuoni sul tuo labbro un nome
né mi chieder ragion su’ miei affetti.
Il genitor la serbi. Ei te la diede.
la sofferenza mia da’ tuoi lamenti.
ma più l’amarmi; e se giammai tu ardisci
esporre offeso al genitore il torto,
per le mie man cadrai trafitto e morto.
Tanta beltà, tanta ingiustizia insieme?
                                 E l’ire di Cassandro
sul capo al traditor saran ministre.
odio più generoso. Al fier tiranno
e questa poi, sul sanguinoso altare
e del tradito amor, per noi si sveni.
il reo prigion m’è lieve impresa. Ciro
della guardia reale il grado eccelso.
e l’onor non perdiam della vendetta.
Pirro, benché infedel!... Viene Arideo.
io ti spero più giusta o men crudele.
La perfidia di Pirro è mia innocenza;
e la sua infedeltà della mia fede
sia testimonio almen, se non mercede.
Non è picciol trofeo sul cor d’Ismene
l’odio di Pirro. Un dì coprirlo ancora
può l’amor nostro e del rival la morte.
conscio e ministro n’è Demetrio. Ei pera.
il sospetto anche fia del tradimento.
Sacra amistà, tanto schernita e offesa,
e miglior tempo a vendicarti attendi.
Signor, Pirro sen viene; e potea solo
fuor del carcere trarlo un tuo comando.
troppo ti deggio. Anche del sangue a costo
                                            Amico Ciro,
presso a Cassandro io ti sarò in difesa.
Tua questa vita i benefizi han resa.
Poi libero il lasciate; il vuol chi puote.
Strane vicende! E a chi degg’io la vita
A chi meno il dovria, Pirro sleale.
infamia della terra, odio de’ numi.
d’uopo ne avrai per custodir quell’empia
vita di cui sei ’ndegno e ch’io ti serbo.
che la man, che or ti toglie alle ritorte,
ti darà forse al novo sol la morte.
Fermati, ingiusto, ancor dirollo, amico.
della mia morte; ed il mio braccio istesso
ti assolverà da un così enorme eccesso.
Ismene, o prence, a te sen viene.
                                                             E viene...
                                   A ricordarti, iniquo,
che di tanti nimici, onde vai cinto,
sarò la più implacabile e feroce.
per te non sieno i più temuti. Temi,
temi l’odio d’Ismene. Ei sarà grande
quanto il tuo  fallo, anima infida e vile.
Ismene, io vile? Io perfido?
                                                    E quant’altri
nomi più detestabili ha la colpa,
tutti gli ha meritati il tuo delitto.
in cui mi davi i più soavi amplessi,
in cui ti dava d’un amor sincero
in quello, in quello si consuma, o dio!
per trionfo maggior del mio tormento,
l’esecrabile iniquo tradimento.
Giusta mia principessa, eccomi reo,
se ho potuto dar pene al tuo bel core.
ch’io veggia in me ma di più morti degna.
arde in te ancor del primo foco o qualche
ten prego, Ismene, e per gli dei ten prego,
con quanto orrore ha la perfidia. Al primo
rimprovero vedrai dal seno uscirmi
quest’alma rea, vil traditrice, abbietta;
e sin la tua pietà sarà vendetta.
di non saper ciò che tu stesso ordisti?
sarà di abbominevole memoria,
sul mio labbro un trofeo? Vanne e mi togli
il rimorso crudel di avermi offesa,
viver, ma con dolor, né più vedermi.
contro me a scatenar, cieli ed abissi?
Ma non v’ha peggior mostro al cor di Pirro
Questi, che miri, hanno di Glaucia il cenno
di guidarti sicuro alle tue tende.
Sì sì, vivasi ancora e almen si viva
Giustifichiamo il nostro amor, che tempo
di morir mai non manca; e in sì ria sorte
tutto mi si può tor, non mai la morte.
                                         Affar non lieve
ben dei pensar che qui mi trasse. A Pirro
le furie inique avrà satolle il padre?
Pirro è fuor di catene; e già rivolti
fuor delle mura ha ver le tende i passi.
                                         Glaucia lo impose.
Pirro è sciolto da’ ceppi; e d’altra mano
la libertà, ch’io gli recava, ottenne.
Le abborre il padre e vuol che d’altri io sia.
ragion di stato, ritrosie di sesso,
sarò di Pirro. Alla sua fede io deggio
Perdona, o padre; onor, perdona. Io voglio
dall’amore uno sposo e non dal soglio.
il mio nimico? Il mio rivale?
                                                      Sire,
la tua gloria languia nel suo periglio.
anche in man di Cassandro il rendea salvo.
Utile in ogni tempo è la vendetta.
                            Anche l’infamia è danno.
Danno nel basso volgo. Il re non curi
ciò ch’altri dica; e ciò che vuole adempia.
È un servile poter quel che ristretto
nell’onesto più sia che nel diletto.
S’errai, n’offro il rimedio.
                                                 O vano o tardo.
Pirro fuggì; ma questa mano istessa
nella sua morte il punirà. Permetti
ch’io lo sfidi a venir meco in cimento.
qualunque sia, del sanguinoso invito,
vedrò me vendicato o te punito.
che una mezza pietà. Se Ismene e Pirro,
fanciulli ancora e alla mia fé commessi,
togliea di vita, oggi più ferma in fronte
la contesa corona. Il danno or sento.
Pur si tenti ’l rimedio. Ismene arrechi,
con le nozze del figlio o col suo sangue,
base ad un trono. Crudeltà mi serbi
e chi re non mi vuol, m’abbia tiranno.
A quale oggetto io sia qui tratta, il leggo
l’arte della lusinga. Odimi; io scelsi,
ciò ch’io dovea, ciò che non teme il forte.
e lo splendor della corona offerta
o renderti più grata o men superba.
Pur di Pirro all’amor sin da’ prim’anni
condonava l’inutile costanza.
spente avrà nel tuo sen le antiche fiamme,
su l’odio tuo qualche ragion ti chiedo;
nella tua mente, in che peccò Arideo?
Odio Pirro, egli è ver, perché infedele;
ma detesto Arideo, perché tuo figlio.
L’odio in questo è natura; in quel consiglio.
Quest’odio adunque si punisca. Hai scelto...
La morte, empio, la morte.
                                                  E questa avrai.
sino in mio dono il tuo supplizio istesso.
Servasi, Ismene, al tuo furore. In tosco
E non si applauda un regnator, si tema.
Solitudini amene, ombre fiorite,
del costante amor mio, di quel d’Ismene,
or vi vengo a parlar delle mie pene. (Siede ad un sasso)
Come pensoso! Oh fortunata Ellenia
ch’esser dei la cagion di quel pensiero!)
(Felicità perdute, io non vi spero).
novo gel per le vene? Amor, che guida
sinor mi fosti, il cor tremante affida).
                               E chi a destar mi viene
                                         Eh, non v’è d’uopo
d’armi con chi è già vinto. Altre ferite
passar nell’alma e gli occhi tuoi nol sanno.
tu, principessa? E in tale ammanto?
                                                                   Io quella,
quella che men dovria, se pensi al grado.
Ma quella che più il dee, se pensi ancora
alla mia gratitudine, al tuo affetto.
Ceda omai lo stupor, Pirro, al diletto.
il suo arrivo e il suo dir). Ne’ miei gran mali
(Con sì mesto sembiante ei mi riceve!)
E qual cagion fuor della patria reggia
                                           In traccia, o Pirro,
(lunge, inutil rossor) di chi mi adora.
(Non sa ch’io l’ami e però finge ancora).
(Sì rara fé fosse in Ismene!) Oh Glaucia,
                                 (È gelosia che il turba).
Disingannati, o prence; o meglio i sensi
Io sarei così cieca? Io così ingrata?
generoso dai pace, incontri rischi;
per chi tanto? Per chi? Come potea
resister debil alma a tanta fede?
Che più temer, quando all’ingiusto padre,
animosa m’involo e tua mi rendo?
Ellenia, o sei delusa o non t’intendo.
in Ellenia un’amante ed in me stesso
Crudelissime stelle! E in che peccai?)
(O ciel! Non mi risponde; un solo accento
di affetto ancor non proferì l’ingrato).
o Pirro ingannator, Pirro spietato.
Ferisci pur, ferisci e quella colpa
ch’io non conosco, in questo sen trafiggi.
Ma se innocente sei, perché mi affliggi?
                                      Egli di Glaucia è servo.
oggi te attende, in bellicoso invito,
te, Pirro traditor, Glaucia tradito».
                                (Glaucia mi sfida a morte!
stelle severe). A chi ti diede il foglio
torna e dirai che verrò al loco. Ellenia, (Si parte il servo)
cura di onor mi chiama altrove. Scegli
saper se tu sii fido o traditore.
                               E qual maggior nel regno
                             A te dovuto, o caro.
Ma più, signor, non mi tacer quel grave
affar che in te rivolgi e che sol brami
                                              (Il tempo è questo).
Temo de’ tuoi macedoni seguaci
(Chi sa i falli occultar solo è innocente).
Non v’è chi ascolti. I cenni attendo.
                                                                 Attendi
la mercede dovuta a’ traditori.
Cieli... Arideo... Pietade!
                                              Invan la chiedi.
                   Tu prima, o barbaro, a’ miei piedi. (Arresta il colpo e disarma Arideo. Fuggono quei di Arideo)
                              (Il mio signor tradito!)
                           Uccidimi!
                                                E qual cieca
rabbia ti move a profanar quel grande
fra’ più barbari è sacro?
                                              (Empio destino!)
cerca il reo del suo fallo. Al suo diè esempio
E di rossor non moro e di tormento?
tuo messagger nella città. Fu il primo
che in quel giorno fatale, in cui pugnammo
vita mi diede e libertà mi rese.
ciò ch’io recava; e disperato amante,
rinfacciommi i suoi doni; aggiunse a’ preghi
e lusinghe e minacce; e fece in guisa
Ellenia chiesi, e non Ismene, in moglie.
                                    E a quel dover mancai,
cui mi astringea l’esser di nunzio e servo.
mi accompagna Arideo; mi assal nel bosco;
tua virtù mi difende; e qui prosteso
quella morte ti chiedo a cui m’hai tolto.
suddito iniquo, perfido ministro,
destra, che ti difese, or qui ti lasci,
esempio a’ traditori, esca alle belve.
mia pietade al tuo eccesso. Io ti ridono
torna a Cassandro. In quella reggia istessa,
ove reo mi facesti, e sia sol questa
sul fallo tuo la capital sentenza,
tornami a riparar la mia innocenza.
Prence, sei mio rival, sei mio nimico.
Cerca pur la mia morte; io nol condanno;
ma da prence la cerca e non da iniquo.
Contendimi un trofeo sul cor d’Ismene
T’ho in mio poter; ma la real tua destra
Mio nimico ti voglio e non mio schiavo.
Con quanto hai di poter pugna, ferisci;
armati del tuo amore e del tuo sdegno
e renditi così rival più degno.
Pirro, hai già vinto; e l’odio di Arideo
il non ultimo sia de’ tuoi trionfi.
Tu m’offri libertade ed io l’accetto
e quasi in accettarlo il don ti rendo.
Principe, addio. Liberator mi fosti;
nimico ti rifiuto. Al tuo valore,
saria facil trionfo un core ingrato.
Or sì, sdegni di Glaucia, ire d’Ismene,
da te, non lo dirò, ma dal mio fato
in favola alle genti, a te in disprezzo,
ho misera perduto ad un istante
patria, onor, genitor, sposo ed amante.
Non disperar. Nel campo mio non manca
ad Ellenia una reggia. Il tempo, il caso,
ti renderan pace e consorte. Andiamo.
Ti arride il ciel. Viene il tuo amante.
                                                                   Glaucia?
Cedi al destin; torna ad amar chi dei.
Giusti numi, reggete i sensi miei.
quai svegli in me non ben intesi affetti
d’amor, d’odio, di duolo! Or voi, voi poche
di tradita amistà, da me partite;
e che amai l’infedel più non mi dite.
Eccomi, Glaucia, eccomi al loco. Io vengo
                                   Il so; tu vieni, o Pirro,
Pur non vieni temuto. Anch’io il vantaggio
o Glaucia o Pirro ha da cader trafitto.
Non tant’impeto, o Glaucia. Ad armi pari
Amplessi a me? Stringi quel ferro, o indegno.
                                         Odimi e poi...
Ma se al reo vuoi dar morte, ecco il mio seno.
qui punisci l’inganno e il tradimento.
degna del tuo furor, qui una vendetta
che tua colpa non sia; qui svena un core
sconoscente, spergiuro e traditore.
Vieni, ingiusta beltà. Sin del tuo petto
trafiggi ’l mio. Già tel presento ignudo.
Che se non credi al testimon del labbro,
credilo a quel della mia destra e accetta
meta de’ voti tuoi, sposa diletta.
Sposa diletta? Anche schernirmi? In moglie...
Ismene io chiesi e sola Ismene amai.
fu autor; Demetrio esecutor sen rese;
e fu la colpa altrui nostra sciagura.
Sol io son la infedele, io la spergiura.
è un opprimermi, o dei, con troppa gioia.
                                No, prence. Al genitore
                            E impiegheremo, o Pirro,
presso Cassandro a tuo favor noi stessi.
dite all’idolo mio; «Pirro è costante».
Che tu senta pietà de’ miei tormenti?
Che tu ponga in obblio le andate offese?
Provasti la mia fede e le soffersi.
Conobbi ’l fallo e pentimento io n’ebbi.
Tu mi cangi in diletto anche il mio affanno.
Tu mi fai parer gloria anche il mio inganno.
tanto al giubilo mio conformi oggetti,
in eco risonaste egra e dolente,
del mio giulivo amor: «Pirro è innocente». (Entra Ciro, seguito da un servo con tazza di veleno sopra una coppa d’argento)
Cassandro è re. Con questo dono, Ismene,
e giusto è sol, perché tu sei superba. (Fatta deporre la tazza sopra un tavolino, si parte)
rei stromenti di morte, in voi si affissa
l’anima con virtù. Non vi è più oggetto
da spaventarmi, or che innocente è Pirro.
che volea meco al fortunato Eliso.
Ma pria ch’io colà scenda, ombra non vile,
a tor l’idea di un più felice Eliso.
i ceppi di Arideo son nove offese.
Convien punirle. A me Demetrio espose
già meditai la non volgar vendetta.
Torre al nimico la tua vita è poco;
ma sposa di dispetto e di furore.
                          Del talamo esecrando
pria l’odio nostro accenderà le faci;
fuor del lacero seno il cor di Pirro,
a trarti ’l tuo, perch’ei non viva in esso.
o per pietà di chi vi aggiri ’l passo,
vi abbruci un rogo e vi racchiuda un sasso.
Io sposa tua? Lode agli dei. Tu stesso
m’hai posta in man la mia difesa. È questo
tormi più la mia morte i tuoi furori.
Dell’odio tuo, con l’odio tuo trionfo;
e sin la morte, in mio supplizio eletta,
già diventa tua pena e mia vendetta. (In atto di bere è fermata da Arideo che le getta a terra la tazza)
Fermati, Ismene, e in te si salvi ’l prezzo
della mia libertà, della mia vita.
Figlio, Arideo, vano fu dunque il grido
de’ ceppi tuoi, del tuo periglio?
                                                          A Pirro
Perch’ei fu generoso, ancor sei padre.
La sua virtù, più che il suo braccio ha vinto
Rival più non gli son né più nimico;
opra è di tua beltà la mia costanza.
sarà virtù, purché non sia speranza.
dall’amistà di Pirro ebbi il suo core.
a te renda la figlia, a me la sposa.
Figlia, ch’è rea, la tua pietade implora.
                           Né dai la pace ancora?
Dunque vincerà Pirro? E due corone
                                  Non v’è più scampo, o sire.
                          Il popol medo, appena inteso
sua principessa, in fier tumulto ha prese
Già occupata è la reggia; ed il feroce,
                                        Hai vinto, o cielo, hai vinto.
non tuo nimico. Il rischio suo mi ha tratto,
non desio di conquista o di vendetta.
reggia non tua, sì mal difesa, io parto.
la data tregua. Al dì venturo ogni altra
ragion dell’armi a maturar sospendo.
Mi basta Ismene; e da’ begl’occhi suoi (Prende Ismene per mano)
della vittoria il grande auspizio io prendo.
dalle perdite mie reso è il tuo nome.
Tua Ismene sia; Media ed Epiro insieme
sien regni tuoi. L’atto, che forse al mondo
sembra necessità, solo è ragione.
Non per timor ma per dover ti cedo.
offro la pace e l’amicizia chiedo.
un grato testimon dell’amor mio.
Non più rival, Pirro, t’abbraccio anch’io.
quel si aggiunga di amor, sposi felici;
e in due nodi Imeneo renda più chiaro
                                                Sì, sposo amato.

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